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domenica 30 luglio 2017

A Crispiano non si annoiano mai


  UN LABORATORIO DI IDEE

 

  CON SAGRE E UNIVERSITA’

 

                                    
Presicci intervista il prof. M. Biagi

 

 

Memorabile il lavoro

alla Biblioteca

Carlo Natale”,

diretta con passione

da Michele Annese.

Gli incontri con

gli autori nella sede

di via Roma.

Il Centro Montaliano.

Le manifestazioni nelle masserie.

Il fornito Museo della Civiltà

Contadina nei saloni della

"Lupoli" di Luigi Perrone.

 


                                                                          

                                                              


                                                                                                          

                                                                                                                                                                                       

                                                                   Come direttore di "Minerva News",
                                             sento il dovere di ringraziare
                                                                    l'amico giornalista Franco Presicci, per
                                                                    l'articolo dedicato a Crispiano, i generosi
                                                                    riferimenti alla mia persona e il 
                                                                    valido sostegno offerto al "giornale", con 
                                                                    la sua riconosciuta professionalità, serietà
                                                                    d'impegno e qualificata collaborazione
                                                                                                                   Michele Annese            
                      
                                                                    

 



A Franco Presicci la targa del Premio
“Guido Vergani” “Vita da cronista”
è stata consegnata da Cesare Giuzzi e dal vicequestore Alessandra Simone, dirigente del commissariato di polizia di Poma.



Franco Presicci
La prima volta che sentii parlare di Crispiano fu in casa di un’amica di mia nonna. Avevo una quindicina d’anni. Durante una visita di cortesia l’ospite, sui settanta, vestita di nero, colore dello scialle che le copriva i capelli d’argento, ingobbita, naso adunco, pallida, sottile, esaltò la sua “culla”, ma soprattutto un personaggio che per lei, e per i suoi compaesani, era un mito: l’onorevole Lorè. “E’ un deputato, si dà un gran da fare, va e viene da Roma e non prende un centesimo. Non ne avrebbe bisogno: ha tante di quelle terre…”. E tornava a descrivere Crispiano e l’aria che vi si respirava. “Devo andare a vederla, questa cittadina, di cui lei è tanto innamorata”, mi promisi. Era a pochi chilometri da Taranto e in treno, “’a “ciucculatera” (la locomotiva che fumava come una ciminiera) ci avrei impiegato sì e no una mezz’ora. Ma a quei tempi i ragazzi non viaggiavano da soli e gli eventuali accompagnatori erano tutti impegnati e nelle ore libere preferivano la partita a scopa.
Annese-De Lucrezis-Santoro
Mio nonno avrebbe voluto, ma da qualche tempo aveva molti acciacchi. Passarono gli anni e mi trasferii a Milano, dove ben presto incontrai Vito Plantone, un poliziotto stimatissimo per l’umanità e la bravura. Diventammo amici. E un giorno mi disse: “Voglio mostrarti la mia città, che ha il centro storico più bello di quello di Martina. E voglio farti assaggiare le salsicce e le mozzarelle che fanno da noi. Hanno un gusto ineguagliabile”. Di questo centro sapevo di una manifestazione, “Le noci d’oro”, che aveva luogo ogni anno. Niente di più. Vito aggiunse: “Qualche altra volta facciamo un salto a Crispiano, dove mio fratello Donato è il segretario comunale”. A Noci raccolse tutta la famiglia in campagna dal cognato Lino, accese il fuoco, vi sistemò la griglia e vi adagiò qualche metro di delizia. Poi Vito si spense, e lo riportarono a Noci, dove ai funerali conobbi Michele Annese, direttore della Biblioteca “Carlo Natale” di Crispiano e segretario generale della Comunità Montana, che m‘incoraggiò, anche lui, ad ampliare i miei soliti tragitti. Lo feci, e scoprii che la patria di Lorè era risposante, tranquilla, ospitale.
Settore opere locali Biblioteca "Natale"
Prima tappa la Biblioteca, spaziosa, bene organizzata, ricca di titoli, ordinata, silenziosissima, linda, con tanta gente anche anziana ricurva sui libri o sui giornali. Veniva voglia di camminare in punta di piedi, per non disturbare. Il luogo era come una chiesa, dove mi donarono una preziosità: il volume “Le cento masserie di Crispiano”. Lo presi intenzionato a recensirlo. La prefazione era di Annese, i capitoli di autori preparatissimi, compresa Silvia Annese, docente e corrispondente de “Il Corriere del Giorno”. Da allora sono tornato tante altre volte a Crispiano. Cercavo un’opera di Giacinto Peluso, il grande storico di Taranto, e dopo tanto girare a vuoto la trovai in via Roma. Se si aveva bisogno di consultare un documento o uno scritto di Eugenio Montale, il Centro intitolato al Premio Nobel spalancava le sue porte. Per consultare un quotidiano o un settimanale nazionale si poteva bussare all’atra sede della biblioteca, in corso Vittorio Emanuele. Le iniziative allestite da quelle fucine di cultura si susseguivano con ritmo frenetico. Corsi di computer, mostre, presentazioni di libri, incontri con gli autori… Una serata fu dedicata ad Alberto Bevilacqua; un’altra a uno spettacolo d’arte varia alla masseria Monti Del Duca, dove un paio d’anni dopo Giuseppe Giacovazzo illustrò il suo “Puglia il tuo cuore”. I collaboratori della biblioteca erano validissimi ed entusiasti. Annese ebbe l’idea del “libro nel condominio” e subito venne realizzata con ottimi risultati. “Mai un libro affidato alla lettura a domicilio si è smarrito”, ricorda Annese. Crispiano non sonnecchia mai, con le sagre “d’u diavulìcchie asquànde”, promossa dagli “Amici da Sempre”; dei funghi dal ristorante “C’era una volta”; della lumaca da un allevatore del posto.
Liuzzi e moglie alla sagra lumache
Campi allevamenti lumache
Franco Liuzzi (laureato in sociologia), che partendo da uno arrivò ad attrezzare ben 18 campi, fornendo gasteropodi ai più prestigiosi ristoranti anche di Martina. Poi chiuse i cancelli.         Un altro Liuzzi, Francesco Paolo, ex sindaco ed ex deputato, uomo spiritoso, intelligente e generoso, in un convegno, svoltosi in un’altra masseria, sulle “munacèdde”, m’indusse a mangiarne ben sette coppette. “Coraggio, queste ammazzano il colesterolo”. Se lo diceva lui, medico! Una sera a cena in un locale entrò chiedendo aiuto una ragazza, il cui fidanzato era svenuto. Liuzzi fece un balzo e accorse, seguito dal suo collega Martino De Cesare. Ritornarono dopo un’ora, con la soddisfazione di aver salvato una vita. Per me Crispiano era ed è una calamita. Non sono mai stato assente alla sagra del peperoncino piccante, dove, navigando in una marea di gente, osservavo i piatti e gli “stand” e ascoltavo i commenti. C’era chi confessava di spruzzarlo nel caffè, chi sul gelato, chi sulle frise, chi sul cioccolato. E c’era anche chi giurava sulle capacità erogene “d’u diavulìcchie”, contestate da chi aveva sperimentato inutilmente. Avrebbe potuto chiarire la questione il professor Massimo Biagi, che insegna all’Università di Pisa ed è uno dei più grandi esperti della spezie, ma non risulta che sia stato consultato. Un pomeriggio Donato Plantone e Michele Annese m’invitarono alla illustrazione di un libro di don Romano, sulla piazzetta di fronte alla chiesa di San Michele Arcangelo, di cui il sacerdote era parroco.
Tre allegri "compari" (1° a sx Pino Caliandro)
Al termine, si esibì Vito Santoro, fisarmonicista virtuoso noto anche per le sue battute fulminanti. Scrissi l’articolo e don Romano commentò: “Questo Presicci è bravo… non è bravo. Bah!?”. Giocava a fare l’oracolo di Apollo. Comunque il suo lavoro era interessante. Vi descriveva la Crispiano di una volta: i giochi, le usanze, la vita di ogni giorno, le tradizioni... Se non sbaglio, rievocava anche l’albero della cuccagna. A Taranto lo innalzavano in piazza Marconi; e io ritenevo un’ingiustizia che l’”acrobata” che faceva la scalata per ultimo riuscisse ad arrivare in cima al primo tentativo, prendendosi tutto, dopo che gli altri avevano faticato parecchio. A distanza di anni seppi che era tutto concordato: i primi concorrenti avevano il compito di togliere il grasso spennellato sull’”albero”, e che alla fine spartivano in parti uguali.
Carnevale estivo- Pro Loco Crispiano
Masseria Belmonte dove venne catturato Pizzichicchio
















Don Romano parlava anche dei falò, che si facevano a San Giuseppe e “de le cìcere arrustùte” che durante la festa si lasciavano cuocere sotto la cenere del braciere per mangiarli accompagnati al vino. Quelle pagine erano utili ai giovani, che del passato spesso sanno poco o niente. Sanno però che cos’è la cassarmonica, che ancora oggi a Crispiano si monta per i festeggiamenti della Madonna della Neve, la patrona del paese, molto venerata. Per la ricorrenza gli emigrati fanno una rimpatriata per non farle offesa. Una volta le neonate, in onore della Santa, venivano battezzate con il nome di Marianeve. A Taranto e a Bari i patroni suscitano scontento: San Nicola viene considerato indifferente alla città; San Cataldo amico solo dei forestieri. Anni fa, il giornalista barese Antonio Rossano in un libretto polemizzò con il Santo, concludendo: “O si cambia protettore o si ruba San Nicola”.
Di Crispiano amo le masserie. La Pilano, la Monti Del Duca, la Pizzica, Le Mesole, la Lupoli, di Luigi Perrone, dotato del Museo della civiltà contadina…. Ogni masseria spesso diventa teatro di esposizioni di artigianato, di arte, di vecchi mestieri, di concerti... E qualche volta compaiono figuranti vestiti da briganti, con lo schioppo a tracolla. Come Pizzichicchio, Cosimo Mazzeo, che aveva il quartier generale proprio a Crispiano. Gli abitanti qui non si annoiano mai. E partecipano numerosi agli eventi. Nel 2013 il professor Burgers, direttore del progetto di scavi presso la masseria L’Amastuola, avviato nel ’98 dall’Istituto Reale neorlandese di Roma, dalla Libera Università di Amsterdam e dalla Sovrintendenza Archeologica della Puglia, presentò il volume “Greci o Indigeni a L’Amastuola” e il pubblico occupò quasi tutto il corso principale. Oggi tanta attività culturale si svolge all’Università del Tempo Libero e del Sapere, che tra l’altro ha ospitato lezioni su Dante Alighieri.












mercoledì 26 luglio 2017

“Eravamo in via Solferino” di Gallizzi


 






               IL LUNGO CAMMINO

 

                                 A MILANO

 

DI UN RAGAZZO DI CALABRIA 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

Nel suo libro, interessantissimo, il 

 

giornalista, che è stato cronista,

 

caporedattore, inviato, pilota delle

 

pagine lombarde, del “Corriere della

 

Sera”, narra le vicende di quel colosso

 

di carta e un po’ quelle del nostro Paese.










Franco Presicci


Rispondendo alla domanda di un giornalista, nei primi anni Sessanta, lo scrittore tarantino Domenico Porzio, capo ufficio stampa della Mondadori e assistente del presidente Arnoldo, a un giovane salito al Nord suggerì alcune regole: non credersi più bravo e più intelligenti dei meneghini; non fare il lavoro a mezza giornata o in qualche maniera; impegnarsi con serietà per dimostrare di essere all’altezza…. Milano è generosa, accogliente, ma esigente. Quelle parole emergono nel libro che Giuseppe Gallizzi ha scritto con Vincenzo Sardelli: “Eravamo in via Solferino”. Lui, nato nel ’39 a Nicotera Marina, allora provincia di Catanzaro e oggi di Vibo Valentia, assorbì subito il clima della città, che del resto gli era congeniale. Tenace, colto; gran voglia di fare e una passionaccia per la carta stampata.
Giuseppe Gallizzi e Indro Montanelli
Il suo obiettivo era il “Corriere”, un tempio, ricco di monsignori rispettati e stimati ovunque, da Orio Vergani a Indro Montanelli. Un primo passo lo fece avvicinando un suo quasi compaesano, Arturo Lanocita, brusco, dignitoso, vigile, indulgente, in via Solferino dal 1930, con incarichi prestigiosi: da capocronista a critico cinematografico… Lanocita gli suggerì di fare il diaconato in una parrocchia di periferia, e lui eseguì. Prese casa a Sesto San Giovanni, dove ancora abita, e si guardò intorno. Poi, per riempire il carniere, cominciò a fare il girotondo fra commissariato, caserma dei carabinieri, sede dei vigili urbani, non stancandosi di sgambare per ore prima di potersi sedere alla scrivania e far cantare la macchina per scrivere. Erano i tempi in cui i cronisti andavano a piedi o al massimo in sella a una due ruote; e durante un lungo appostamento o un salto da una portineria a un tabaccaio, a un fruttivendolo alla ricerca di un dettaglio, mangiavano un panino con salame e la polvere del marciapiede. Tempi eroici, entusiasmanti per i cani da tartufo. Tempi indimenticabili. Poi, nel ’60, Giuseppe, Peppino per gli amici, sbarcato a Milano due anni prima, finalmente varcò la soglia del sacrario, passando dal portale al presbiterio. L’ingresso, racconta, lo inebriò: l’atrio, solenne, pure, e lo scalone liberty che consentiva l’accesso al piano nobile. Per non dire dei corridoi immersi nel silenzio, con le luci che non si spegnevano mai… Pensò di essere prossimo alla celebrazione di un rito, soprattutto quando si trovò dinanzi al grande tavolo, stile “Times”, dal piano un tantino inclinato.
Giuseppe Gallizzi e Gaetano Afeltra
Quasi un reperto archeologico, un simbolo, decantato da Gaetano Afeltra in una delle sue pagine, tra cui “Corriere, primo amore” e “Milano, amore mio”. In via Solferino Gallizzi ha trascorso mezzo secolo, conquistando diversi traguardi, cronista, inviato, primo caporedattore, pilota delle pagine lombarde, caporedattore centrale…   Ha conosciuto tanti grandi nomi del giornalismo: oltre al Premio Nobel Eugenio Montale, Dino Buzzati, Pier Paolo Pasolini, Enzo Bettiza, alto, elegante, signorile, dai modi cortesi, grande inviato, cultura profonda, tra l’altro autore di un volume intitolato “Via Solferino” (“Sono nato sulla sponda illirica dell’Adtiatico”, vi scrive di sè), Indro Montanelli, un monumento; Alberto Cavallari, eletto direttore dopo Franco Di Bella; Piero Ostellino, Enzo Biagi, Piero Ottone, Giovanni Spadolini, che scriveva a mano con la velocità di un razzo, Ugo Stille, “Misha”, sulla plancia del “Corriere dal 1° marzo 1987 al ‘92; Paolo Mieli; Ferruccio De Bortoli, accolto in via Solferino quando aveva ancora i calzoncini corti e destinato al ‘Corriere dei Ragazzi’, divenendo per due volte il comandante della corazzata, con un intervallo al “Sole.24 Ore”; e grandi cronisti, come Fabio Mantica, Arnaldo Giuliani, Patrizio Fusar…
Spadolini con Plantone
Gallizzi sognava il “Corriere” come altri sognano una vincita da capogiro al Totocalcio. Franco Di Bella, che trascorreva le vacanze dalle parti di Vibo Valentia, sentendolo parlare, gli disse, “con una sicurezza che trasmetteva fiducia”: ‘Tu molto presto entrerai al Corriere…’. E fu proprio lui ad arruolarlo.   
In “Eravamo in via Solferino, prefazione di Vittorio Feltri, già cavallo di razza delle scuderie del “Corriere” prima di salire sulle plance de L’Europeo”, e poi su quelle de “L’Indipendente” e de “Il Giornale”, e premessa di Vincenzo Sardelli, Peppino fa anche un po’ la storia del giornalismo, partendo da Aristofane (445), poeta della Grecia antica, che debuttò con la commedia “I banchettanti” con il nome preso in prestito da Callistrato per evitare che l’arconte gli vietasse il coro per la sua giovanissima età: nel ritratto fatto da Pietro Citati, era uno sfrontato giornalista che non andava tanto per il sottile. Ma quella, osserva Gallizzi, era un’epoca diversa dalla nostra, che ha attraversato periodi brutti, dalla valanga di retorica alle reticenze, agli atti di devozione verso il potere, ai compromessi, alle imposizioni delle veline, alle teste dei renitenti mozzate… Non ha peli sulla lingua, Gallizzi. Non risparmia nessuno. Non nasconde, non omette.
Il prefetto Mario Jovine e Arnaldo Giuliani
Il libro fa anche la biografia del colosso di via Solferino, che si innesta nella storia del nostro Paese. Un capitolo è dedicato a Sesto San Giovanni, la città di adozione dell’autore. Lui la conosce benissimo, quella città, fatti, situazioni, personaggi, e li descrive con uno stile sobrio, garbato, senza enfasi; anzi con discrezione quando accenna alle proprie vicende. La sua fotografia di Sesto è appassionata e coinvolgente. Ricorda le fabbriche costruite da imprenditori come Giorgio Enrico Falk, “in quella che era la piccola Stalingrado d’Italia e che oggi è un susseguirsi chilometrico di impianti chiusi, abbandonati, o alla ricerca faticosa di una nuova identità”. E i nomi e le opere di Pirelli, Crespi, Bassetti…, che “per decenni hanno significato Milano, la sua borghesia illuminata, il suo ruolo di traino alla riconversione, non solo industriale, di un Paese tradizionalmente agricolo”. Quel Paese e quella Milano sono spariti da tanto tempo. E quei nomi si ritrovano nei libri e nella memoria di chi è stato attento agli accadimenti susseguitisi nello Stivale, compresi quelli che hanno avuto come protagonisti gli operai, infaticabili, con la voglia di crescere, di edificare, incoraggiati da imprenditori che non miravano al guadagno sfrenato. Falck, per esempio, per i dipendenti creava i villaggi, le colonie marine, le scuole, gli asili-nido… La Breda e la Ercole Marelli anche il dopolavoro.
Giuseppe Gallizzi al Circolo della Stampa
“Il racconto di Giuseppe Gallizzi non mira solo a ricostruire le vicende del colosso di carta o ad analizzare la funzione che esso ha avuto nell’informazione nazionale. Con Vincenzo Sardelli, l’autore narra la sua esperienza, assai particolare, di ragazzo calabrese, che, lasciata la sua terra, approdò a Milano con un bagaglio di speranze, soprattutto quella di trovare un lavoro…Il giovane Gallizzi costruì la fortuna con le proprie mani e la propria testa e, direi, perfino con i piedi”. Così scrive Feltri. Il libro è molto di più. Gallizzi, un gentiluomo della terra di Corrado Alvaro (“Gente di Aspromonte”, “La signora dell’isola”…), di Saverio Strati… non parla soltanto del cosiddetto treno dei sogni, al quale avevano tolto la terza classe degradando la seconda; dell’avventura infernale, che era il viaggio dal Sud al Nord, con la gente ammassata come sardine in una scatoletta o stesa sul pavimento nel tentativo di dormire servendosi della valigia come cuscino; i bagagli accatastati nel cesso, che così perdeva la destinazione d’uso per diventare deposito, quando non addirittura nicchia; dello smarrimento che coglieva il migrante nella pancia gigantesca della stazione Centrale, e subito dopo di fronte alla solennità dell’Hotel Gallia, al rumore dei tram e degli autobus, alla gente dal passo da maratoneta. Non parla soltanto delle sue notti in bianco per inseguire una notizia, un particolare o per controllarli; della paura di prendere un “buco” dalla concorrenza spietata… Queste pagine, ripetiamo, interessantissime, offrono una visione panoramica del mondo del giornalismo e del Paese. Segue un altro interessante libro di Gallizzi (“La scuola dei grandi maestri”), che per undici anni è stato presidente del Circolo della Stampa, presidente europeo del Press Club de France, segretario dell’Ordine della Lombardia e altro.

mercoledì 19 luglio 2017

A volte all’improvviso



RISPUNTANO NELLA MEMORIA

 

FATTI E PERSONE DI UN TEMPO 

 


Il giovane che scrive "Valeria ti amo” sui

 

muri e fa tradurre la dichiarazione in tutte

 

le lingue; la donna che per poter continuare

 

a mantenere il suo canile fa domanda alla

 

“Fiera dei sogni” di Mike Bongiorno;

 

il sessantenne prosciugato da un amore;

 

il padre che denuncia il figlio tossicomane

 

per un furto in casa del vicino.

 

 

 

 

 

“Dove c’era un commissariato ora c’è

 

il pub “La Madama”.

 











Franco Presicci




Ci sono fatti e persone che si riaccendono nella mente all’improvviso. Anche se appartengono a una quarantina di anni fa. Chi pensava più al sosia di Anthony Quinn che venne in redazione per protestare contro l’ufficio anagrafe del Comune, reo di non aver accettato d’inserire sulla sua carta d’identità da rinnovare la professione di combattente per la libertà. “Un sopruso! E’ una vita che lotto per questo ideale!”.
Copertina libro di Capecelatro
Lo aveva urlato anche in piazza della Scala, sotto la sede centrale del municipio. Ricompare anche un perseguitato dal nome di battesimo non beneaugurante, Crocifisso, che nell’apposito registro delle nascite risultava con la “i” e in altri documenti con la “e”; così ogni volta che richiedeva un atto quelle vocali ballerine gli creavano un problema. Che voleva risolvere, ma non sapeva da dove cominciare. Ricordo una ragazza, ammirata nelle sfilate di moda, che scavò una buca in un cortile dalle parti del Naviglio Grande e vi seppellì il suo cane, creando un’aiuola sulla tomba. La bestiolina era da tempo ammalata; e per curarla – mi riferì il pittore Guido Bertuzzi, che conosceva la zia ultranovantenne - lei l’aveva portata persino in America. Indimenticabile una giovane, avvenente infermiera che, avendo avuto l’idea di presentarsi in ospedale con una pettinatura alla Bo Derek, venne rispedita indietro dalla caposala, e lei invece di tornare dalla parrucchiera per un’architettura pilifera diversa, informò un giornalista, sostenendo che la capoccia così agghindata in corsia non era stata considerata uno scandalo o una mancanza di rispetto, ma una pensata divertente.
Edmondo Capecelatro
Che le valse l’onore del giornale e di “Antennatrè”, la tivù di Legnano. La memoria fa anche le bizze. Cerchi nel suo archivio un nome, un episodio, una data, e quella si nega, per spasso o per dispetto, se non ha davvero qualche vuoto. Altre volte si apre spontaneamente, alza il sipario e si lascia andare. Quando capita, bisogna mettercela tutta per contenere le sue offerte. Ed ecco il rapinatore del dopoguerra, soprannominato “il bandito gentiluomo”, perché nei suoi assalti in banca non premeva mai il grilletto e ad ogni colpo dava la “mancia” al cassiere. Ormai in pensione da tempo, un pomeriggio venne a chiedere di essere intervistato. Mostrai sorpresa, e lui, pronto, mi spiegò il motivo della stranezza: nel paesino in cui da tempo si era trasferito con la famiglia, nessuno gli credeva quando elencava le sue “binte”. Leggendole su un quotidiano, si sarebbero convinti che i suoi racconti non era fantasie. Ecco anche il furto in casa di una “star” dello spettacolo, privata anche di oggetti di valore affettivo che il mercato avrebbe respinto. Mi pregò di lanciare un appello al ladro perchè li restituisse, e il “cubista” mi telefonò indicandomi il cestino portarifiuti di via Palestro, proprio di fronte al Pac, il Padiglione d’arte contemporanea poi distrutto dalla mafia. Il malloppo venne recuperato.
Pub"La Madama"dov'era il commissariato
Quasi patetico il ricettatore noto come “Alì Babà” per i suoi depositi pieni di mercanzia di ogni tipo, che, arrestato da agenti del commissariato Scalo Romana (dove ora c’è un pub intitolato “La madama”), supplicò quasi in lacrime di poter fare una telefonata al vicino di casa per raccomandargli il gatto. “Povera bestia, per me è come un figlio”, disse per impietosire il vice questore Edmondo Capecelatro, poliziotto acuto e autore di testi teatrali e di libri su Toto, Eduardo… Gran faccia tosta l’arzillo vecchietto incallito spacciatore di droga, che lasciò alla chetichella il soggiorno obbligato in Puglia, rientrò a Milano e varcò la soglia del posto di polizia di via Benaco, sollecitando con finto candore una licenza per poter sbrigare alcune faccende di famiglia. Andò a sbrigarle a San Vittore con l’accusa di evasione. Sfacciatissimo il ladro deciso a costituire un sindacato di categoria e allo scopo lanciò un appello attraverso un organo d’informazione, che lo pubblicò divertito. Erano una folla le mezze maniche della “mala” (oggi non è diminuita). Ecco il truffatore che teneva in tre box decine di salotti “acquistati” con assegni falsi, di sabato, quando le banche sono chiuse. Li scovò un ispettore dal fiuto lungo, Armando Sales, del commissariato Ticinese, per qualche anno diretto da Vito Plantone, nell’80 nominato questore di Catanzaro.
Plantone, Bruno Marzo, Presicci
Il bidonista, che si esprimeva in un linguaggio corretto, anzi ricercato, recitò la parte di chi cadeva dalle nuvole di fronte alle domande dei poliziotti: quei divani erano dei cognati, che per il momento si trovavano fuori Milano. Più spessore criminale quello dello spaccatore di vetrine, che in tanti anni di cella si raccontò in un libro senza reticenze e senza vanterie. Una volta fuori, sia pure sotto sorveglianza, desideroso di cambiar vita, aprì, con l’aiuto della moglie, una piccola oreficeria, che un’antivigilia di Natale venne svuotata da un…”cliente” armato di pistola. Non sfuggono alla memoria l’ottantaseienne schiaffeggiatore di preti. Si appostava in piazza Duomo, e appena passava una tonaca un ceffone, insulti pesanti e via. Fu acciuffato dai carabinieri. Correvano gli anni 90. L’arciere-fantasma di San Siro, che si appostava dietro i cespugli e puntava i dardi contro i deretani, seminando il terrore nella zona. La polizia dovette rafforzare i controlli, ma il Guglielmo Tell non si scoraggiava. Tra le storie accumulate come chicchi di grano sull’aia, ritornano quelle dell’Angelo di via Paolo Sarpi, in zona Sempione, una donna ottantenne che era sempre a disposizione degli abitanti della zona, e dei commercianti, che la consideravano, amandola, una persona di famiglia; della signora Craja, che non riuscendo più a mantenere il suo ricovero per cani, aveva fatto domanda a Mike Bongiorno per partecipare alla Fiera dei Sogni”.
Armando Sales
E della donna che, trovato sulla strada un portafoglio molto imbottito, lo consegnò senza esitazioni ai poliziotti di via Tabacchi, che, cercando il proprietario, scoprirono che era uno della mala trovato qualche ora dopo assassinato in un campo. Fatti di “nera” e fatti di “bianca”, che a volte è difficile mettere in pagina per ragioni di spazio. Memorabili il padre che al Giambellino accusò il figlio tossicomane di un furto nell’abitazione del vicino; il gallerista che durante i soggiorni nella sua villa comperava il pesce appena pescato per restituirlo al mare. La trentenne che, non avendo pagato il prezzo della corsa al tassista, fu portata in commissariato, dove al cronista che si trovava lì per caso confidò che si sarebbe uccisa; e due giorni dopo lo fece davvero, gettandosi nuda nelle acque dell’Idroscalo. Aveva il corpo pieno di croci tracciate con il pennarello indelebile. Il ragazzo ventenne che per colpa di una malattia temeva di non poter essere mai amato da una donna e decise di uccidersi: per farlo, entrò in un’armeria per impossessarsi di una pistola. Finì sui giornali come rapinatore improvvisato, senza macchie sulla fedina penale. Il motivo lo rivelò la mamma, aggiungendo che il figlio l’arma aveva cercato di acquistarla al mercato clandestino. Indimenticabili il dottore che aveva abbandonato la parentela e andava a mangiare al rifugio di via Sammartini di fratello Ettore, un passionista che si faceva in quattro per dare aiuto e conforto ai disperati (aprì poi una sede più spaziosa vicino al Paolo Pini, l’ospedale per i deboli di mente).
L'insegna del pub "La Madama"
L’uomo aveva una barba folta, occhi vivaci, una settantina d’anni; era garbato, discreto, colto, e nessuna difficoltà a raccontarsi. E il sessantenne che, spolpato da un amore incontenibile per una ventenne, era costretto a passare le notti all’albergo popolare di viale Dorfles (costo 700 lire). Era piccolo, indossava un abito scuro e al dormitorio arrivava a mezzanotte con passo da bersagliere, tenendo una 24 ore in mano. Era scostante e voltò subito le spalle al cronista, presente per una notte intera in quella “stazione dei disperati”, per motivi di lavoro. Infine la fiammata dell’amore che aveva colto l’impiegato di una ditta di pubblicità: scriveva sui muri, sulla fiancata della propria auto, sui cartelloni, sul pavimento dei marciapiedi, ovunque trovasse uno spazio libero, "Valeria, ti amo”. Lo urlava sotto il balcone della donna, al telefono, lo raccontava ai giornali, lo fece tradurre su un cartoncino di lusso in tutte le lingue, andando da un’ambasciata a un consolato. Per mesi. Il paesaggio umano è vario, ma non sempre divertente.











mercoledì 12 luglio 2017

Lo scrittore Goffredo Palmerini




VISITA TUTTO IL MONDO

 

CON L’ITALIA NEL CUORE

 

 

 

Incontra gli italiani che

 

hanno dovuto lasciare il loro

 

paese e raccoglie storie e

 

nostalgie per raccontarle, con

 

stile amabile, nei suoi libri.

 

 

Il più recente sta riscuotendo

 

consensi ovunque,

 

anche oltre confine.





 




Franco Presicci

Ogni capitolo un incontro, un viaggio, un evento, una scoperta…I libri di Goffredo Palmerini, giornalista e scrittore, sono sempre ricchi di fatti. Li va a cercare dappertutto: a Boston, a New York, in Romania, in Friuli…, dovunque un nostro migrante abbia dimostrato il proprio talento.
Boston
E nei luoghi in cui venga celebrata la propria terra: l’Abruzzo. Immagino che abbia sempre pronta una valigia. Al Westcester Cultural Center della Grande Mela sono o stanno per essere esposte le eccellenze del Molise e dell’Abruzzo: arte, cultura, gastronomia, tradizioni, artigianato…? Ci va per fare cronaca e commenti con il suo linguaggio limpido, attraente, con sincerità e senza enfasi, senza ridondanze. A “Casa Abruzzo”, in via Fiori Chiari a Milano, in zona Brera, si parla di perdonanza e del messaggio universale di Celestino V? Goffredo ascolta, annota, medita e poi scrive pagine esaurienti. In questi giorni da One Group Edizioni è uscita la sua opera più recente: “L’Italia nel cuore” (sottotitolo: “Sensazioni, emozioni, racconti di viaggi”).
Palmerini intervistato da una giornalista


Un libro che si legge con molto piacere; che ti prende per mano e ti conduce in paesi vicini e lontani, dandoti l’impressione di occupare un posto fra il pubblico in una manifestazione artistica; in una cerimonia per la consegna di una medaglia; in una grande serata newyorchese dedicata al teatro italiano; o di assistere a un’intervista dell’autore ad un poeta, ad un capitano d’industria, ad un uomo politico... Ci sono anche pagine sulle invasioni che i forestierismi compiono nella nostra lingua: offese contro la bellezza, l’armonia di espressioni spesso onomatopeiche. Si dice “cult” per indicare ciò che, per esempio nell’agone artistico, riscuote uno speciale apprezzamento; “movida” per vita notturna; “training” per allenamento sportivo; “tour operator” per organizzatore di viaggio; “tout court”, “location”… Anche l’uomo comune usa “management” per le funzioni relative alla conduzione di una struttura aziendale. E’ “chic”. Oddio, non è meglio elegante? No, bisogna distinguersi. Il provincialismo incalza.
E pensare che i nostri connazionali all’estero – rileva Goffredo Palmerini, che li conosce bene – difendono con tenacia, convinzione e passione l’idioma della madre patria, cercano di tenerlo vivo anche perché è un legame indissolubile con il luogo d’origine. Questa meditazione è scaturita da una rappresentazione teatrale promossa a Firenze dalla Società Dante Alighieri in collaborazione con la Compagnia Le Seggiole. Testo, “Sao ko kelle terre” (l’inizio della Carta di Capua del 960), di Marcello Lazzerini, giornalista Rai e scrittore, Una domanda era d’obbligo, e Goffredo al commediografo l’ha fatta: il motivo di quel titolo dato allo spettacolo? “E’ il certificato di nascita della nostra lingua, sancito in un atto giuridico, il Placito Capuano, in cui la frase è riportata per la prima volta non in latino ma in volgare…”.
Idea splendida, realizzata con supporto di immagini, filmati, esecuzioni musicali e l’interpretazione di brani tra i più notevoli della letteratura italiana. Un purista come Goffredo Palmerini non poteva lasciarsi sfuggire l’avvenimento. Come non si è lasciato sfuggire il convegno dedicato al ricordo di due donne abruzzesi straordinarie: Maria Federici e Filomena Delli Castelli, componenti dell’Assemblea Costituente e poi della Camera dei Deputati. “Affacciano sulla Constitution Avenue a Washington i due edifici della National Gallery of Art. Il più antico inaugurato nel 1941, fu progettato dall’architetto americano Jhon Russell Pope.
Dan Fante
Conosciuto come il Palazzo Federale, ha ingressi su ognuno dei quattro lati, mentre la facciata principale è stata modellata con una rotonda a colonne, a guisa del Pantheon. Ha l’aspetto d’un grande complesso neoclassico, imponente, raffinato nel suo rivestimento in marmo rosa del Tennessee. Il progettista ha dato molta importanza alla luce naturale…”. E’ in questo edificio che, nel 1936, Andrew Mellon, banchiere, uomo politico, già ambasciatore in Gran Bretagna, volle istituire la National Gallery of Art con la propria straordinaria collezione d’arte. Palmerini non si limita a descrivere l’aspetto architettonico e la storia di questo capolavoro e dell’altro ad esso collegato, ma racconta puntualmente l’attività che vi si svolge, tra cui la messa in scena, il 25 gennaio scorso, di uno eccezionale evento letterario, artistico, musicale attorno a uno degli episodi più drammatici della “Gerusalemme liberata” di Torquato Tasso. Più d’uno i capitoli che ne “L’Italia nel cuore” danno notizie del teatro italiano a New York e in altre zone del mondo.
Mario Fratti - Joseph Tusiani
 naturalmente Palmerini rende omaggio a Mario Fratti, che, trapiantato nella Grande Mela dal ’63, ha dominato come autore i palcoscenici più famosi nel mondo. La sua “Nine”, “tra i più affermati ‘musical’ di Broadway e vincitore di 30 premi internazionali, è in scena in Brasile con una nuova produzione artistica diretta Charles Moeller e Claudio Bothelo, per la regia di Paulo Nogueira. Il 24 novembre del ’14, Fratti è tornato all’Aquila, dove è nato, e nell’aula magna dell’Università, presso la facoltà di Scienze Umane, è stata letta e commentata la sua raccolta di poesie giovanili, “Volti”. Goffredo dunque è anche un cronista scrupoloso, preciso, attento al dettaglio. Toccanti le pagine sulla croce di Lampeusa. “Portatela ovunque”, aveva detto Papa Francesco benedicendola il 9 aprile dell’anno scorso in piazza San Pietro. E la Croce ha fatto il giro d’Italia, con tappa a L’ Aquila, per prendere poi la via per Squinzano, nel Leccese. Un viaggio per sensibilizzare la gente all’accoglienza di chi fugge dalla fame, dall’orrore della guerra. Un “forte segno di testimonianza spirituale, di armonia tra fedi e culture diverse, di solidarietà umana…”. Ce n’è bisogno. La cecità va diffondendosi; il cinismo alza sempre più i toni.
“L’Italia nel cuore” è un libro interessantissimo. Popolato di personaggi che danno o hanno dato lustro al nostro Paese. Non solo all’Abruzzo. Tra questi, Dan Fante, deceduto a 71 anni a Los Angeles il 23 novembre. Secondogenito del grande Jhon, era scrittore, drammaturgo, poeta consacrato. Dan amava profondamente l’Italia, soprattutto la sua regione. Più volte tornò a Torricella Peligna, per partecipare al Festival letterario dedicato al padre, i cui libri in Italia sono pubblicati da Einaudi. Dan era amico di Goffredo. Si conobbero a Los Angeles nel gennaio del 2005. “Ero andato con una delegazione guidata dal sindaco della mia città per una serie di incontri istituzionali e di iniziative culturali…”. All’estero Goffredo Palmerini viene ricevuto da direttori di giornali, governanti, intellettuali e anche da semplici immigrati, di cui raccoglie sconfitte e conquiste. A Little Italy, dove è di casa, una folla entusiasta assistette alla presentazione del suo libro “L’Italia dei sogni”.
Il console generale d’Italia a Buenos Ayres, Giuseppe Scognamiglio (dal 2015 ambasciatore in Kuwait), gli ha rilasciato lunghe interviste; e sempre a Buenos Ayres Goffredo ha incontrato il direttore dell’Istituto Italiano di Cultura, Maria Mazza. I dialoghi li ritroviamo in questo libro, che è presentato da Luisa Prayer, concertista internazionale (esibizioni in Austria, Polonia, Germania, Olanda, Stati Uniti, Giappone…); e da Carla Rosati, già docente di lingua e cultura italiana all’Università per stranieri di Perugia. ”L’Italia nel cuore” è stata già protagonista in diverse sedi, ricevendo consensi unanimi. Nato nel ’48 a L’Aquila, di cui per anni è stato amministratore; vincitore della XXXI edizione del Premio Emigrazione, sezione Giornalismo…, Goffredo Palmerini segue le comunità italiane all’estero da molti anni. La sua attività pubblicistica è intensa. Ricordiamo “Le radici e le ali”; “L’Aquila nel mondo”; “Oltreconfine”; “L’altra Italia”…E’ inoltre un eminente studioso di emigrazione e fa parte anche come autore del comitato scientifico internazionale del Dizionario enciclopedico delle Migrazioni italiane nel mondo. Dal 2015 è coordinatore dell’Osservatore regionale dell’emigrazione della Regione Abruzzo.










mercoledì 5 luglio 2017

I fasti del Circolo della Stampa di Milano






UNA STORIA LUNGHISSIMA E RICCA

 

INIZIATA A PALAZZO SERBELLONI

 


Nell’albo d’oro sono scritti i nomi di Ferruccio Lanfranchi,

 

il fondatore, Renato Simoni, il primo presidente, Luigi

 

Einaudi e altri.

 

Nei saloni vasti, luminosi, con arazzi alle pareti e sui

 

soffitti, si svolsero manifestazioni di

 

altissimo livello.

 



Franco Presicci



Un po’ di nostalgia per Palazzo Serbelloni, corso Venezia 16, i vecchi giornalisti ce l’hanno. E non solo per le feste che vi si svolgevano, come quella di un paio di settimane prima di Natale per lo scambio degli auguri tra cronisti, magistrati, ufficiali della finanza e dei carabinieri, poliziotti…
Gerardo Placido
con le luci che si spegnevano alle quattro del mattino e gli organizzatori, Paolo Chiarelli, Sergio Stimolo… del “Corriere della Sera”, che andavano a letto più che soddisfatti per aver mantenuto la manifestazione all’altezza del luogo: il Circolo della Stampa. Fra le tante serate indimenticabili, quella in cui dette il meglio di sé nella veste di presentatore il bravissimo attore di cinema e di teatro Gerardo Placido,
applaudito calorosamente anche da un giovane e frizzante Francesco Salvi, poi arruolato in “Un medico in famiglia” e in altri sceneggiati e film; e quelle dedicate alla presentazione di un volume di straordinarie immagini della Puglia, a cui assistettero più di 500 persone debordanti in una sala attigua;
alla celebrazione dei 700 anni di Martina Franca, stimolata da Francesco Lenoci; e alla figura di un altro Lenoci, Guido, uno dei più grandi galleristi europei scomparso da anni (fece conoscere all’Europa Soldati e Meloni).
Francesco Lenoci al Circolo della Stampa


Al Circolo si andava dunque per partecipare a grandi eventi, ma anche per pranzare con colleghi o amici nel prestigioso ristorante, concludendo con un caffè al bar, di fronte all’ingresso, se non si preferiva sorseggiarlo a tavola. Si racconta di giornalisti che quando imboccano corso Venezia, costellata di palazzi liberty (Bovara, Castiglioni), stile già trionfante da queste parti quando all’Esposizione Internazionale del 1906 ebbe un tripudio, non possono fare a meno di sostare un attimo davanti a questo scrigno di ricordi. Non se la prenda dall’ al di là Ferdinando Bocconi, a cui si riconoscono molti meriti, compreso quello di aver fatto costruire, nel 1908, su progetto di Antonio Citterio, l’edificio destinato ad accogliere il Circolo della Stampa nel 2006, dopo aver voluto, nel 1902, l’Università di via Sarfatti. Assieme al fratello Luigi, con il commercio di stoffe in piazza Sant’Ambrogio era diventato ricco e famoso e aprì sedi non solo in Italia; nel 1865, una bottega di sartoria in via Santa Redegonda e nel 1889 un’altra attività in piazza Duomo con un nome da palingenesi, “La Rinascente”, suggerito da Gabriele d’Annunzio.
Ritratto di G.Afeltra al Circolo della Stampa
Lunga e ricca la storia del vecchio Circolo, sorto per scopi culturali, ma anche per agevolare l’affiatamento tra i giornalisti e tra questi e altri ambienti. Non ci volle molto. Redatto lo statuto, composto il comitato, tracciate le caratteristiche del presidente, che doveva possedere elevate qualità morali e intellettuali, si scelse Renato Simoni, giornalista, critico e autore di testi teatrali, regista… L’idea sembrò naufragare ai primi contatti con il designato, ma alla fine la resistenza cedette, e il commediografo nominò presidente onorario Luigi Einaudi, il quale il 17 dicembre del ’51 tagliò il nastro inaugurale, affiancato dal ministro Gonnella in rappresentanza del governo; da Vittorio Emanuele Orlando, giurista e uomo politico; da Leonardo Azzarita, consigliere delegato della Federazione nazionale della Stampa e da altre personalità. Da allora la dimora culturale dei giornalisti ospitò anche incontri di livello internazionale: il 17 maggio del ’56 tra il capo dello Stato Giovanni Gronchi e il presidente della Confederazione svizzera Feldmann; il 23 giugno del ’59 tra lo stesso Gronchi con il generale De Gaulle… Tra le figure che più di ogni altra si dettero da fare per costruire quest’emblema dell’informazione lombarda, fu Ferruccio Lanfranchi, capocronista del quotidiano di via Solferino nel dopoguerra, promotore fra l’altro del Poliambulatorio Balzan della categoria…, uomo generoso e infaticabile nello sforzo di garantire prestigio alla professione; fedele al motto, “Giornalismo e verità”, tema di un convegno nel ‘60.
Arazzo nella Sala del Caminetto
Una storia, quella del Circolo, fatta anche di progetti discussi nelle sale del caminetto, degli Affreschi; nel salone d’onore; o seduti a un tavolo della biblioteca…; di conferenze; battesimi di giornali; dibattiti, tra cui quello “Su giudice istruttore nel processo civile” dell’1 giugno del ’53, moderatore il Primo presidente della Corte di Cassazione Fula; e in tempi meno lontani quelli con Walter Tobagi, presidente dell’Associazione Lombarda dei giornalisti e inviato speciale del “Corriere della Sera” vigliaccamente assassinato il 28 maggio 1980 da un dai terroristi della “brigata 28 Marzo”. Un delitto atroce che procurò molto dolore a Milano, provata da altre brutalità. I risplendenti, spaziosi saloni di corso Venezia 16 accolsero prelati e illustri esponenti della cultura: il cardinale Giacomo Lercaro, l’amato arcivescovo di Bologna, di cui si ricorda, tra l’altro, l’omelia di condanna dei bombardamenti sul Vietnam (terminati nel ’75 con la caduta di Saigon) pronunciata l’1 gennaio ’68 alla prima Giornata per la pace nella città felsinea; Guido Piovene, che il 13 dicembre del ’59 ricevette il “Premio Rezzara” da Eligio Possenti, scrittore e critico teatrale, direttore de “La Domenica del Corriere”… La memoria degli anziani sforna le immagini di Carlo Carrà, Francesco Messina, Aldo Carpi, Emma Gramatica, Giovanni Battista Montini, che visitò il Circolo da porporato. Era il 15 marzo ’59: l’occasione la proiezione del film “La Redenzione”. Nell’album di famiglia anche il debutto in società delle diciottenni; i balli della Croce Rossa; le sfilate; i concerti (Giulietta Simionato…), le esibizioni dei corpi di danza classica; le mostre di fotografia, di pittura, con le tele di Vincenzo Gemito…; l’”opera omnia” di Ardengo Soffici presentata nel ’59 nella Sala del Caminetto dall’editore Vallecchi; il ricevimento organizzato, nel dicembre del ’60, in onore di Sofia Loren e Carlo Ponti dopo l’anteprima del film “La ciociara”, in prima fila anche Vittorio De Sica; la serata per l’emergente Amedeo Minghi alla fine degli anni ’70 (cantò “Vita mia”…); e le signore in abiti raffinati, belle, simpatiche, eleganti, tra le quali Evy Zamperini, artista di grande talento nel campo dell’ikebana, l’arte di disporre i fiori con criteri simbolici oltre che estetici. Interessanti iniziative hanno alimentato le giornate anche nella nuova sede, a Palazzo Bocconi, al civico 48, a due passi dalla prima, nella stessa arteria, sullo stesso lato, sullo stesso corso, che costeggia i Giardini pubblici intitolati a Indro Montanelli e vanta il Museo di Scienze Naturali e il planetario.
Un palazzo anch’esso importante, notevole, un capolavoro di architettura (dotato tra l’altro di uno dei primi ascensori innovativi di Milano). Ma negli altri saloni, al 16, quasi all’angolo con la via Visconti di Modrone, l’atmosfera era un tantino diversa.
E non certo perché il 15 maggio del 1796, fra le pitture settecentesche, stucchi, ori, marmi, pregevoli arazzi e dipinti sui soffitti, sulle pareti, aveva stabilito il proprio quartier generale il Bonaparte e avevano sognato Metternich, Vittorio Emanuele II e Napoleone III; non certo per le cerimonie che vi si erano susseguite fin dalla nascita del sodalizio, nel ’49. Come quella del 6 aprile del ’61 per la consegna da parte di Luigi Barzini jr, nel primo anniversario della morte di Orio Vergani, del Premio “Corriere della Sera” ad Albeerto Denti di Pirajno per il miglior libro pubblicato. Oggi cattive notizie incombono. Il gioiello del mondo della comunicazione ha lasciato anche Palazzo Bocconi per rifugiarsi in viale Monte Santo 7, dove abitano il sindacato regionale della stampa, gli uffici della Casagit, di cui è solerte e intelligente responsabile Costantino Muscau, già inviato del “Corsera”, e il poliambulatorio dell’associazione lombarda dei giornalisti. Conclusione amara di una vicenda folta di avvenimenti che farebbe sussultare Ferruccio Lanfranchi che del Circolo fu anche il presidente? Una parentesi chiusa? Le parentesi si riaprono. Speriamo che avvenga anche questa volta. Anche i giornalisti hanno un santo protettore.