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mercoledì 27 settembre 2023

Meritato premio a Michele Annese

UN PRIMATTORE, UN APRIPISTA, UN GRANDE

CHE HA DATO LUSTRO ALLA CITTA’ DI CRISPIANO

Premio alla carriera

Uno degli ex sindaci, Scialpi, in brevi pennellate ha tracciato il profilo del premiato. 

Alla cerimonia hanno partecipato anche sindaci di paesi vicini e di Crispiano.

Se a Crispiano ci fosse un albo di “Patriae decus”, dovrebbe iniziare con il nome di Michele.

Franco Presicci

Premio più che meritato. Crispiano lo ha dato a Michele Annese, per l’impegno da lui profuso con l’intento di elevare il clima culturale, non soltanto della sua città. Lo riconoscono in molti, anche quelli che vivono lontano dalla Puglia. Michele Annese ha fatto davvero tanto per il territorio: in anni più recenti ha dato vita all’Università del tempo libero e del sapere, dove ogni settimana si svolgono conferenze su vari argomenti, compresa la vita quotidiana di una volta.

 

Annese, sindaco Serio

Per la cronaca, a rinverdire quei tempi è stato Vito Santoro, bravissimo fisarmonicista e menestrello godibile. Silvia Laddomada, moglie di Michele, che ha illustrato in diverse serate la “Divina Commedia”, e  altri capisaldi della letteratura italiana ed altri amici che hanno intrattenuto i partecipanti con interessanti argomenti storici, artistici, musicali,giuridici, sociali e psicologici. Michele, si è tenuto sempre e continua a tenersi in disparte, per lasciare spazio agli altri. Alle serate partecipa un pubblico entusiasta, tra cui è stato notato spesso il poeta Salvemini, che tra l’altro è stato ospite delle pagine del quotidiano “La Repubblica”.

Il premio consegnato ad Annese è dedicato a tutta la sua carriera: cinquant’anni spesi a creare, dirigere e arricchire sempre più la Biblioteca “Carlo Natale”, e ad organizzare dibattiti, incontri con autori di alto livello, come Alberto Bevilacqua, corsi di ogni genere, dal cucito al computer. Michele Annese è un uomo di talento, sensibile, altruista, che ha a cuore Crispiano e la sua gente, incurante delle umiliazioni, dei bastoni tra le ruote. A suo tempo fu l’anima di un grosso e prezioso volume, “Le cento masserie di Crispiano” (oggi introvabile), strutture rurali, centri e fulcro del lavoro contadino, architetture pregevoli, testimonianze dell’ingegno umano. Il volume, edito nell’88 dopo anni di lavoro tenace e intrepido, fu accolto con notevole interesse dagli intenditori.

Romano Gualdi
Contiene il profilo dei vari complessi rurali, la loro storia, le imprese dei briganti, l’impegno per le gravine…, con un corredo di bellissime foto di Romano Gualdi. Ripeto: lodi a Michele Annese, che in un altro libro, “La Biblioteca di Crispiano”, ha ripercorso la vita di quest’oasi, di cui, ribadisco, è stato pilota per tanti anni, facendo contemporaneamente il segretario generale della Comunità Montana di Gioia del Colle e di Mottola. Anche questa sua fatica ha un valore rilevante, pieno com’è di testi, ritagli di giornali, immagini, titoli., interventi, ricordi personali, insomma una “ricostruzione” minuziosa di un tempio della cultura.

Bevilacqua con alcuni Collaboratori della Biblioteca di Crispiano

Alla presentazione, a Martina Franca, al tavolo dei relatori sedettero fra gli altri Luciano Violante, presidente della Camera dei Deputati, l'avv. Elio Greco, presidente della Fondazione "Nuove Proposte e Franco Punzi, già sindaco di Martina, presidente del Festival della Valle d’Itria e cittadino onorario di Crispiano.  L’evento fu ripetuto a Crispiano, alla masseria Francesca, con altrettanto successo.

Michele Annese a Crispiano è insostituibile. Tra l’altro è anche una persona che mette sempre in evidenza la costanza e la preparazione dei suoi collaboratori, senza mai aggiungere che lui è l’inventore delle idee, il regista, il suggeritore, il comandante della nave. E quando un progetto viene varato da altri, incoraggia, pur stando dietro le quinte, sostiene, consiglia, mettendo generosamente a disposizione la sua esperienza di psicopompo, come direbbe l’indimenticabile Piero Mandrillo.

Ex assessore Ettorre, Annese, Serio
Memorabile la serata alla masseria Pilano per festeggiare il gemellaggio con la Grecia, fra “lìmme” (mi si perdoni il dialetto tarantino) di mozzarelle e canestri di ciliegie- ferrovia. Insomma Michele non è stato solo il cuore della Biblioteca, dove ha realizzato davvero opere tese alla crescita del suo contesto sociale, spesso imitato da altri in provincia, nella regione e oltre. E per dirla tutta, era un piacere, entrando nella Biblioteca, vedere decine di studenti con il capo chino su libri e giornali, e persone anziane desiderose d’informarsi. La Biblioteca ai suoi tempi era una fonte, un pozzo inesauribile, una ricchezza di risorse. Promosse il Centro Montaliano, quindi una estesa collezione di quotidiani e riviste, mostre di pittura, conferenze, dibattiti… Qualcuno disse che se Michele Annese non ci fosse lo si dovrebbe inventare. E menomale che c’è, altrimenti fabbricare uno come lui sarebbe un’impresa ardua.

Un brano della sua biografia non scritta. Un giorno di molti anni fa, vincitore di concorso, decise di trasferirsi al Nord, a Torino. Ma un gruppo di concittadini lungimiranti lo tirò giù dal predellino del treno, supplicandolo di non intraprendere quel viaggio. Se lo avesse fatto, sarebbe sicuramente arrivato ai vertici di una casa editrice o di una istituzione o di altro, ma Crispiano non avrebbe avuto la “Carlo Natale”.

 

A suo tempo presi parte a una rievocazione storica messa in scena in una masseria, dove in un angolo erano sedute donne che lavoravano all’uncinetto o filavano; in un altro erano appostati artigiani e artisti, uno dei quali, Mimino Miccoli, esponeva i suoi don Chisciotte eseguiti con fili di metallo con vera arte (non è il solo soggetto della sua produzione), mentre intorno si aggiravano uomini possenti vestiti da briganti e con i fucili a tracolla.

Sembrava di essere ai tempi di Pizzichicchio, al secolo Cosimo Mazzei, catturato nella gola del camino della masseria Ruggeruddo,  o del sergente Romano o di Ciro Annicchiarico. Una sera mi condusse in un ristorante mostrandomi su una parete un enorme dipinto che raffigurava lo scontro, alla masseria Belmonte, tra la banda di Pizzichicchio e la Guardia Nazionale.(foto sopra).

Lo definisco stakanovista. Infatti non si ferma mai, un’idea, un progetto, una iniziativa a ritmo continuo: c’era lui dietro la sagra delle lumache di Liuzzi, con tantissime persone accomodate ai tavoli disposti vicino alla chiesa della Madonna della Neve a gustare il profumo dei gasteropodi e il loro sapore. Poco prima mi aveva accompagnato a vedere l’allevamento che lo stesso Liuzzi aveva allestito.

Annese,l'attore martinese Montanaro, Silvia Laddomada
Grazie a lui avevo cominciato a frequentare Crispiano, le sue chiese, le sue vie, la Sagra “d’u diavulìcchie askuànde”, la chiesa di San Michele Arcangelo, parroco don Romano, le feste, le processioni viste sfilare dal balcone dalla suocera, Antonietta, donna bellissima e intelligente, cordiale (ricordo i suoi sorrisi comunicativi e gioiosi), il fumo e il profumo “de le gnumarjidde” che usciva dalle macellerie. Non so se a Crispiano esista un elenco di “Patriae decus”, come a Martina, ma se ci fosse, Michele Annese sarebbe il primo della lista.

Ex assessore Frassanito, gruppo di Collaboratori, Annese
Spesso mi sono chiesto dove trovi tanta energia e se la notte riposi senza sognare il programma per il giorno dopo. Tra l’altro è sempre presente alle iniziative di Martina Franca, come la Rassegna musicale, dove viene invitato con Silvia, professoressa d’italiano, “dea ex machina” dell’Università crispianese, che io seguo attraverso Facebook. E lo incontro al Piccolo Teatro di Milano, capoluogo in cui viene presentato il Festival alla presenza di artisti, critici, giornalisti, melomani.

Michele ha anche incoraggiato la Fondazione Nuove Proposte di Elio Greco, commemorato in luglio in una sala del Palazzo Ducale di Martina, occasione in cui è stato tra i relatori con Nico Blasi e Francesco Lenoci…. Adesso ha in mente altri percorsi. Tra cui anche la stesura di un volume.

Che storia, la sua.
 Scialpi,ex sindaco di Crispiano-1984

Con tutto quello che ha fatto nella Biblioteca, le pagine dei giornali dovrebbero essere di gomma per contenerle tutte. Se io e altri conosciamo tante masserie (la Pilano, La Monti del Duca, l’Amastuola, la Triglie…) il merito è suo, di quest’uomo pacato, riservato, schivo di elogi.

Benvenuto, dunque, a questo Premio. Gli è stato consegnato sere fa nella masseria Triglie, dove, durante la manifestazione, hanno parlato i sindaci Serio e il sindaco Lopomo, prima dell'ex sindaco Scialpi che, rimarcando l’attività svolta da Michele, riconosciuta in Italia, ha ricordato l’opera coraggiosa ‘Le cento masserie di Crispiano‘.

Michele, un motore che funziona con continuità e coraggio. C’era, nell’Amministrazione comunale chi remava contro, ha ricordato l'arch. Scialpi, ma Michele Annese è un primattore, che con il suo lavoro ha dato lustro alla città e ha speso la propria vita per contribuire al benessere culturale dei concittadini e alla difesa del patrimonio storico del territorio. Michele a suo tempo ha anche ospitato in Biblioteca il comitato per la difesa delle grotte basiliane. Una vita dedicata al territorio; parole del sindaco Scialpi, che ha concluso con una osservazione molto applaudita: “Ci troviamo di fronte al caso di un padre, Michele, personaggio prestigioso, già direttore di un pianeta culturale e sociale; e il figlio, Gabriele, consigliere comunale”. Auguri a entrambi.

                                            ****************

         IL GRAZIE AGLI AMICI CHE HANNO VOLUTO PREMIARMI

Annese,Serio(alle spalle De Rosa),Lopomo,Scialpi

Doveroso dire grazie agli Amici che hanno voluto assegnarmi il "Premio alla Carriera". Certamente un piacere per me, soprattutto considerando che il rito ufficiale di fine carriera  non si è celebrato, neanche per prassi, nonostante i 50 anni di dedizione, come operatore culturale in un' Istituzione,  diretta alla crescita del paese e alla promozione turistica del territorio. Un motivo in più per publicizzare l'ambito riconoscimento riservatomi, per motivazioni ben più significative: condividere  i meriti attribuitimi con i tanti collaboratori, passati e presenti , che hanno determinato il successo delle iniziative svolte nei 50 anni di attività della Biblioteca di Crispiano. A tanti di loro andava riservato qualcosa in  più del riconoscimento "liberatorio" di fine collaborazione; con l'amico Presicci, autorevole giornalista di "testate" nazionali, che dal 30 dicembre 2015 riserva  la sua seguitissima rubrica settimale a "Minerva News", con costanti riferimenti incoraggianti all'azione promotrice della Biblioteca di Crispiano e "generosi" apprezzamenti agli operatori, me compreso. Soprattutto partecipare ai Lettori la "la conquista di un premio, riferito al lavoro svolto con senso del dovere e di amore per la mia terra".

Nel corso della serata, è stato anche reso un omaggio a Franco Punzi,scomparso da poco.
Ai presenti alla serata, organizzata da un gruppo di Amici, sponsorizzata da Pino Russano, attuale gestore della masseria Triglie di proprietà della famiglia Grippa, sono  stati offerti un piatto con la tipica frisella del forno "Voglia di Pane", preparata dalla madre di Pino, signora Angelina De Rosa o un panino con la salsiccia crispianese della "Macelleria di Fabio Bello". Simpatica presenza dell'attore Lucio Montanaro.
Suggestiva la conclusione della manifestazione: per l’improvvisa mancanza della luce elettrica, il pubblico ha acceso i telefonini illuminando il buio con  centinaia di lucciole.

                                                                                                                        M.A.














mercoledì 20 settembre 2023

Un bel libro di Cataldo Sferra


LA VITA, LE PENE E I TRIONFI

DELLA DIVA ANNA FOUGEZ


Nata a Taranto, non dimenticò

mai la sua città, in particolare

il Mar Piccolo. Deposta nella

Ruota, venne affidata

a una famiglia della città vecchia,

che se la vide portar via quando

la bimba aveva 8 anni. 

 

Franco Presicci

Cataldo Sferra la prende alla lontana. E il lettore lo segue con interesse e piacere. Crea le atmosfere; descrive i piatti da mettere in tavola, gli impegni di ogni giorno, le amarezze, le preoccupazioni… (paste cu le cìcere, ‘u rise c’u burre, ‘na cocchie d’ove sbattute tùtte frìtte, le bandecidde pescate da Ciccille, i pensieri che non mancano mai: ’u marite, ca tèn’u sckifaridde ca stè face acque e l’a da fa vede’ d’o calafatare, le lacreme chiangiute p’a figghia nata morte, e poi le comari, gli amici ca trasene e jèssene, le ‘ndrattine de le peccine c’a mamme ha sciute d’o napuletame a fa’ ‘a spese…).

Stazione ferroviaria di Taranto
I vari momenti della giornata, non sempre spensierati, della famiglia Trisciuzzi, una coppia molto affiatata, tra l’altro disponibile, cordiale con i vicini di casa: favori scambiati, consigli dati e ricevuti,  racconti fatti ai bambini per tenerli a freno, “le rrobbe ca lazzarescene e mo’ ‘nge volene chjù de do tute pe’ fa’ ‘u cange e sckange …eppure quèdde jè ‘na tuta nove. S’hà ffàtte accussi sole indra ‘a ‘na mettute. E le peccerìdde c’avenene abbandunate indr’a Rote”, che stava in vico degli Innocentini…
   Cataldo Sferra narra con delicatezza, cura dei dettagli; descrive gli ambienti, scolpisce i personaggi che vedi agire, muoversi, progettare, entrare e uscire da casa, spignattare; li senti conversare in un dialetto godibile, pieno di suoni, con termini sonori.

Cataldo Sferra e la signora Irene
Il lettore entra nella storia che Cataldo snoda anche con abilità di scrittura, familiarizza con Francesco Trisciuzzi, Cosimina Murianni, la moglie, Maria Serafina Murianni, la sorella, Giulio De Lorenzo marito di Giulia e cognato di Cosimina, e altri. Tutti quelli che popolano il suo libro “Aveva scè accussì – Anna Fougez, storia di una grande diva tarantina”, pubblicato da Edit(a) di Domenico Sellitti. Un libro appassionante, che si legge in poche ore; un libro in cui  aleggia “’na ‘ndìcchie” di odore di mare, quello di Taranto, seducente, incantevole, magico.
   Questo gioiello contiene anche alcune curiosità. “…Arrevò ‘u marìte Andonie e purtàve ‘nu mìenze prulare de cozze e me ne dese ‘na bbèdda chjoppe. Bbèdde, Cusemì, allattamàte e cchiène a pambanèdde, ca quànne l’aprìve spetterràve ‘u frutte da indr’o sckuèrce, tutte fèmene jèvene le cozze…”.  “Femene? -chiede Cosimina – e com’è fàtte a vedè’ ca le  cozze èrene femmene?”. “Le  fèmmene tenene ‘u frutte russe, le màschele vianghe. Certe cozze nàscene màschele e addevendene fèmmene e fànne russe”.
   Cataldo non trascura nulla, dipinge anche figure secondarie ma simpatiche e divertenti, come Vicinze Liccasapòne, ca face do mestìere, ‘u pustine e’u varvìere, conosce tante barzellette e sa recitarle.

Copertina del libro

Per scrivere queste pagine ha fatto ricerche e ascoltato memorie, ha sfogliato carte e documenti in archivi pubblici e privati, ha appreso particolari dalle labbra di parenti attendibili, che hanno vissuto personalmente le vicende della protagonista. Insomma si è trasformato in investigatore acuto e solerte e ha trasfuso le sue informazioni in questa bella commedia cosparsa di gemme. L’armonia tra Cosimina e Ciccillo commuove. Ciccille: “Scè durmime ca dumane jè ‘n’otre giurne”, e Cosimina lo segue, mentre con un sottofondo musicale e un buio assoluto cala il sipario sul primo atto. E aspetti con ansia il secondo.
   Quella Taranto non c’è più da tempo. Sono scomparsi i modi di vivere, di pensare, di agire, di esprimersi. Sono venuti meno in gran parte la solidarietà, i rapporti umani di quei tempi. Il mondo cambia, s’arrevòte”, perde i valori, le prospettive. Non sono più i tempi tradotti in versi da Diego Fedele e dagli altri grandi poeti, da Marturano a Petrosillo. L’egoismo domina, il menefreghismo pure, le città sono diventate caotiche, le campagne sono attraversate da attrezzature tecnologiche, i bambini crescono più in fretta, i genitori sono più disposti alle concessioni, le strade sono insicure, la frequenza dei fatti di sangue è allarmante.

Via D'Aquino

In un mondo dunque assai diverso da questo si verifica l’evento al quale ci stiamo avvicinando. Giulia confida a Cosimina di aver visto un uomo con uno scialle ‘ndurtegghiate ‘mbàcce, che  si accosta alla Ruota e vi depone un borsone con dentro una bambina appena nata; suona il campanello della casa della donna addetta al servizio e sparisce nel buio e nel silenzio. Cosimina ha lo slancio di andare a prenderla, quella piccolina sfortunata. Non solo: la vuole addirittura adottare. Deve parlarne con Ciccillo, ma non può affrontare il discorso in modo diretto. E così dice e non dice, si rassicura che ascoltandola il marito non si alteri e quando si convince che tutto filerà liscio glielo dice chiaro e tondo, tanto non sono poche le persone che pur avendo figli propri, vanno a scegliersi quelli abbandonati. E loro non ne hanno, di figli. Ciccillo, medita, tituba, la scoraggia, poi cede e confessa che anche lui ha voglia di avere in casa un neonato che li chiami papà e mamma. Cosimina lo abbraccia e gli dichiara tutto il proprio amore. Ancora sottofondo musicale, si spengono le luci e giù il sipario.

Collezione Sferra
Quando il palcoscenico si rianima, I coniugi Trisciuzzi-Murianni, accompagnati da un buon numero di amici, vanno in vico Innocentini dalla ruotiera Rosa Bergamo per chiedere la bimba. E’ presente un addetto comunale degli esposti, che annota la richiesta, compila gli atti necessari per la consegna, i riceventi e i testimoni appongono una croce, essendo tutti analfabeti, e dichiara che Maria Annina non è battezzata.

Via Garibaldi

Cosimina se la porta a casa, le dà il benvenuto, si brinda, si pensa al giorno del Battesimo e Giulia pretende di essere lei ad assumere il ruolo di comare, essendo stata lei a rivelare a Cosimina la scena dell’uomo che deponeva il “fagottino” nella Ruota. Quindi è a lei che spetta l’onore e il piacere. Il compare sarà Angelo Capriulo, commerciante. Si recano alla Chiesa di San Cataldo, da don Gesèppe Mannavòle, per accordarsi sulla data della cerimonia al fonte battesimale.

 
Dopo due anni Cosimina mette al mondo un bel bambino, a cui danno il nome di Gaetano. Poi Annina compie sette anni e frequenta “na maestre”, che sa allevare bene i bambini. Annina è diligente, ama cantare, ballare e recitare e ogni giorno si rivela sempre più brava nell’arte del teatro. Nella ricorrenza del settimo anno il padre le dà in regalo un corso di danza tenuto da una insegnante privata. Un giorno Annina esce da una stanza indossando un maglione lungo e una sciarpa di Cosimina intorno al collo.  Canta, fa passi ritmici: sembra una regina della ribalta. Ha già dentro il teatro.

Il Ponte

Ma dietro la porta di ognuno c’è spesso una sorpresa amara. E a quella di Francesco Trisciuzzi e di Cosimina Murianni picchia un vigile urbano: “Lei e la signora il 10 luglio de1894 avete preso in affidamento dalla routiera Rosa Bergamo la piccola Maria Annita Licata, vero?”. Un fulmine, un uragano di sentimenti, disperazione. Loro Annina l’hanno accolta come una figlia vera, quale affidamento a tempo determinato? Ma sui documenti che ha in mano l’uomo in divisa non risulta: Annina non è stata adottata. Non hanno seguito la procedura. Cosimina non sa a che santo rivolgersi, ma i santi non hanno autorità nel mondo del diritto. Presenti sono gli zii di Annina, che pretendono la consegna. La stessa Annina piange, si lancia sulle ginocchia della madre, si rifiuta di seguire il vigile e quei parenti. Si rasenta l’aggressione, Angelo blocca l’arma impropria che compare nel clou della scena, Cosimina urla. La commozione avvince il lettore, che partecipa al dramma. Ciccille si dà la colpa di essere affabbète, di non aver fatto leggere le carte a chi ha dimestichezza con le parole scritte.

Sferra, De Florio, Presicci e Giudetti
Cataldo delinea molto bene il momento, la sua bravura si accentua. Il fluire della narrazione si fa intenso, si tinge di giallo: Annina è scomparsa, i carabinieri tornano in casa Trisciuzzi, sono sicuri che la bambina l’abbiano nascosta da qualche parte loro, che si alterano, minacciano, insultano; Cosimina invoca la Madonna Addolorata. Forse Annina si è rifugiata al Borgo. Comincia la ricerca. Sono attimi avvincenti e coinvolgenti. Passano le ore e Annina viene scovata in un portone di via Anfiteatro nei pressi del Teatro Andronaca. Piange. E piange anche Cicciillo, che è stato tenuto lontano dalla bambina.  Gli anni passano lenti e angosciosi, e un giorno ai Trisciuzzi arriva una lettera di Annina: ha fatto strada, va da un teatro all’altro, li pensa sempre con amore: i suoi genitori sono Cosimina e Ciccillo, nel suo cuore. Ed ecco un suo spettacolo al Teatro Orfeo annunciato da un manifesto. La gente commenta, contenta: “Viene a Taranto, la Fougez, viene al Teatro Orfeo”. E già famosa, amata, esaltata, celebrata. Al Teatro Orfeo è un trionfo. La diva scende in platea, dona rose ad alcune donne sedute in prima fila, tra cui Cosimina, ritorna sul palco e canta “Il tango delle rose”.  Adesso un applauso anche per Cataldo.  

                                                                       















mercoledì 13 settembre 2023

E’ scomparso il notaio Alfredo Aquaro

UN MODELLO, UN GENTILUOMO VERO - MARTINA NON LO

DIMENTICHERA’

Il notaio Alfredo Aquaro

Magnanimo, rispettoso, elegante nell’animo, valori dimostrati ogni giorno, in ogni occasione, devoto di don Tonino Bello, presente fra tanti altri devoti alla processione della Madonna della Consolata sulla vecchia strada per Noci. 

Era lui che organizzava La Cicloturistica del plenilunio d’agosto.

Appassionato della bici, pedalava a Martina e sul

Lago di Garda, dove aveva una villa.

 

Franco Presicci

Martina Franca piange per la scomparsa, a 86 anni, di un uomo eccezionale: il notaio Alfredo Aquaro, buono, generoso, disponibile, discreto, rispettoso. Lo conobbi anni fa ad una delle manifestazioni di Nico Blasi e lo rividi alla presentazione, al Piccolo Teatro di Milano, del Festival della Valle d’Itria, dove offriva la degustazione al numeroso pubblico. 

Uno dei regali del notaio Aquaro ai ciclisti
Il notaio Alfredo Aquaro al festival 

Anni fa andai a trovarlo nel suo studio di Foro Bonaparte a Milano e mi regalò cinque copie della “brochure” edita il 22 ottobre del ‘94 da Villaggio In, con testi di Blasi, disegni a china del pittore Vincenzo Milazzo, “Masciari e monacelli nel folklore di Martina Franca”. Mi ricevette con tanta cordialità e conversando mi chiese tra l’altro i motivi della mia grande passione per la città dei trulli, dimostrata in vari articoli su settimanali e periodici. Un colloquio di poco più di mezz’ora, violando qualche impegno che sicuramente aveva. L’ho incontrato più volte a Martina: a Villaggio In, dove mi avvolse una pace ristoratrice; e alla processione della Madonna della Consolata, sulla vecchia strada per Noci, in qualche tratto fiancheggiata da un bosco, da vigneti e case incappucciate che vincono il tempo.
In una di queste occasioni mi accennò a due bambini disabili, ai quali era affezionato (ogni volta acquistava per loro un sacchetto di arachidi, nocelle e di altro ammucchiati su una bancarella). Rimanemmo un bel po’ a discutere della festa rurale, prima che si aggiungesse, dietro la statua, ai fedeli con in mano una candela. La processione era aperta da un ragazzo, Vito, che reggeva una croce.

Franco Punzi a Milano
L’anno scorso alla festa non ci andai e chiesi a Vito Argese se lo avesse  visto. Non lo aveva visto. La volta precedente avevo avuto l’impressione che non stesse bene. Lì ascoltai alcune voci: “Che brava persona, il notaio Aquaro”. “Segue gli umili come fosse uno di loro”. “E’ una persona di eccezionale umanità”. Dopo un giro lungo nella campagna, la Madonna tornò nel piccolo tempio, mentre calava il buio e la gente aspettava i fuochi, più modesti di quelli per San Martino. Alfredo Aquaro esprimeva dolci sorrisi, mettendo gli altri a proprio agio. Era pacato, magnanimo, discreto. Qualche anno una signora gli si avvicinò, rivelando il desiderio di ospitare nella sua auto bella e curiosa la sorella e il marito al termine della cerimonia per il loro anniversario di matrimonio. Arrivò, prese a bordo la coppia, Antonella e Nicola, e fece un breve “tour” sul piazzale della chiesa di San Francesco.

Messia a sinistra

Fu un corollario gioioso, memorabile: “Noi siamo stati su una macchina guidata dal notaio Aquaro, il giorno del nostro venticinquesimo". Alfredo non sapeva chi fossero i due festeggiati. Ho chiesto a Benvenuto Messia, poeta dialettale, attore, fotografo e appassionato ciclista, noto come Ben, martinese doc, di parlarmi di Alfredo; e ho riempito cinque o sei fogli di appunti. “Gli dedicai una poesia in dialetto, dovrò leggertela io, perché il nostro dialetto, come sai, è difficile. Sono tanti i ricordi che ho di lui, e se sturo la memoria facciamo sera. Era lui, u’ nutère’ che sovvenzionava e organizzava la ciclopasseggiata del plenilunio di agosto, che si concludeva con una spaghettata in piazza.

La bici donata a Messia

 

 

Faceva regali ai partecipanti e a me una bicicletta pieghevole. Un anno dette a ciascuno di noi un casco. Enorme la sua generosità”. Vado a Martina dall’età di 11 anni, ma capisco poche parole del vernacolo, i cui suoni comunque mi affascinano. E in quei versi Ben ringrazia “u’nutèr",  che si prende sempre fastidio e da Milano non viene mai con le mani vuote: porta sempre un regalo a tutti quanti noi, appassionati della bicicletta, ma non per questo preghiamo che campi cent’anni. Vuole assai bene a Martina, quest’uomo dal cuore grande. "Un anno ci consegnò una maglietta con lo stemma di Martina con la cavalla”, la grande Martina, la splendida Martina, la meravigliosa Martina. “A Villaggio In e al notaio saremo sempre grati e ci auguriamo che alla passeggiata del plenilunio dell’anno venturo sia ancora con noi”, sulla sua due ruote.

Nico Blasi

Nico Blasi mi ha sorpreso: lui apparentemente dalla scorza dura, si è commosso ricordando Alfredo Aquaro, un nobiluomo vero. “La passeggiata d’agosto ha avuto 25 edizioni ed è sempre stata molto seguita. Al momento della partenza non ti dico la gente che si riuniva vicino al Villaggio In. Faceva tutto lui, attento ai minimi dettagli. Anche lui amava pedalare e lo faceva a Martina e sul lago di Garda, dove aveva una villa. Decine di chilometri al giorno, un corridore dilettante ed entusiasta. Era intellettualmente curioso, faceva spesso domande”. Di Nico Blasi Alfredo aveva una grande stima. “Eravamo molto amici, sinceri”. Quando si telefonavano, le prime parole erano: “Ehi, amico”. La parola amicizia tra loro non era sprecata, non era una scatola vuota. Smetto di fare domande, sospettando che Nico stia per cedere all’emozione. E non gli piacerebbe. Il dolore va vissuto in silenzio. La bruttissima notizia della morte di Alfredo Aquaro l’ho avuta da un altro amico del notaio: Francesco Lenoci, che quando l’ho incalzato, commosso a mia volta, mi ha detto: “Ogni nostro incontro, sia a Milano che a Martina, era motivo di grande gioia. 

Francesco Lenoci con Alfredo Aquaro

Entrambi innamorati del Festival della Valle d’Itria, i cui consensi spaziano in tutto il mondo; entrambi devoti di don Tonino Bello; entrambi consapevoli della straordinaria valenza di un sorriso”.

E sul sorriso di Alfredo è tornata la figlia Claudia: “Nonostante tu abbia lottato in modo encomiabile senza mai perdere il tuo sorriso, l’ottimismo, la tua forza e la forza di vivere che ti hanno sempre contraddistinto, ad un certo punto il fisico ha dovuto cedere”. E ha aggiunto: “Queste e altre tue virtù ti accompagneranno in Paradiso. La famiglia, l’amicizia e la tua adorata professione, raggiunta con tantissimi sacrifici, rinunce e sofferenza, erano pilastri fondamentali della vita”. I tasti del computer su cui scriveva questi pensieri si sono probabilmente inumiditi e Claudia ha messo il punto.

Il notaio Aquaro e Michele Annese a Milano
Ma chi ha stimato, amato, ammirato, preso ad esempio Alfredo, non metterà sicuramente il punto ai ricordi, terrà sempre davanti a sé la sua figura di uomo ricco di valori, primo fra tutti l’amore per gli altri. La notizia, dice Michele Annese, "mi ha particolarmente colpito e addolorato, ricordando l'uomo che in varie occasioni,  mostrava la sua signorilità e la sincerità di un vero amico. Con Alfredo Aquaro abbiamo condiviso l'entusiasmo per il festival, che puntualmente veniva presentato a Milano, con l'organizzazione magistrale del compianto Franco Punzi, supportato dall'amico Alfredo Aquaro". Mentre scrivo, Benvenuto Messia mi ha mandato una foto della bici pieghevole e di altri oggetti donatigli da Alfredo. “Sono per me delle reliquie, meritano un posto d’onore”. La figlia Claudia ha annunciato che dopo quella  nella chiesa di San Francesco Saverio, in via Monte Rosa 81, a Miano, sarà celebrata un’altra messa nella chiesa dei Santi Generoso e Protasio a Giovenzano. Insomma, dopo Franco Punzi, presidente del Festival della Valle d’Itria, ogni anno applaudito al Piccolo di via Rovello a Milano, soprattutto dal direttore del teatro Sergio Escobar, se n’è andato un altro pezzo di Martina, della Valle d’Itria; un pezzo importante che adesso brilla altrove, tra miliardi di stelle. Addio, Alfredo, non ti dimenticheremo, resterai sempre un modello.









domenica 10 settembre 2023

Ricordo di don Martino Calianno

don Martino
AMATO DA TUTTI I MARTINESI

ERA SEVERO, BUONO E DOLCE


Io ero un vero monello, a 12 anni

scalavo un ciliegio di quattro piani

catturavo cicale, lucertole e grilli

contro la sua volontà. Tra sorrisi e

rimproveri m’insegnò a rispettare

le creature. Oggi do asilo agli uccelli

senza tetto, pensando a lui.

 

 

Franco Presicci

Zio Martino, canonico penitenziere alla Collegiata, cella città dei trulli, era intransigente, ma in fondo comprensivo e generoso. Quando esprimeva il suo pensiero bisognava eseguire senza replicare.

Lo stradone di Martina
Ma aveva un grande cuore. Praticamente è stato lui, oltre a mia madre, a darmi alcuni insegnamenti sul come stare al mondo. Se qualche volta io e mio cugino Enzo, un anno più grande di me, facevamo i furbi, o davamo questa impressione, lui non esitava a punirci.

Una volta in campagna superammo il muretto a secco che segnava il confine con la campagna di una famiglia di amici, che ci veniva di rado, entrammo nel trullo attraverso un finestrino semichiuso e ci mettemmo a ballare sui materassi pieni di foglie di granturco stesi su “le trestìedde”. Enzo, “ca no se sapève tenè’ do’ cìcere ‘mmòcche”, lo disse alla nonna, e lo zio, che stava leggendo il breviario, catturò la confessione e intervenne. “Quante volte vi devo dire che bisogna rispettare la cosa altrui? Oggi, a tavola, niente secondo”. Noi non replicammo e abbassammo il capo.

La chiesa della Consolata

E lui provvide, sempre attraverso la nonna, sua sorella, perché quel piatto ci fosse dato. Ma avevamo la testa dura, anzi dura ce l’avevo io, perché Enzo mi seguiva senza pensare, e valicammo altre volte quel muro a secco anche perché dal fondo dell’amico si poteva raggiungere il boschetto, che volevamo esplorare. Una volta ci rifugiammo nell’uccellanda che il vicino aveva costruito per soddisfare la sua passione per la caccia, arrivò la figlia, avvertì dei rumori, cominciò a indagare e ci sorprese. “Beh, e voi che cosa fate qu? Se viene a saperlo don Martino, e non è detto che io non glielo dica, non la passate liscia. Su tornate subito al vostro nido”. La supplicai di tenere la cosa per sé e lei rispose che ci avrebbe pensato, ma passarono i giorni e don Martino lo seppe. Ne combinavamo sempre una.
Vigneto

Il trullo di zio Martino
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi era stato proibito di fare lo scoiattolo sul ciliegio, che mi affascinava per la sua altezza, e io non perdevo occasione per scalarlo fino alla cima, dalla quale contemplavo un panorama incantevole e la vista di tutto il tratturo, quindi potevo vedere don Martino arrivare con la sua tonaca vecchia, il suo cappello che forse aveva attraversato tutto il suo percorso di prete, il bastone e il breviario sotto il braccio. Un giorno Enzo, mentre scendevo da quel colosso, mi lanciò una pietruzza, io persi l’equilibrio, lanciai un grido che penetrò le orecchie dello zio intento ad aprire il cancello di ferro. Naturalmente si preoccupò e volle sapere che cosa fosse successo: io farfugliai non riuscendo a intortare una risposta, mi tradii e apriti cielo. Ero sempre colto in fallo, mai una volta che compissi un gesto meritevole di un apprezzamento, mi sentivo in colpa, fatto male, incapace di essere migliore, sempre in colpa verso quel sant’uomo. 

Il nonno

Allora mi dava sollievo il nonno, che per me era un salvagente. Mi sedevo accanto a lui sotto la bouganville che dava ombra al piccolo piazzale davanti al trullo e mentre fumava la sua pipa di canna ricurva e il camino di terracotta mi sfogavo. Il nonno aveva sempre una buona parola per me, e mi diceva di stare tranquillo, perché i ragazzini di solito sono vivaci e vanno compresi. Si alzava e tagliava un piccolo grappolo di uva da tavola dalla vite che stava sulla sinistra del cancello e me lo dava. Così anche lui trasgrediva alle regole dettate dal cognato, che voleva tenere vergine quel piccolissimo vigneto sino alla vendemmia. Nonno Ciccio nutriva un grande rispetto per don Martino, un mito, amato e rispettato da tutti i martinesi. Ma non poteva fare a meno di essermi complice, perché ero Francesco come lui e figlio del suo figlio maschio. Non così la nonna, Graziella, che aveva invece una predilezione per Enzo, che a Taranto, morto il nonno, prese a dormire con lei, posto che usurpavo io, quando lui andava con i suoi a Martina. Un’altra proibizione che ci aveva imposto don Martino era quella di lasciare in pace i grilli, le cicale, le farfalle e le lucertole. Le cicale era difficile catturarle, perché avvertono subito il rumore dei passi, tacciono e non si riesce a individuarne la posizione. Io mi avvicinavo scalzo, mi arrampicavo sul tronco con molta accuratezza e, zac, le imprigionavo nella mano destra. Le lucertole le prendevano con un cappio fatto con una festuca. Era dura, ma a volte ce la facevamo. Le mostravamo soltanto a zio Dionigi, che col tempo diventò il mio modello. 

Zio Dionigi
Grande zio Dionigi: giocava con noi soprattutto alla livoria, il gioco che si faceva a Taranto con due palle d’acciaio, “’a scìgghie” (un cerchio di ferro con una specie di chiodo per conficcarlo nel terreno e una paletta di legno ritagliata da noi stessi). E quando poteva, faceva di tutto per nascondere le nostre marachelle anche alla nonna e a Nina, sua moglie, severa e intransigente. Ho amato zio Dionigi più di me stesso. Quando il nonno se n’è andò in cielo – io avevo soltanto 13 anni – zio Dionigi prese il suo posto nella mia vita. Lui sapeva tutto di me, non gli nascondevo niente, chiedevo ed eseguivo i suoi consigli, i suoi insegnamenti. Tornando a don Martino, con il passar del tempo ho capito che la sua severità verso di noi era un po’ una maschera. Ma noi avevamo bisogno di tiratine di orecchie almeno tre volte al giorno. D’inverno passavamo una ventina di giorni in via Marangi, dov’era la casa dello zio prete. Un anno ci fu una grande nevicata e zio Martino, uscendo per andare in chiesa, ci raccomandò di rimanere in casa. Ne avevano già spalato una buona parte, ma non era ugualmente il caso di affrontare quella coltre bianca. E non era neppure il caso comunque di contravvenire alla richiesta dello zio. Ma un tentativo di disobbedire mi venne. Ero un monello, ma a volte sapevo trattenermi. Lo zio, con i suoi occhialini alla Cavour, quasi sempre con il breviario in mano, in casa non indossava la tonaca. Era spesso seduto nella sua stanza, vicino al letto a pregare.

La chiesetta di campagna
Forno acceso

Era anche simpatico, specie quando si concedeva allo scherzo, soprattutto con il nonno Ciccio, che per lui aveva una venerazione. “Martino, quando vieni a Taranto?”. “Verrò, verrò, Ciccillo, vedrai che prima o poi verrò”. Ma non ci veniva mai. Usciva con la sua tonaca linda anche per andare a dire Messa nella chiesetta che stava, e sta, a due passi da casa sua. Quando stava da solo le pie donne gli portavano il piatto di maccheroni con il sugo Tanti martinesi non lo hanno dimenticato. Quando qualcuno fa il nome di don Martino gli ultraottantenni fino a qualche tempo fa frugavano nella memoria e poi: “Ah, sì, don Martino, come no? Lo conoscevo!”. Il maestro Oronzo Carbotti, che in età avanzata ho frequentato molto, lo raccontava con ammirazione. Ricordo che, sfollati in campagna sul Chiangaro durante la guerra, quando Enzo e io, più io che Enzo, facevamo un’impertinenza, lui si appostava sul bordo del piazzale e gridava: “Fullone, che devo fare di questi discoli di Taranto? Aiutami tu”. Naturalmente lo faceva per scherzare: Fullone, preside del liceo scientifico di Taranto e suo amico, aveva la campagna molto lontana dalla sua. Ma non eravamo proprio dei Giamburrasca (Il nonno l’aveva capito e ogni tanto mi faceva l’occhiolino, per dire: “Sei proprio un birichino”). Alla fine, assimilammo le regole dettate dallo zio Martino, ricevendo elogi e sorrisi, anche perché davamo una mano in casa: cacciavamo le mosche prima di metterci a tavola, secondo la tecnica suggerita da don Martino (io sventolavo un panno, Enzo apriva e chiudeva la porta in modo che gli insetti evacuassero), con il cesto raccoglievamo i fichi, collaboravamo per la vendemmia e una volta con il cappello da prete in testa, per ripararci dal sole, zappammo una striscia di terra in segno di buona volontà. E quando zio Martino, riceveva qualche sacerdote desideroso di confessarsi, noi andavamo verso il trullo di Antonietta, quasi sempre solitario, e intorno al nostro si creava un silenzio assoluto. Insomma, zio Martino è stato un ottimo precettore; e se io sono oggi quello che sono lo devo anche a lui.