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mercoledì 27 marzo 2024

E’ ammaliato dalla figura della donna

LO SCULTORE ALFREDO MAZZOTTA HA LAVORATO CON LUCIANO MINGUZZI



Alfredo Mazzotta
Nato in Calabria da padre contadino e da madre casalinga, ha studiato scultura con Luciano Minguzzi e pittura con Domenico Purificato all'Accademia di Belle Arti di Brera e in seguito ha insegnato scultura per 40 anni al Liceo Artistico Statale di Brera; è stato assistente dello scultore Eros Pellini. Sue opere si trovano in varie parti del mondo.















Franco Presicci



Milano. Il volto da frate francescano e anche i modi, il sorriso dolce ispirano fiducia e simpatia. E quando racconta la sua infanzia, l’adolescenza, gli studi, i genitori, il paese in cui è nato, Nao, nei dintorni di Vibo Valentia, i maestri, Minguzzi soprattutto, cattura l’attenzione e non la molla.
Lo studio

Ho incontrato Alfredo Mazzotta, 73 anni, nel luogo in cui si raccoglie e medita, in via Donatello. Io e mia nipote Olimpia siamo entrati nel cortile, che ha al centro un’aiuola con bellissime camelie, che lui cura con amore, e ci è venuto incontro con un sorriso aperto e accogliente. “State guardando i fiori? Bellissimi, vero? Io li irroro, li poto, li vedo sbocciare e crescere. Appartengono al condominio”. Poi ci ha accompagnati nel suo sacrario, dove le pareti quasi non si vedono, coperte come sono da quadri suoi e di altri artisti. Sul tavolo alcune sculture, appena rientrate da una mostra nel castello di Melegnano. E sfila prima di tutti, nell’immaginazione, ma quasi reale da come la descrive, la nonna Rosa, che per ogni situazione aveva la soluzione e gli ha dato senza averne l’aria lezioni di vita. Ogni tanto accenna alle sue opere, alcune curve come becchi di bucero. Attraggono. quelle forme, affascinano, si lasciano contemplare.
Anche mia nipote è incantata, e sbircia le mie espressioni. Lui ha voglia di spiegare come nascono, e tu mai penseresti che a suggerirle è stata la curiosità tipica dei virgulti. Vide l’uovo, chiese notizie a nonna Rosa e lei gli illustrò senza veli il procedimento, che, si creda o no, è un miracolo. Alfredo, che aveva il cuore d’artista, già nei primi disegni impresse sulla carta l’ovale in tutte le forme che l’anima gli dettava: una continua trasformazione poetica.
“Dalla natura vengono le mie opere”. E si definisce essenzialista, proprio perché coglie l’essenza delle cose, rendendo il movimento, il gesto. In quella sintesi c‘è tutto. Anche quando parla non si allarga, non s’inoltra nel ginepraio delle parole, dei discorsi enfatici, della retorica, dell’eloquenza. Colpisce per la sua semplicità, per la sobrietà della narrazione, per la ricchezza dei particolari. I suoi ricordi fluiscono limpidi come l’acqua di un ruscello.
Figura in meditazione
Un po’ di storia: è nato nel ‘51 da Michele, contadino, e da Rosina, casalinga. Di loro parla con affetto e gratitudine. Non navigavano nel denaro, eppure, se necessario, davano agli altri, secondo gli insegnamenti di Gesù: quello che avete sulla tavola datelo ai poveri; quello che fate al poverello lo fate a me. Michele e Rosina fecero ogni sacrificio per farlo studiare; e lui nel ‘68, dopo aver preso la licenza media presso la scuola Bruzzano di Vibo Valentia, si diplomò Maestro d’Arte presso l’I.S.A. della stessa città. In quei tre anni “mi sono forgiato con i maestri Tumino e Manzari”: il primo silenzioso e meticoloso; l’altro più esuberante. Entrambi bravissimi. Poi i due consigliarono al padre di mandarlo all’Accademia di Belle Arti: a Napoli, a Roma o a Milano. Michele non ebbe alcuna esitazione: “E’ bene Milano? E Milano sia”, pronto a tutto per assecondare la vocazione di quel figlio talentuoso. La scuola di Michele era stata la terra, ma non voleva per il figlio facesse la stessa fatica e le sofferenze e le delusioni che la terra dà con la complicità delle intemperanze meteorologiche. Alfredo doveva avere il meglio, quindi, se Alfredo doveva andare a Brera, si aprissero pure per lui le porte di quell’Accademia.
Ed ecco Alfredo a Milano, con un sogno: avere come maestro Minguzzi, di cui già conosceva l’arte. E con Luciano Minguzzi si diploma nel ‘73 in scultura e si iscrive alla scuola di Domenico Purificato, quindi al corso di Cromatologia di Luigi Veronesi.
Figura in contorsione

Un cammino lungo pieno di soddisfazioni. E che gioia nel momento dell’incontro con Minguzzi, alto, possente, autore della quinta porta del Duomo di Milano e della Porta del Bene e del Male della Basilica di San Pietro in Vaticano. L’aveva creduto irraggiungibile e invece era a due passi da lui. L’incontro lo stimolò maggiormente, gli dette energia, più voglia di dare forma alla creta, creare con la stessa, con continue innovazioni, con la ricerca, con soluzioni tecniche diverse. Lavorò per anni nello studio del maestro, felice come se avesse vinto un premio. Minguzzi era il suo mito e con lui aveva un bel rapporto.
Frequentando il quartiere di Brera cominciò a conoscere i pittori che si sedevano al bar Giamaica e quelli che si alternavano nella latteria delle pie sorelle Pirovini, dove aveva un conto chilometrico Ibrahim Kodra, albanese di grande talento, già amato e stimato, destinato ad attraversare la storia di Milano. Di Kodra conserva alcune opere e un grandissimo ricordo, tanto che non di rado fa un salto nel museo del pittore, in piazzale Lagosta, dove Fatos Fasilliu riceve scolaresche, appassionati dell’arte del pittore sempre presente nel cuore dei meneghini e non.
Ma Alfredo non è stato soltanto amico di Ibrahim, “il primitivo di una nuova civiltà”, come lo definì Romano Piccichè o l’artista dai “colori delle favole orientali”, il pittore che dalla corte di re Zogu, grazie al questore di Durazzo, che lo aveva presentato alla regina, entrò nel cortile di Brera.
Poi Alfredo Mazzotta è diventato grande anche lui, facendo mostre di prestigio, partecipando anche a collettive. Le sue sculture si trovano in tutto il mondo, dalla Cina alla Corea, agli Stati Uniti, in Giappone, in Albania… Eppure è rimasto un uomo alla mano, amante della compagnia, abile nell’arte culinaria, nonno a tempo pieno, due figlie, Monia, appassionata di danza, e Ilaria suora rosminiana. Alfredo piace anche perché, pur vivendo a Milano da tanti anni, non ha perso l’accento calabrese; anzi ogni tanto slitta nel dialetto. Calabrese doc, ama il peperoncino piccante (a Diamante, in Calabria, organizzano una gara sul tema) coltivato anche dai suoi genitori. Alfredo è rimasto calabrese, legatissimo alle sue radici.
Figura in contorsione

Con Olimpia, interessata all’arte contemporanea e a quella di Alfredo, che ha subito cercato d’interpretare senza fare domande, ho trascorso un paio d’ore con lui e auspico di poterlo rivedere per ascoltare tant’altra parte della sua biografia e godere della magia della sua arte.
L’ho pungolato più volte. E lui, tra un sorriso e l’altro, spuntati dalla sua barba e dai suoi baffi bianchi e neri folti, ha ripreso il racconto, a volte interrompendolo per metterlo bene a fuoco: “Da ragazzo ho fatto il chierichetto e suonavo le campane. Un giorno, scendendo dal campanile, notai sul pavimento una macchia - fatta dall’umidità” - che vagamente poteva sembrare il volto della Madonna. La contornai con il gessetto, dimenticando poi di cancellarlo, e i fedeli gridarono “La Madonna!, La Madonna’”. Intervenne il parroco, don Michele Tarzia, a spegnere il fuoco, prima che si propagasse la voce di un evento soprannaturale. Sempre da bambino, non avendo tutte le statuine per il presepe, plasmò lui quelle mancanti, modellando l’argilla che aveva trovato sotto un roseto nell’orto della nonna Rosa. Aveva sì e no 10 anni.
Lo esorto a continuare e lui non si fa pregare. Ha giocato al calcio con la palla di pezza;, in seguito le pedate al pallone le ha date sul campo nella sua regione e poi a Milano. Ha partecipato a una ventina di Stramilano; ha fatto anche l’allenatore per la squadra di un bar. Ama frequentare i mercatini di vintage. Per esercitarsi, sempre da adolescente, copiava le statue greche, da Prassitele a Fidia, poi all’Accademia si è ispirato alle modelle. Confessa di essere ammaliato dalla figura della donna e la racconta. “Del soggetto colgo l’essenza. La mia scultura nasce dalla vita. L’uovo è ancora presente nel mio lavoro. E’ contenitore di vita, La mia scultura nasce dalla natura”. Il titolo dei suoi lavori è “Figura in contorsione”: non il movimento fisico, il gesto, ma le difficoltà della vita, il dolore, il tormento. L’uovo da lui modificato, trasformato, trasfigurato, rimodellato.
Opera di Mazzotta

Non smetterei mai di ascoltarlo. Ogni sua parola è una perla. Non ha bisogno delle domande: sa ciò che può interessare all’interlocutore, che non si annoia. Ogni tanto alza lo sguardo alle vedute appese alle pareti e a quelle che stanno per terra per mancanza di spazio. Le ultime battute riguardano Brera, che non è più quella di una volta. Allora c’era un’altra atmosfera, tanti negozi, tanti personaggi, da Quasimodo a Confalonieri. Non c’è più neppure il rigattiere pugliese Domenico Lamantea, che arrivava con il suo triciclo carico di oggetti tutte le mattine alle 10 e chiudeva la baracca al tramonto. Morì in seguito alle ferite riportate in un incidente stradale, dopo aver ritirato una piccola vincita al lotto. Al funerale un violinista della Scala suonò l’”Ave Maria”.
Abbiamo parlato anche di altre cose con Alfredo. Alla fine ci ha invitati a pranzo in un ristorante vicino. Ma avevamo un altro impegno. Ci accompagna fino al portone, dopo una breve sosta davanti all’aiuola, che forse gli ricorda un lembo della terra coltivata dai suoi genitori. Ma ci può lasciare senza un ultimo accenno alla mitica Nonna Rosa?
Con Olimpia condivido il desiderio di rivederlo. Olimpia è volontaria all’Associazione “Aiutiamoli”, e accompagna nelle visite a cascine, mostre d’arte, vigne gruppi di utenti; e adesso gradirebbe che Alfredo, che è anche nel direttivo della Permanente, mostri loro come si plasma l’argilla, come da un pezzo di terra amorfa scaturisce un capolavoro. Grazie alle mani dell’uomo, ma anche alla stessa argilla sensibile...all’intenzione dell’arte.

mercoledì 20 marzo 2024

Presentato il libro di Michele Annese

IL TEATRO COMUNALE AFFOLLATO
PER “IMMAGINI... CRISPIANO”




Relatori: Silvia Laddomada, Luca Lopomo, Mario Volpe, Gianpaolo Annese, giornalista de “Il Resto del Carlino” di Modena. La serata ha avuto una conclusione spassosa con i tre musicisti Antonio Palmisano, Vito Santoro e Michele Vinci, che hanno inscenato parodie sull’attività di Annese in Biblioteca e nel paese.












Franco Presicci



Era prevedibile una così vasta partecipazione di gente al Teatro Comunale per la presentazione dell’ultimo libro di Michele Annese “Immagini...Crispiano”. E un’attenzione così vigile, commossa alle parole dei relatori. Nell’aria si avvertiva la presenza dell’ex direttore della Biblioteca “Carlo Natale” e segretario generale della Comunità Montana e dalle parole usate per lui, meritate, meritatissime, lontanissime da ogni retorica, si capiva che quell’uomo che aveva il passo di chi non ha fretta se non di realizzare le idee che ha messo in cantiere, era amato e stimato da tutti.
Teatro comunale di Crispiano

Un uomo di grande esperienza, che non aveva tempo né voglia di perdersi in chiacchiere, di promettere con l’intento di non mantenere; un uomo che ha fatto di tutto per diffondere il libro, contribuendo allo sviluppo culturale della comunità. Un uomo seguito, starei per dire un mito, anzi no, lo dico. Ha dato tutto quello che poteva per la sua Crispiano, ha messo a disposizione di tutti la sua saggezza, la sua conoscenza del territorio, la sua esperienza di “costruttore” infaticabile, dando fra l’altro consigli illuminanti a chi amministrava la città e chi ha fatto orecchio da mercante ha capito dopo che Michele Annese era una fonte di luce.
Io vivo a Milano, ma telefonavo spesso a Michele, che consideravo un fratello minore a cui non avevo niente da insegnare, se non qualche barzelletta che scandalizza chi ha falsi pudori. Con lui si poteva parlare, dialogare, scherzare, fare dell’ironia. Sapeva ascoltare anche a lungo e rispondeva con parole brevi ma efficaci. Era spiritoso, a volte, ma sempre garbato, rispettoso. Era un uomo colto, intelligente. Amante della musica. Assiduo al Festival della Valle d’Itria a Martina Franca, dove conosceva tutti, da Franco Punzi, che della rassegna era il presidente, a Nico Blasi, direttore della rivista “Umanesimo della Pietra”, Elio Greco, presidente della Fondazione “Nuove Proposte” e amico di Guido Le Noci, gallerista di livello internazionale a Milano (nato a Martina). Fu promotore del volume “Le cento masserie di Crispiano”, apprezzato dappertutto.
I relatori, da sx Mario Volpe, Luca Lopomo, Silvia Laddomada e Gianpaolo Annese

Michele parlava raramente in prima persona. Ha promosso mille iniziative, accolte con entusiasmo. Si ricordano il libro nei condomini, Il libro nelle vetrine dei negozi, il libro presentato dagli stessi autori. Usava sempre il pronome “noi”, includendo nel discorso anche i suoi collaboratori, tutti straordinari.
La morte era già in agguato e lui pensava al libro presentato l’altra sera e al periodico che aveva fondato: “Minerva News”, che doveva continuare a vivere. E allora chi poteva assumere la sua eredità meglio di ogni altro se non Donato Basso, suo genero, a cui l’altro giorno ho detto: “Sei tu adesso il direttore”. E lui: “Il direttore è sempre Michele”, facendomi piangere: la mia reazione ogni volta che si nomina Michele, soprattutto in quella veste, anche se con Donato ho un rapporto meraviglioso.
Silvia Laddomada
Ho assistito alla presentazione di “Immagini”, grazie ai “video” che mi ha mandato Donato e ho notato la sua emozione e quella del figlio di Michele, Gabriele, seduto in prima fila. (Gabriele è un solerte e preparato e volenteroso consigliere comunale, che ha accolto volentieri qualche suggerimento di quel papà eccezionale che non si vantava mai di niente, anche se aveva inventato e portato a termine tante opere che rimarranno negli annali di Crispiano).
La vita e le opere di Michele sono state dunque ripercorse l’altra sera dalle persone scelte per quel compito. Una di loro ha detto: “E’ presente nel ricordo dell’amore che ha avuto per la città, per la sua cultura. Ha fatto conoscere il valore dei libri. Era la rappresentazione – ha detto Mario Volpe, già commissario del Comune - di come deve essere un uomo di cultura: curioso, aperto, disponibile... Investire nella crescita delle nuove generazioni, con l’invito alla cultura e alla libertà di pensiero”. Angela Schena, editrice del libro, colpita quella sera dall’influenza, ha mandato una lunga lettera in cui dice che anche attraverso i suoi libri Michele Annese continua a vivere oltre il ricordo di coloro con cui ha condiviso tanti momenti operosi”.
Gianpaolo Annese presenta un estratto delle foto
La moglie Silvia Laddomada, giornalista come Michele (per anni corrispondente de “La Gazzetta del Mezzogiorno”), già professoressa di italiano in una scuola di Martina Franca, direttrice dell’Università del Tempo Libero e del Sapere, ha illustrato il volume, la cui presentazione era prevista per la celebrazione del centenario dell’autonomia di Crispiano, nel 2019. “Per varie vicende non è stato presentato per quella data, per cui questo terzo volume è stato pubblicato a cura dell’autore, nel rispetto delle attese dei concittadini che avevano aderito all’”Operazione cassetto”, inviando foto vecchie e nuove per la realizzazione del progetto. Nelle ultime pagine del libro, completato a dicembre del 2023 -ancora Silvia - ha inserito diverse foto della collezione di famiglia per lasciare il ricordo di una vivace e soddisfacente vita familiare fino all’epilogo, dignitosamente affrontato, di una vita terrena impegnata a dare lustro al proprio territorio”. Quando Silvia ha accennato alla famiglia, ai nipoti, che lui amava moltissimo, è stata colta dall’emozione, riprendendosi con l’incoraggiamento degli applausi. Silvia, con voce pacata e colloquiale, ha ripercorso un po’ la storia dei tre volumi, dedicati alla gente di Crispiano. Il saluto ai convenuti è stato dato dal sindaco Luca Lopomo. Ha condotto la serata Gianpaolo Annese, giornalista del “Resto del Carlino” di Modena, fondato nel 1885. Il valente cronista per 40 minuti ha tracciato un’analisi antropologica di una notevole quantità di immagini, che sono state proiettate su uno schermo gigante mentre lui descriveva l’evoluzione dell’abbigliamento, i mestieri, le posizioni delle persone ritratte, l’atmosfera.
Per concludere la serata sono saliti sul palco Vito Santoro, noto virtuoso della fisarmonica e fine dicitore, Michele Vinci e Antonio Palmisano, già fedele e premuroso collaboratore di Michele nel suo tempio della cultura. I tre hanno fatto divertenti parodie sull’attività di Michele in biblioteca, suscitando valanghe di applausi. In ultimo l’intervento della figlia Marzia che ha voluto ricordare il suo papà condividendo con i presenti alcuni vividi ricordi.
Momento musicale

Se nell’aldilà c’è una finestra con affaccio sul mondo terreno, Michele ha vissuto ogni attimo della manifestazione e sarà soddisfatto del modo in cui è stato celebrato il suo terzo libro su “Immagini… Crispiano” e del gran numero di crispianesi che hanno affollato il teatro dalla prima all’ultima fila (c’era gente anche in qualche palco). Presenti in prima fila anche la figlia Antonella e anche i nipotini, che un giorno potranno dire con orgoglio: “Quello era nostro nonno”.
Non poteva andare meglio di così il tempo dedicato a una figura così elevata, dotata di carisma, di un rilevante calibro umano e intellettuale, di una grande capacità comunicativa: un personaggio che tra l’altro sapeva dire la parola giusta al momento giusto. Che dire di più?. Ho una biografia conservata nella memoria, che se ne lascia andare un frammento travolge le pagine del giornale, che non sono di gomma. Ma qualcuno un giorno sentirà il dovere di scrivere un libro su quest’uomo straordinario, che lascia tracce incancellabili, non soltanto a Crispiano. Tornerò ancora in quel brandello di terra pugliese, che grazie a Silvia e a Michele mi ha accolto tante volte; tornerò anche per rendere omaggio a un personaggio che ha dato molto anche a me, tra l’altro facendomi tessere solidi rapporti umani.

mercoledì 13 marzo 2024

Foto ed acquerelli di Salvatrice Renda

 COGLIE LE BELLEZZE DI MILANO CON PASSIONE E INTELLIGENZA





Salvatrice Renda


Preferisce le persone e il paesaggio, 
ma anche le strade del centro storico e della periferia, le facciate dei palazzi, oltre ai cortili interni delle case patrizie.









Franco Presicci



“I quadri, i disegni, le stampe d’epoca con le vedute primaverili della vecchia Milano ci inducono a pensare a quanto dovesse essere piacevole e distensivo fare quattro passi per la città. Con tranquillità e poca gente, come oggi non si riscontra neanche il giorno di Ferragosto…”, ho letto da qualche parte. Beh, non esageriamo. Anche oggi chi lo desideri può scarpinare per la metropoli senza avere fastidi, in piazza Duomo come in Galleria, ai Giardini pubblici come al Parco Sempione.
La Galleria di Milano

Basta avere un po’ di prudenza la sera, non inoltrandosi in strade isolate, perché lì, complice la penombra, si può nascondere il pericolo. Se così non fosse, io sarei da mettere al gabbio, quando suggerisco ai miei vicini pensionati di non starsene seduti su una panchina dei giardini sotto casa ad osservare i passanti con la carrozzina del bambino, ma di spingersi per esempio in piazza Belloveso ed entrare nella chiesa che svetta sulla sinistra e ha tante belle cose da mostrare. E all’occorrenza tirando fuori il telefonino, se non la macchina fotografica per ritrarre, per esempio, la cascina Passerini e qualche casa di ringhiera dei dintorni.
Il mio caro amico dentista Peppino Bruno, da sempre si fa a piedi i suoi percorsi catturando immagini degne di una mostra: edifici storici, i navigli, l’Arena, che apre la memoria sull’esibizione del circo di Buffalo Bill nel 1890, vie importanti, come la Morone con la casa del Manzoni, con affaccio sulla piazza più bella, la Belgioioso.
Peppino mi ha donato un bellissimo ritratto di Domenico Lamantea, il rigattiere di Brera, che si acquartierava all’angolo con via Fiori Chiari, taciturno, severo, immobile come una statua, le braccia incrociate e le gambe accavallate. Lo amavano tutti e quando morì, ai funerali il compianto baritono Giuseppe Zecchillo (200 opere in repertorio cantate nei maggiori teatri del mondo) incaricò un violinista della Scala di suonare l’Ave Maria nella chiesa di San Marco.
Piazza Belloveso

Io Milano l’ho girata in lungo e in largo e non ricordo più quanti forestieri mi sono portato appresso, soprattutto sul Naviglio Grande, mostrando le chiese, i ponti, gli studi dei pittori, il torchio di Gigi Pedroli, grande acquafortista e cantautore in vernacolo, che prima di Natale su un palco improvvisato nel cortile del negozio di abbigliamento militare di Graziana e Paolo Martin sul Ticinello si è esibito in alcune sue divertenti canzoni.
Non mi stancavo mai di girare per Milano, di andare fino a Baggio ad assistere alla corsa degli asini o alla Darsena, che ospitava la fiera di Sinigaglia. Ed esortavo gli altri, amici e parenti a seguirmi. Quante volte ho stimolato Salvatrice Maria Renda, la mia bravissima dottoressa di base, a impugnare la macchina fotografica di fronte alle meraviglie di Milano, come faceva con molta bravura Luisa Motolese, poi diventata presidente della Corte dei Conti.
Salvatrice mi sorprese: “Ma io vado già a scuola di fotografia, a Monza, da Franco Marzio”, che tra l’altro aveva divorato tanta strada per raggiungere Maglie, che vanta una nobile tradizione anche intellettuale per riprendere le grotte di Porto Badisco e, giacché c’era, la casa di Aldo Moro. E mi ha sorpreso ancora una volta quando mi ha rivelato che alla fotografia adesso preferisce gli acquerelli, che espone su un tavolo del soggiorno per mostrarmeli: un vecchio contadino con una catasta di fascine sulle spalle, un muro oltre il quale s’intravede un gruppo di case, un ritratto di giovane donna… Ha una bella mano, Titti: mi congratulo con lei, che non si dà le arie e dice che deve continuare ad andare alla scuola di acquerello, in via Passerini a Niguarda, tenuta da Stefania Favaro. Ma non intende abbandonare la prima passione, quella della fotografia.
Il Naviglio Grande

Salvatrice è siciliana, nata a Sommatino, in provincia di Caltannissetta. Si trasferì a Pavia nel ‘70, per frequentare l’Università; e a Milano nel ‘76. Nel ‘78 iniziò l’attività di medico, per circa 10 anni come assistente volontario alla divisione di cardiologia De Gasperis di Niguarda, diretta dal professor Fausto Rovelli. Ha esercitato come medico di medicina generale nella stessa zona di Niguarda, in via Frugoni e poi in via Grivola. Nel 2020, in pieno covid, “sono stata costretta ad andare in pensione”. Non avrebbe mai lasciato quello studio accogliente, sempre pieno di pazienti, in quella via silenziosa, stretta e corta, che sbocca quasi direttamente in via Ornato, tagliata dai binari del jumbotram.
Salvatrice si confida: “Amo Milano, ma amo anche la mia città. Quando sono a Milano ho nostalgia di Sommatino e viceversa. Quando vado giù mi dico: ‘Che bello. sono a casa! Lo stesso quando torno a Milano”. Fin da piccola mi piaceva disegnare, su qualunque foglio. Poi ho cominciato a suonare il pianoforte. Ho frequentato il liceo classico, mi piacevano in particolare Socrate e Catullo, Orazio e Platone. Continuo?”. “Certo, sono curioso, interessato alla vita degli altri, ascolto volentieri e non mi distraggo mai quando una persona si racconta”. Ho adottato due bambini, che adesso sono grandi: uno colombiano, uno boliviano. In quei Paesi (nell’85 in Bolivia, , nel ‘90 in Colombia), sono rimasta due mesi, colpita dai negozi di bare, soprattutto per bambini. Sono curiosa anch’io e ho impiegato quei giorni a visitare i luoghi, e ho visto la miseria dei poveri e la ricchezza dei notabili. In Bolivia sono stata a La Paz, in Colombia a Bogotà e a Manizales. Avevo già girato l’Europa. Prima di cominciare a lavorare sono stata 4 mesi negli Stati Uniti, visitando la California, l’Arizona… In Pensilvenia ho visitato gli “amish”, che rifiutano la modernità e come mezzo di trasporto usano le carrozzelle…”
Veduta di Renda

Salvatrice parla piano, a voce bassa, qualche sorriso e qualche sguardo alle immagini fotografiche sparse sull’altro lato del tavolo. Non ha bisogno di cercare i ricordi; li snocciola con calma, senza enfasi, come se fosse abituata a quel flusso. L’interlocutore preme, incalza e lei, serena, riprende: “Da bambina maneggiavo giocattoli costruiti da me stessa in legno”.
E’ molto intelligente, colta, le piace stare con gli altri, ama la Puglia, dove qualche anno fa ha fatto un giro tra Martina Franca, Alberobello, Locorotondo e Ostuni, dove è entrata in alcuni negozi, soffermandosi in via Cattedrale in quello di fischietti in terracotta provenienti da Caltagirone, Bassano del Grappa, Grottaglie, Rutigliano. La Puglia, dice, è ricca di fascino; Martina Franca un gioiello, con le sue case incappucciate, i suoi ulivi, le sue vigne, la terra rossa, la Valle d’Itria, il sole, i sapori, i profumi.
Torniamo all’acquarello. “Impiego colori gioiosi, adoro il paesaggio, urbano e rurale. Dipingendo, mi emoziono”. Quel contadino con le fascine sulle spalle emoziona anche me. Mi ricorda il papà del mio amico Peppino, che attraversava ogni giorno il nostro tratturo con zappa e rastrello; altre volte carico di rami e rametti derivanti dalla potatura degli alberi. E mi ricorda mio zio Luigi, che a San Severo ha passato una vita a curare un lenzuolo di terra alla Zamarra per sfamare la famiglia.
Esercizio di Salvatrice Renda

E ricordo un amico di quassù, che lavorava in una cascina, alzandosi all’alba e tornando a casa al tramonto carico di fascine per alimentare il fuoco del camino sotto il paiuolo della polenta: piatto che non nutriva soltanto i cosiddetti polentoni, ma anche noi terroni, soprattutto in tempo di guerra. Ricordo la polenta con le cozze: l’oro di Taranto. “Ah, che buona!”, sospira Salvatrice, che non ha messo da parte la fotografia. Amante dell’arte com’è, quando non deve tenere i nipoti i “quater pass” li fa sempre. Come si fa a non andare in vico dei Lavandai, che il poeta Beonio Brocchieri definì una chiesa di pittori, con gli studi dei mai dimenticati Aldo Cortina, Guido Bertuzzi, Riccardo Saladin, pseudonimo Sarik, Spampinato, Formenti, la galleria di Cottino”? Era, secondo molti, la Montmartre di Milano. Ci girarono anche molte scene del commissario Maigret.
Spesso apro il libro della Celip con le foto di Roiter, il grande fotografo veneziano, e compio un viaggio ideale, spesso con la Viscontea, l’imbarcazione ideata dall’architetto Empio Malara, ammirando le cascine, le ville, i castelli, il viale delle passeggiate.
E’ bella Milano. Seducente, affascinante. Chi dice il contrario non la conosce. Basterebbe andare in via Bigli, dove abitava Eugenio Montale, in via Borgonuovo, in via Spiga, in via Bagutta, dove si svolge la mostra “en plein aire” e aveva lo studio il grande artista Casarotti, più volte alla Biennale di Venezia. Andate in quella via, che sfocia in piazza San Babila, dico. L’ultimo giorno della mostra arrivano tutte le autorità accolti dalla banda musicale. Del comitato fecero parte De Cerce, barbuto e combattivo; Calderini, pacioso e lento; Cortina, concreto e dinamico. Bagutta ricca di colori anche sotto la pioggia.

mercoledì 6 marzo 2024

L’8 marzo il trigesimo di Michele Annese

ESCE IL SUO NUOVO LIBRO NEL GIORNO DEL RICORDO






Crispiano accorrerrà nella chiesa di
Annese mi consegna l'altro suo suo libro


Santa Maria Goretti per il sacro rito
e il giorno dopo al Teatro Comunale
per la presentazione dell’ultimo libro
scritto da Michele su personaggi e
luoghi storici della sua città.









Franco Presicci


L’8 marzo alle 18, nella chiesa di Santa Maria Goretti di Crispiano, verrà celebrata la messa di trigesimo in memoria di Michele Annese; e sabato 9, dalle 19, nel Teatro Comunale, sarà presentato l’ultimo suo libro sui luoghi storici e i personaggi del paese.
Questi appuntamenti mi danno l’occasione di ripercorrere il binomio che spesso si formava durante le vacanze estive: lui e io in giro per Crispiano a visitare le vie più importanti, le grotte basiliane, dove a Natale andava in scena il presepe vivente; la vecchia biblioteca, il centro montaliano (migliaia di testimonianze), fondati da lui, il Carnevale del Fegatino che attraversava la folla come quello di Putignano e di Massafra, con carri allegorici spettacolari, suoni e canti e figuranti in abiti sfavillanti. Michele mi presentò l’organizzatore, Ippolito, presidente della Pro Loco, che si entusiasmava al microfono, rivelando di aver ricevuto richieste dal Nord per una collaborazione proficua con altre baldorie, mentre la presentatrice urlava metafore frizzanti. Michele, com’era suo costume, se ne stava in disparte, vicino alle scale che portavano al palco, conversando con il sindaco di Maruggio che aspettava il momento per dare il saluto alla città in festa.
Annese, De Lucretiis, Santoro

Quante camminate ho fatto in compagnia di Michele Annese, e quante risate. Andavo a pranzo a casa sua e mi annunciava sempre una novità: la Sagra del peperoncino piccante a San Simone; o quella dei funghi, organizzata da Santino Basile, titolare del ristorante “C’era una volta”. Nella prima, fui imbottito di informazioni sulla storia, le caratteristiche, le potenzialità (qualcuna esagerata), sui mille usi della spezie, adorata anche da personalità di fama mondiale. Nella seconda, fui stupito da montagne di boleti commestibili, che mi riportarono alla mente alcune pagine di Enzo Tortora pubblicate come presentazione di un libro sull’argomento: “Fungo viene da ‘defungo’, diceva mio nonno, e non ne mangiava. Funerale viene da ‘fungi’, o ‘fungus’: persino i romani battezzarono i funghi con le campane a martello”. Ma di fronte a queste meraviglie anche l’avo del coltissimo presentatore avrebbe ceduto. Intanto lui, il conduttore di Portobello e di tantissime altre trasmissioni anche su Antennatrè, si proponeva di scrivere alla maniera di Indro Montanelli una storia d’Italia con protagonista il fungo, forse anche per convincere i renitenti intimiditi dai morti per funghi per volontà di brutti ceffi o per ignoranza: un fungo bello a vedersi può nascondere il pericolo; ma è risaputo che nei boschi bisogna andare con sapienza. Quella sera, a un tavolo di “C’era una volta”, feci una scorpacciata di boleti ottimamente preparati, senza pensare a Poirot o a Montalbano o Biancaneve.
A un’edizione della festa “d’u puperùsse asquande” volevo disertare. Michele mi telefonò dicendomi che con uno “stand” era presente il professor Biagi dell’Università di Pisa, notissimo esperto a livello internazionale della materia. Potevo dire di no? Rinunciai al film western che volevo vedere in televisione, mi misi in macchina e corsi a Crispiano. Michele trovava sempre il modo per convincermi, senza insistere. Era persona delicata, rispettosa, intelligente, gioviale, curiosa.
Lo incontravo sempre molto volentieri. Tra l’altro era coltissimo, ma non si sedeva mai in cattedra. Anche alle serate culturali dell’Università del Tempo libero e del Sapere, grazie ai potenti mezzi moderni, da Milano lo vedevo aggirarsi nella sala prima che si accendesse il microfono, per controllare che fosse tutto a posto e poi, mentre la moglie Silvia si preparava alla sua dotta conferenza su Dante o Petrarca, se ne stava in piedi in fondo alla sala.
Annese, Lenoci, Presicci

Alla sagra del peperoncino mi presentò il professor Biagi, che mi illustrò la tavolozza di spezie ”asquande” in polvere che aveva disposto in decine di piatti su un ampio tavolo del chiosco con la scritta “Peperoncini nel mondo”. La stessa sera mi presentò un cestaio che intrecciava i suoi vimini sotto gli occhi del pubblico; e Giorgio Di Presa, erborista e presentatore simpatico e vivace; uno “chef” che cucinava con arte la pasta e fagioli al peperoncino; il dottor D’Addartio, presidente dell’Associazione “Habanero” di Oria, che ci descrisse l’abitudine di molti di spargere la spezia ovunque, mentre gustava le orecchiette al sugo con il peperoncino preparato da una signora ottantenne molto socievole, spiritosa e garbata. Poi, sollecitato da me, il medico tenne una lezione sulle origini cilene e messicane del diavolicchio. Dopo la cena, ci infilammo fra la folla, che fluttuava dalla chiesa di San Simone fino all’inizio di via Martellotta, colpiti dalle persone che facevano la ronda godendosi il gelato o le friselle piccanti.
Dietro molte manifestazioni a Crispiano c’era lui, Michele: convegni, presentazioni di libri, esibizioni del gruppo musicale Crispianapolis, di cui faceva parte un suo collaboratore in biblioteca, Tonino Palmisano, pomeriggi e serate in questa o quella masseria; incontri con gli autori di libri (Alberto Bevilacqua ed altri) in una sala della biblioteca “Carlo Natale”, un sacrario. A proposito della biblioteca, potrei ormai dire tante cose, compresa la sua storia, che lo ha come protagonista, approfondita anche con la lettura di migliaia di ritagli di giornali inclusi nel suo volume “La biblioteca di Crispiano”, edito dalla casa editrice Schena. Alla presentazione furono presenti, fra gli altri, l’onorevole Luciano Violante e il compianto professor Franco Punzi, presidente del Festival della Valle d’Itria, che quando mi telefonava per dirmi la data dell’approdo del Festival al Piccolo Teatro di Milano, aggiungeva: “C’è anche Michele”. Michele, con la moglie Silvia, non mancava mai né a questo né ad altri eventi culturali. Uomo apprezzatissimo, amato, ammirato, preso ad esempio, Michele mi fece conoscere il grande fisarmonicista Vito Santoro e poi me lo fece incontrare tante volte, l’ultima a casa sua, per un’intervista sulla rifioritura delle serenate, alimentata da questo prim’attore, che lo venerava. I collaboratori della Biblioteca Michele lo seguivano con rispetto e lealtà. Quel sacrario è stato un fiore all’occhiello, grazie a lui.
Annese parla a Martina Franca

Un giorno, dopo aver cercato inutilmente dappertutto, a Taranto, a Martina, altrove, un vecchio libro di Giacinto Peluso, lo trovai in piazza Roma, sede della Biblioteca. Una sera, seguendo l’onda dei visitatori della sagra “d’u diavulìcchie”, accennai a un libro del parroco della chiesa di san Gabriele Arcangelo di San Simone, don Romano Carrieri, colsi un’occhiata di Michele a una sua collaboratrice e dopo mezz’ora il libro era nelle mie mani.
Se ho conosciuto molte delle cento masserie di Crispiano lo devo a lui. Mi invitò Alla Monti Del Duca quando Giuseppe Giacovazzo, già direttore de “La Gazzetta del Mezzogiorno” e già uomo Rai, parlò nel cortile sopraffatto dal pubblico del suo libro “Puglia il suo cuore”, che inizia: “Ma chi siete voi pugliesi? Che idea avete di voi? Cosa pensate delle altre genti del Sud? In che cosa vi sentite diversi da loro?”. Michele lo aveva già letto e me lo regalò.
Annese e il notaio Aquaro

“Vieni?”. Certo, Michele. Giacovazzo parlò anche di Padre Pio, di Aldo Moro - di cui a suo tempo aveva organizzato le campagne elettorali – riempiendo il discorso di episodi, alcuni divertenti, tenendo sempre alta l’attenzione dell’uditorio. Alla Pilano ci andai con Donato Plantone, che di Crispiano era stato segretario comunale. Facemmo fatica ad arrivarci, perchè il mio accompagnatore aveva ricevuto indicazioni confuse; ma quando superammo la soglia del complesso quella fatica ci sembrò ben spesa per l’interesse suscitato dall’iniziativa, che comprendeva donne che filavano la lana alla maniera antica, altre che facevano lavori a maglia, il cestaio, uno scultore che realizzava don Chisciotte con fili metallici e persino un paio di uomini vestiti da briganti, con tanto di fucili a tracolla. In quell’occasione potetti osservare una macchina che trasformava le stoppie giallastre in covoni.
La prima masseria che mi fece visitare fu la Lupoli, di cui conservo gelosamente molte foto: la chiesa, il museo della civiltà contadina, la vecchietta con il bastone accomodata su un sedile di pietra, gli ulivi... Successivamente mi invitò a cena alla masseria Belmonte, dove su una parete è dipinta la cattura del brigante Cosimo Mazzeo, detto Pizzichicchio, nato nel gennaio 1837, di mestiere contadino, avvistato e inseguito, si rifugiò nella gola del camino della struttura rurale, ma nel 1864, acciuffato, fu condannato a morte.
Annese e Donato Basso

Quante cose ho imparato grazie a Michele, un amico schietto, sempre pronto a venire incontro alle esigenze degli altri, prezioso come segretario generale della Comunità Montana, anima e cuore della Biblioteca Carlo Natale, motore di tante attività. A una sua volenterosa e tenace collaboratrice, Anna De Marco, affidò il compito di guidare le visite agli asini di Martina Franca, che abitano nella masseria Russoli; altre danno una mano con entusiasmo all’Università. Michele sapeva scegliere molto bene l’equipaggio.
E adesso? Si sarebbe chiesto lo scrittore Hans Fallada. Adesso lui non c’è più, portato via in poco tempo da un male terribile e maledetto, ma restano le persone che ha scelto per la continuazione di alcune sue opere. Il giornale, per esempio.