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mercoledì 25 maggio 2022

Elogio di una città che non sta mai ferma

Francesco Liuzzi con la moglie Chiara Mazzoccoli

UN ALLEVAMENTO DI

LUMACHE CHE SORGE,

CRESCE E MUORE PER

COLPA DELLA SICCITA'.

 

Nel 1999 nella masseria 

“La Pizzica” della famiglia

Piangerino, si svolse un

convegno, che stimolò alcuni

giovani di buona volontà a

impegnarsi in questa

attività, che non va svolta

con leggerezza.

 

 

Franco Presicci


Fino al 2001 la culla delle lumache in Puglia era a Crispiano, cittadina in provincia di Taranto, ricca di iniziative realizzate sempre a regola d’arte. Ad avere l’idea era stato il dottor Francesco Liuzzi, che all’età di cinquant’anni aveva perso il posto di lavoro perchè l’azienda in cui lavorava aveva chiuso definitivamente i battenti; e siccome in queste situazioni se non spremi il cervello sei perduto, il dottor Liuzzi, pensa e ripensa, si impegnò con coraggio e determinazione in questa lodevole impresa, denominandola “L’oasi delle chiocciole”. 

Campo allevamento chiocciole
“Una novità assoluta per il Tarantino”, commentava con il suo solito entusiasmo Michele Annese, profondo conoscitore della sua terra. Liuzzi, persona amabile e concreta, seria e preparata, laurea in Sociologia, la allestì su un terreno preso in affitto dall’enologo Vito Luccarelli. Furono in molti ad andare a visitarla. Io stesso, stimolato anche dalla curiosità di vedere come fosse fatto un allevamento di lumache, accettai volentieri l’invito. E Liuzzi mi spiegò dettagliatamente come mettere su una dimora di lumache, come proteggerla dai pericoli e come assicurarle la continuità. Lo spazio era rettangolare, erboso, incastonato in un’ampia campagna con qualche casupola lontana. 
Franco Presicci,Francesco Liuzzi,Chiara Mazzoccoli
Nei primi due anni l’attività andò a gonfie vele, producendo parecchi quintali di lumache (anche perché i campi erano aumentati, diventando 33), che venivano mandati ai migliori ristoranti di Martina Franca, Locorotondo, Ostuni, persino a San Giovanni Rotondo, dove per la sagra del paese venne fornito un quintale di delizie. Il dottor Liuzzi partecipava a tutte le sagre affollate e importanti, e a solennità rituali e rinomate. Il suo ostello di lumache destinate alle pentole più esigenti era apprezzato e richiesto dappertutto. Alla festa della Madonna della Neve, il 5 agosto del 1999, lui e sua moglie Chiara Mazzoccoli arrivarono, nel punto in cui il municipio crispianese guarda la chiesa patronale, con i loro contenitori pieni di “escargot”, non so più se cotti alla Bordeaux o alla Bourgogne o alla “parisiènne”, oppure alla maniera delle nostre nonne, che erano maestre dei fornelli, arte che trasmettevano alle figlie volenterose. Il mollusco, appartenente alla famiglia dei gasteropodi, era squisito ed erano in molti a dirlo ad alta voce. Era servito in una coppetta bianca personalmente dal coltivatore. Poi nel 2001 la siccità fece un disastro e l’”Oasi delle lumache”, che era stato depredato dai ladruncoli. si trasformò in un sogno svanito. Lo ricorda, Liuzzi, un pomeriggio nell’ufficio di Annese nella biblioteca di Crispiano, durante un’intervista, in cui tra l’altro mi comunicò che il suo allevamento si era ingigantito, e lo fece senza atteggiamenti trionfalistici, ma con i suoi soliti toni bassi e un pizzico di soddisfazione che lo rendono più simpatico.
insegna del convegno  
Pasquale Miccoli,Antonio Gentile,Michele Annese, Oronzo Perrone,Luca Ficco e Franco Liuzzi     

Ed era sorridente, sempre nel maggio del 1999, al convegno, nella struttura rurale “La Pizzica” della famiglia Piangevino, sull’”Allevamento delle lumache da gastronomia in Puglia, situazioni e prospettive”. Un incontro molto interessante, al quale presero parte oltre 450 persone e sei relatori: Antonio Gentile,

 

commissario straordinario della Comunità Montana Murgia tarantina; Pasquale Miccoli, assessore all’Agricoltura del Comune di Crispiano; lo stesso Franceso Liuzzi, Oronzo Perrone, esperto regionale di elicicoltura; Luca Ficco, titolare dell’azienda “Tecnoelix” di Lecce (conservo una “brochure” e gli atti). Si parlò a lungo di lumache, tra l’altro un piatto tipico delle mense dei buongustai pugliesi. ”Ma purtroppo – sottolineò Ficco - il loro consumo si mantiene attualmente quasi esclusivamente concentrato in certi periodi dell’anno”. Questo perchè la specie di chiocciola “più fortunata” è la “Helix Aperta”, altrimenti detta “monacella”, che viene messa in commercio specialmente nel periodo estivo per il semplice motivo che solo allora forma l’opercolo, quella lamina bianca che si stende sulla bocca della chiocciola. “Quindi soltanto una vasta diffusione dell’altra specie, la “Helix Adspersa”, potrà ovviare all’inconveniente potendosi questa riprodurre in cattività con sistema a ciclo biologico completo”. 

Confezioni di chiocciole pronti per il mercato
Furono poi illustrare le fasi del processo produttivo, indicando l’accortezza da osservare nella scelta del terreno, che deve avere precise caratteristiche anche dai punti di vista climatico-ambientale e morfologico; nella concimazione della vegetazione; nella disinfestazione chimica; nell’introduzione delle chiocciole nei mesi ideali, che vanno da maggio alla prima quindicina di luglio. Il convegno, aperto da Michele Annese - solerte e appassionato direttore di “Minerva”, già segretario generale della Comunità Montana; dinamico, competente, accorto e colto direttore della Biblioteca Comunale “Carlo Natale”, in via Roma - prima, e per molti anni, che il luogo sacro venisse sconsacrato, lasciando a casa una quindicina di validissimi collaboratori - fu seguito con molta attenzione anche da molti giovani, alcuni dei quali espressero la volontà di dedicarsi a questa occupazione, prendendo lezioni da “maestri” della zona di Lecce, che da anni conducono ottimi allevamenti. Altri presero la parola per annunciare che la stavano già attuando nei loro paesi di appartenenza, e a tempo pieno, “perché – aveva avvertito un esperto intervenuto al convegno, l’allevamento delle lumache non è un’attività che si possa intraprendere per passare il tempo. Fu quella un’occasione di grande soddisfazione: La Puglia si stava muovendo, dimostrando volontà di fare, intelligenza, competenza.
 
Cestini di chiocciole
Al termine della manifestazione furono offerte lumache a tutti, al sugo o con aglio e prezzemolo. A due passi da me avevo una persona illustre e alla mano, ironica, molto apprezzata e amata a Crispiano, Francesco Paolo Liuzzi, di professione pediatra e sindaco del paese. Liuzzi mi esortò a sedermi di fianco a lui e mi stimolava a servirmi più volte: “Manìscete, pìgghietene ‘n’òtre, so ‘n’amòre”. ”Ma ho il colesterolo alto”, rispondevo. “La lumaca lo ammazza, il colesterolo, dagli addosso, coraggio! Fattelo dire da un pediatra”. E la gola vinse la prudenza. Il sindaco mi piaceva. La prima volta che lo conobbi eravamo a tavola in una masseria e, rivolto ad Michele, chiese sottovoce. “Ma ‘stu giurnaliste no’nge parle maje? Cum’è ca stè’ sembe citte?”. E Michele: “Vedrai la prossima volta”. Tornando al convegno, devo dire che fu per me molto istruttivo. Per esempio, appresi che la lumaca Helix contiene mediamente il 12 per cento di proteine di elevato valore biologico e un basso contenuto di grasso (0,9 per cento).
 
Come si è visto, scrivendo questo articolo ho dato ampio spazio al dottor Francesco Liuzzi e al suo allevamento di lumache. Encomiabile e sfortunato. L’ho sentito giorni fa ed era amareggiato, come lo sono le persone che vedono le loro opere ridursi in cenere non per loro colpa. La Regione avrebbe potuto dargli una mano. “Pensi che in Sicilia questi allevamenti stanno prendendo piede”. Non me la sono sentita di dirgli una parola di vicinanza, perché spesso queste parole vengono bollate come retorica. Ma da quel dialogo sono uscito sconcertato. Mi viene in mente che avevo raccontato a un mio collega del “Giorno”, Piero Borsotti, laurea in geologia, dell’impresa di Francesco Liuzzi, e lui, che nel tempo libero non riusciva mai a starsene con le mani in mano, e curava l’orto, creato per scopi didattici, della scuola della figlia, decise di mettersi a studiare per dar vita a un allevamento, in miniatura, prendendo esempio da Liuzzi. Non si dovrebbe mai lasciar morire un’opera dell’uomo che è costata sacrifici, impegno, fatica. La siccità ci viene dal cielo avaro di pioggia e quando arriva produce danni., provocando spesso lacrime e sangue. Quella di Francesco Liuzzi è stata un’idea bellissima, avviata in un momento particolare: la perdita del posto del lavoro. Per realizzarla non aveva chiesto niente a nessuno. Ricordo la sua contentezza quando invitò me e tanti altri a vedere il luogo in cui crescevano le sue bestioline e i commenti delle persone presenti. Un signore anziano continuava ad esaltarlo perché aveva installato questa “fattoria” nella città delle cento masserie. Crispiano è un paese laborioso, con la voglia di migliorare e realizzare. Quando Annese era alla guida della biblioteca vedevo tanta gente, giovani e vecchi, con il capo chino su un libro o un giornale. Gente che voleva arricchirsi dentro. Un esempio oggi è l’Università del Tempo Libero e del Sapere, direttrice Silvia Laddomada, dove si discute, s’informa, si costruisce, avendo sempre un pubblico attento. Sere fa ho ascoltato una conferenza dell’avvocato Tommaso Chisena su Moro. Ho sempre apprezzato lo spirito d’iniziativa di Crispiano (il presepe vivente, la sagra del peperoncino piccante, tutte le iniziate forgiate nella biblioteca: una fucina di idee). Ma non si può fare tutto e sempre da soli: una mano deve venire anche dall’esterno, soprattutto quando un edificio crolla, una conquista svanisce. Quel giorno del 1999, si respirava aria di ottimismo e me la portai fino a Martina, dove vado a villeggiare ogni anno. Adesso quell’aria, anche per altre ragioni, si è attenuata. E sono davvero dispiaciuto che quell’allevamento non ci sia più, anche se il mio dispiacere non risolve niente.












 

mercoledì 18 maggio 2022

Martina Franca, città luminosa

Peppino Montanaro

ARRIVANO I TURISTI, ATTRATTI

DAL PAESAGGIO INCANTEVOLE


E anche i melomani per il Festival

che inizierà il 19 luglio. Il ricordo di

tante persone che ho frequentato

In anni e anni di soggiorni nella Valle

d’Itria. Molti di loro sono scomparsi

e altri sono ancora con noi, brillanti

come giovanotti



 

 

Franco Presicci

Aria di Festival, a Martina Franca. Aria di musica. Il belcanto andrà in scena il 19 luglio (lo abbiamo già scritto), atteso con ansia da moltissimi melomani. Sin dalla prima edizione la rassegna, conosciuta in ogni parte del mondo, ha calamitato la loro attenzione e il loro entusiasmo. Il mio amico Geseppe, che di mestiere faceva il contadino, potava gli alberi canticchiando il “Rigoletto”. Lui non c’è più da vent’anni; il suo campo, che sfiora la via, l’hanno venduto, ma io quando ci passo mi fermo a guardare quei trulli con nostalgia; e mi par di vedere la sua figura sotto il pergolato che protegge dal sole il piccolo piazzale.

Peppino Cito

Sono tanti gli amici che hanno lasciato l’adorata Martina, non per emigrare, ma per raggiungere quel luogo, dal quale non si torna più indietro: Pierino Pavone, che confezionava cappotti e li vendeva a Cutrofiano, in provincia di Lecce; Peppino Cito, che sagomava l’argilla con l’abilità e la passione di un figulo provetto; Giovanni Chisena, che faceva l’avvocato e scriveva di sport su “La Gazzetta del Mezzogiorno” con lo pseudonimo Anchise; Franchino Lodeserto, che portava sempre il “papillon” sull’abito scuro; Franco, il maresciallo, che quando giocava a carte da Cito nel laboratorio che Peppino aveva nel Ringo, non stava mai zitto; Peppino Montanaro, uomo colto, cortese, apparentemente burbero, pronto ad accompagnare qualche turista in visita a Palazzo Ducale, lettore fisso del “Corriere della Sera” e delle storie di Gaetano Afeltra sulla natia Amalfi, funzionario al Comune vicino al sindaco Alberico Motolese. Una sera acquistò un trullo e me lo consegnò pregandomi di portarlo a don Gaetano, che, lasciata la direzione del “Giorno”, si era acquartierato con migliaia di libri al piano superiore della redazione, in piazza Cavour; Cenzino Ancona, già costruttore edile che vantava le arance (quasi un chilo ciascuna) che pendevano su centinaia di alberi nel suo fondo a Castellaneta. 

Martino Solito
Nico Blasi al Rotary di Merate
 

                                                                                                         Martina ha sempre esercitato su di me un fascino irresistibile, e mi capitava di parlarne con le persone che frequentavo: per esempio Pasquale D’Arcangelo, capo ufficio stampa, allora, del festival, con ufficio prima a Palazzo Ducale e poi di fronte; Franco Punzi, uomo squisito, da 43 anni presidente del “Valle d’Itria” e oggi anche della Fondazione Paolo Grassi; Nico Blasi, socio onorario del Rotary Club di Merate e direttore di “Umanesimo della Pietra”, che visitavo spesso quando le gambe mi permettevano di affrontare le scale. Ricordo una serata pugliese, dominata da lui, con una camionata di prelibatezze martinesi arrivate a Merate con i più noti personaggi di casa nostra, dal dottor Centrone a Fragnelli, che confezionò le mozzarelle pronte per andare in tavola. 

Franco Punzi
Passando da “sott’a San Frangische” lancio ancora uno sguardo al laboratorio di “Giorno e notte”, detto così perché era aperto ventiquattr’ore su ventiquattro. Adesso pare che a rimettere in sesto freni, dinamo, mozzi, catene ci sia un altro, forse il figlio. Avevo una quindicina d’anni, quindi eravamo ne ’48, quando un giorno per andare sul Chiancaro, alla campagna dello zio canonico per un’emergenza, noleggiai una due ruote in quell’officina. Ma la salita l’affrontai a piedi, rimettendomi in sella dopo la fontanella, dalla quale prendevamo qualche volta l’acqua per risparmiare quella del pozzo. E a piedi feci la discesa, il giorno dopo, quando consegnai il veicolo al titolare. Mi sarebbe piaciuto poter intervistare il cestaio che sta a due passi dalla chiesa del Carmine e una volta quasi all’inizio della via, dove oltre a fare canestri vendeva la cicoria che spunta spontaneamente e si allarga rasoterra con le sue foglie lanceolate: ottima quando si accoppia con il purè di fave (“fav’e fògghie”). L’ho avvicinato un paio di volte, ma si è limitato a dirmi che nella sua bottega hanno girato un film e che per l’intervista è disponibile solo il mercoledì pomeriggio. Ogni tanto, parcheggiato vicino alla farmacia, lo vedo aprire la porta, uscire con una sdraio, sulla quale si accomoda e guarda il cielo. Di fianco al suo locale una vecchietta seduta sulla soglia sferruzza, lo scialle in testa, con due lembi incrociati sotto la gola. Recentemente ho visitato il cavalier Giuseppe Bellucci, che fabbrica campane per le chiese di tutto il mondo; e Martino Montanaro, che confeziona ottimo pane, “fecazzedd”, “mustacciuoli, friselle e quant’altro nel suo Antico Forno San Martino, in via Mercadante. Non dimentico altri personaggi che mi onoravano della loro amicizia e della loro stima. Ogni tanto andavo a trovarlo, Peppino Montanaro, nella sua campagna, su una lunga via che sfiora, sulla destra, la chiesa della Madonna della Carità. 

Guido Le Noci in moto

Mi piaceva sentirlo parlare con pacatezza dei tempi in cui era sindaco Alberico Motolese, ricordandomi che era stato proprio lui a mandarmi il volume “Martina Franca” di Cesare Brandi, edito dalla Galleria “Apollinaire” di Guido Le Noci, che io recensii con entusiasmo. Avevo conosciuto a Milano Guido Le Noci negli anni Sessanta, e mi presentò Dino Buzzati, lo scultore Paradiso e Pierre Restany. E un giorno, avendomi preso in simpatia, mi promise di portarmi a casa di Raffaele Carrieri, poeta e critico d’arte tarantino, che scriveva su “Epoca” e sul “quotidiano di via Solferino A una festa di carnevale alla Società Artigiana, Franchino Lodeserto mi invitò con molto garbo. E io accettai con piacere, precisando che ceno alle 20 e loro alle 23, quindi non potevo mangiare due volte. Mi rassicurò, ma mentre si ballava sotto una pioggia di coriandoli, distribuirono dei sacchettini con salsicce, birra e non ricordo più che altro, proprio all’ora da me temuta. Anche a casa sua o in campagna le cene erano pantagrueliche. Era il suo modo di onorare gli ospiti. Avevo già incontrato Clementino Messia, fotografo con negozio vicino alla Collegiata di San Martino. 

I fuochi di Locorotondo

Simpatico, un sorriso spontaneo, cordiale, ironico; amante dei fuochi di artificio, che va a vedere dove sa che sono spettacolari: a Locorotondo alla festa di San Rocco, per esempio, ma anche molto più lontano. Da lui comperavo le vedute di Martina di una volta, da lui ereditate dal padre. Le tiene in bella mostra in vetrina. Se le gode mentre osserva il passeggio, che in quel punto è affollato. Suo cugino Benvenuto è nato correndo. Ancora oggi, imbiancato come Martina sotto la neve, sfreccia in sella alla sua bici, fermandosi nei punti più attraenti, per catturare immagini di “nghiostre”, vicoli, balconi fioriti, altane inghirlandate... Ha pubblicato anche un libro con pagine bellissime e luminose: chiostri, forni a legna, vedovelle, processioni pasquali, Martina innevata, ringhiere barocche, Palazzo Ducale (edificato da Petracone V Carraciolo nel 1668), con il sontuoso cortile che ospiterà alcuni momenti del Festival della Valle d’Itria...

Benvenuto Messia e Lino Banfi
Benvenuto è un uomo poliedrico: poeta, attore cinematografico (ha lavorato in “Braccialetti rossi” e poi nella parte di un prete con Lino Banfi e ancora con Luisa Ranieri…). E nell’arte fotografica è un maestro. Quando recita le sue poesie è spassoso, a volte improvvisa versi divertenti inserendoli nei testi originari, davanti al pubblico che applaude freneticamente. Una sera alla masseria Cappotto di Laterza interpretò una poesia nella poesia dedicando la … coda a un personaggio illustre appena arrivato. Grande, Benvenuto. Una delle figure più note di Martina. I cittadini lo acclamano quando lo vedono accodato al Giro d’Italia non per darsi le arie da campione, ma per vivere l’emozione del “Giro”. Su Benvenuto, Ben per gli amici, bisogna scrivere un libro. Lo incontrai nel trullo di Oronzo Carbotti, insegnante in pensione e autore di articoli sulle tradizioni popolari e sui mestieri di una volta, sulla bella e interessantissima rivista di Nico Blasi “Umanesimo della Pietra”. Venne per fare ascoltare effervescenti versi sui mariti… incoronati. Fioccarono le risate anche per la sua mimica divertente, efficace, travolgente. Lo si ritrova in tutte le manifestazioni culturali e artistiche e alla Fondazione Paolo Grassi, di cui, ripeto, è presidente Franco Punzi. Ogni tanto vado a far visita a Martino Solito, studioso della storia e delle tradizioni di Martina Franca e poeta (i suoi libri più recenti “Quadèrne a Martenesè”, “Letteratuta provenzale delle origini – affinità lessicale col dialetto di Martina Franca”, “Letteratura in vernacolo di Martina” in due volumi). E non dimentico Ninì Ponte, che dopo aver avuto un negozio di mobili sullo stradone aveva montato una falegnameria in campagna su via Ceglie. Sempre ben vestito, discreto, serio, altruista, non lavorava per lucro, ma per hobby. Se un amico gli chiedeva un tavolo con le alette, lui si metteva subito al lavoro e lo accontentava. Come esaudì la richiesta di Cito di uno strumento musicale a forma di zanna di elefante. Mi regalò la tromba di suo nonno che risaliva alla prima guerra mondiale. La teneva in un cassettone assieme a tant’altra roba. La conservo gelosamente anche perchè è un reperto storico. Mi donò anche una pila, che finì nelle mani dei ladruncoli. Una volta a Martina si lasciavano le porte aperte. A Martina dunque già arrivano i turisti, che si siedono al bar Tripoli e ad altri tavoli, passeggiano nel Ringo, che si trasforma in una via dello struscio, ammirano lo splendore della Valle d’Itria: un paradiso in terra. E come il grande regista Pier Luigi Pizzi, che s’impegnò anche al Festival (l’anno in cui curò la regia di Medea alla Scala), camminano con il naso all’insù per ammirare il barocco… E alcuni restano fino a luglio-agosto, quando il 19 questa perla si vestirà di musica.

mercoledì 11 maggio 2022

Il miracolo a Martina si ripete

Luisi, Punzi, Schwarz


DAL 19 LUGLIO VA IN SCENA

IL FESTIVAL DELLA VALLE D’ITRIA

 

Anche in questa edizione, sono

tante le novità proposte durante

la presentazione svoltasi come

sempre al Piccolo Teatro di Milano.


 

Franco Presicci 

La meravigliosa Martina Franca si prepara all’abbraccio della musica e ad offrire ai melomani che verranno la vista degli ulivi con lo zoccolo potente; delle case dalle facciate eternamente biancolatte; dei trulli con i loro misteriosi simboli; delle distese di viti; dell’intreccio dei tratturi; dei balconi in ferro battuto, panciuti e grondanti di fiori; dei vicoli del centro storico che s’intersecano e si snodano come matasse. “Venite a Martina”, dice Franco Punzi, da 43 anni presidente del Festival della Valle d’Itria”; venite e vi mostreremo un panorama unico, un presepe naturale che ristora lo spirito”. E gli appassionati dell’opera verranno, come sempre, per assistere agli spettacoli del Festival, ricco ancora una volta di novità e di giovani talenti, e per godere della luce, delle linee architettoniche di questa città adorabile. 

L'ingresso del Piccolo
Il Festival dunque: dal 19 luglio al 6 agosto si svolgerà in spazi tutti da vedere: nel cortile del Palazzo Ducale, al Teatro Verdi, nelle masserie. La rassegna, ormai apprezzata in tutto il mondo, dopo due anni di assenza per la clausura imposta dal covid, è tornata il 29 aprile a Milano, nel chiostro del Piccolo Teatro, dove è stato presentato come sempre alla grande. Presenti melomani, tenori, baritoni, critici musicali, giornalisti, gente comune che ha la musica nel sangue. La gioia di Franco Punzi è stata evidente appena ha preso la parola: “L’avvio della direzione artistica di Sebastian F. Schwarz inaugura una nuova fase storica per il Festival della Valle d’Itria, pur avendo mantenuto nell’alveo dei nostri valori caratterizzanti: titoli rari o sottovalutati, attenzione alla fedeltà testuale tramite l’uso di edizioni critiche e il ricorso ad interpreti specializzati. A questo passaggio si affianca la rinnovata disponibilità del Teatro Verdi di Martina Franca, che farà parte dei luoghi del Festival. Siamo quasi al mezzo secolo di Festival e in quella direzione non possono che rafforzarsi i rapporti di collaborazione con le istituzioni culturali pugliesi, con le amministrazioni locali e con un nucleo sempre più qualificato di sponsor e mecenati”.

Il sindaco Ancona e il maestro Luisi

Il cartellone

 

 

A dare l’avvio al Festival della Valle d’Itria sarà il 19 luglio a Palazzo Ducale “Le joeur” di Sergej Prokofiev, regia di David Pountney: opera tratta da “Il Giocatore“ di Dostoevskij, che sarà rappresentata nella versione francese del 1929 (repliche il 24, 30 luglio e 6 agosto). Quindi andrà in scena “Beatrice di Tenda” di Bellini (24 e 26 luglio) con Giuliana Gianfaldoni e Celso Albelo diretti da Fabio Luisi alla guida dell’orchestra del Petruzzelli. Seguirà in prima assoluta “Opera italiana” di Nicola Capogrande su libretto di Elio e Piero Bodrato. Al Teatro Verdi “Xerse” di Francesco Cavalli nella nuova edizione critica di Sara Elisa Stangalino e Hendrik Schulze. (il 25, il 29, il 31 luglio). Un cartellone di primissimo livello, firmato dal nuovo direttore artistico Schwarz e dal direttore musicale Fabio Luisi, con la supervisione di Franco Punzi, presidente della Fondazione Paolo Grassi, ente produttore del Festival. Il 2 agosto al Chiostro di Sant’Antonio di Taranto, il soprano sudafricano Pretty Yende, accompagnato al piano da Giulio Zappa si esibirà con arie a brani tratti dalle opere di Bellini, Donizetti Rossini; mentre il 4 agosto a Palazzo Ducale Anna Pirozzi con canzoni e arie d’opera.

Il chiostro del Piccolo

Quindi “Il canto degli ulivi”, che porta la musica del Festival nelle strutture rurali: il 20 luglio alla masseria Capece di Cisternino, il 22 alla Masseria Belvedere di Mottola, il primo agosto alla masseria Palesi di Martina, il 29 luglio alla masseria Monti Del Duca di Crispiano. Seguiranno appuntamenti nel Chiostro di San Domenico, il 29 luglio, e un concerto speciale in Salento. E il “Concerto” per lo spirito (28 luglio) nella Basilica di San Martino. Novità di questa edizione “L’opera al cinema”: il primo, il 20 luglio, al Teatro Verdi con la proiezione del film-opera Gianni Schicchi, adattamento cinematografico del titolo di Giacomo Puccini del regista Damiano Micheletto; e il secondo, il 20 luglio a Palazzo Ducale, ”Silent Carmen”, con la proiezione di “Carmen” di Cecil de Mille e di “A Burlesque on Carmen di Charlie Chaplin.

Il cartellone tra Lenoci e Punzi
Tutto questo è stato detto al Piccolo Teatro, dove erano presenti anche, Grazia Di Bari, in rappresentanza della Regione Puglia, consigliere regionale con delega alla Cultura; il sindaco di Martina Franco Ancona e Sabino Lenoci, direttore della rivista “L’Opera”. Punzi ha ricordato l’importanza di tornare a rivivere il Festival dopo il lungo e tormentato periodo della pandemia; e ha ricordato anche l’attività che svolge la Fondazione Paolo Grassi. A sua volta Ancona ha detto che il Festival della Valle d’Itria è la massina espressione culturale di Martina: Franca:. “Attraverso il Festival la nostra città produce cultura di alto livello promuovendo la tradizione lirica italiana meno conosciuta che attrae anche un pubblico che proviene dall’estero, compreso l’Estremo Oriente. Dopo due anni di restrizioni dovute all’emergenza sanitaria sono felice che la 48ma edizione potrà finalmente accogliere di nuovo il pubblico in una sala a capienza piena”. E dopo aver ringraziato il presidente Punzi per il suo instancabile impegno, ha proseguito rivolgendosi al nuovo direttore artistico per un sincero in bocca al lupo e per un successo e una proficua e lunga collaborazione con il Festival della Valle d’Itria. 
 
Un'ala del pubblico
Quindi ha preso la parola Sebastian Schwarz, dicendo che l’opera sta per compiere 450 anni e che in questi secoli ci ha fatto sognare, emozionare, ridere… e tutto questo ce lo racconteranno “Le joeur”, “Beatrice di Tenda”, “Xerse”, “Opera italiana”, “La scuola dei gelosi” ( e i tanti concerti) del Festival della Valle d’Itria del 2022. Non c’era il precedente direttore artistico Alberto Triola, che però ha inviato una lettera che Franco Punzi ha segnalato, plaudendo alla signorilità del maestro uscente. Poi il maestro Franco Luisi ha dimostrato la sua gioia per poter dirigere “Beatrice di Tenda”, un’opera di Vincenzo Bellini, musicista che occupa un osto importante nel suo cuore. A sua volta Sabino Lenoci, colui che organizza gli incontri “Grandi voci della Scala”, ha espresso la sua soddisfazione per portare al Festival grandi nomi a cui poter rendere omaggio mediante un premio. La mattinata al Piccolo si è conclusa con la degustazione con capocollo di Martina Franca del salumificio Santoro; latticini del salumificio La Valle; vini delle Cantine di Marco e prelibatezze dell’Antico Panificio San Martino, tra cui mustaccioli e “fecazzèdd”, che il professore melomane Francesco Lenoci, sempre puntuale al Festival, ha illustrato con vera competenza. Molti dei presenti, conversando con lui, gli hanno confidato che scenderanno a Martina Franca e non si perderanno nemmeno uno spettacolo del Festival né le bellezze di Martina. E qui mi vengono in mente le parole di Guido Piovene, che considerava il barocco della città dalle case incappucciate come “il più bel barocco pugliese, diverso da quello di Lecce”. Lo scrittore aveva fatto colazione a Martina, assaporando “uno squisito vino bianco secchissimo e mangiando carni arrostite, tra cui le budella d’agnello piegate a portafoglio, piene delle interiora, che avevano un leggero sapore di fumo di legna aromatica”. E penso a Carlo Castellaneta di “Una città per due”, per il quale “sulla tavola, a cena, c’erano taralli al posto dei grissini; un galletto disegnato di foggia pugliese e dentro il boccale quel bianco Mir Nustr, che cresce nella valle… orecchiette alle cime di rape e agnello al forno…”. E ricordava che poi, levatasi la luna quel biancore latteo sembrò esigere una romanza, un duetto d’opera, anche perché sulla circonvallazione i nomi delle strade sono tutti di musicisti. Lo scrittore si svegliò al Park Hotel con scrosci di tuffi in piscina. La luce del mattino pareva aver lavato ogni facciata, ogni lastrico, mentre in piazza un piccolo cameriere “occhio d’oliva greca e dentatura di moro” (versi di Raffaele Carreri, poeta e critico d’arte tarantino) ci serviva come piccola colazione caffè e ‘boccolotti’. E Martina, la città in cui 48 anni or sono si compì il miracolo del Festival. Il Festival della Valle d’Itria, come il titolo di un libro di Antonio Rossano, che per anni seguì per Raitrè la grande rassegna martinese.
















mercoledì 4 maggio 2022

Alberto di Monaco in Puglia

HA VISITATO ANCHE IL NEGOZIO

DI FISCHIETTI DI MARIA MATARRESE

Alberto di Monaco nella bottega di Maria Matarrese

Ha compiuto un giro lungo:

da Alberobello a Canosa; da

Trani a Terlizzi, per poi

andare a Matera a visitare i

Sassi.

Ovunque è stato accolto

festosamente. 

Maria ha esclamato:

“’U princepe ind’o negozzie

megghie!”.

 

FRANCO PRESICCI

“Beautiful”, deve aver esclamato il principe di Monaco appena entrato nei giorni scorsi nella bottega dei fischietti di Maria Matarrese, ad Alberobello.

Si è guardato intorno, ha osservato a uno a uno i soggetti esposti nei lunghi scaffali e in quella sorta di alcova che fronteggia l’ingresso si è trovato di fronte a una folla di carabinieri, severi, mustacciuti, impettiti, orgogliosi della propria uniforme, e un po’ più in là la banda dell’Arma nell’atto di suonare l’inno di Mameli, quasi in onore del sovrano. Immagino la gioia di Maria, regina di quel regno così ben popolato, con “personaggi” di spicco: Vittorio De Sica, Roberto Benigni, Aldo Fabrizi, l’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano, sua emittenza Silvio Berlusconi, realizzati con divertente ironia; e poi esemplari della vita quotidiana, e gli animali, tra cui il gallo che giostra con il vento, un simbolo, superbo, tutto preso dalla sua posizione di dominatore del pollaio.

 

Tutti elementi rivestiti di colori squillanti, senza sfumature: i colori dei fiori, naturali, esaltati in questa deliziosa sintesi di acqua, terra, fuoco, maneggiati da abilissimi figuli soprattutto di Rutigliano, dove ogni anno si svolge la saga del fischietto, con decine di bancarelle allineate nelle vie principali della città in provincia di Bari. E nella bottega di Maria Matarrese sono presenti tutti gli esemplari che negli anni hanno vinto quella sagra nazionale. 

Alberto di Monaco ha fatto domande su questi fischietti, sorti dal desiderio dell’uomo di dar luce e forma ai suoi sogni; e Maria, che adora questi oggetti e non ignora la dinamica della loro trasformazione dalla materia, l’argilla, al manufatto, opera di veri artisti, ha risposto con il suo solito entusiasmo, per nulla sopraffatta dall’emozione di avere di fronte una personalità così alta. E l’ha anche accompagnata a vedere le sue stoffe pregiate, il trullo, facendolo salire sul terrazzo ristretto fra cupole di trulli, da cui si vedono altre costruzioni a cono di gelato. Il principe sorrideva, sembrava ammirare questa donna volitiva, cordiale, ospitale, generosa, che gli parlava in modo quasi confidenziale. “Quando l’ho visto stagliarsi sulla soglia – dirà poi Maria a chi le chiedeva particolari – mi è sembrata una faccia conosciuta, ma non riuscivo a metterla a fuoco.. Quando poi ho capito chi era non credevo ai miei occhi.

‘Madonna maie, ‘u principe!”. Le batteva il cuore, ma ha saputo controllare la sua emozione e ha accolto la figura regale con tutta la grazia di cui è capace. Poi il principe é uscito per altre mete, per altri paesi della Puglia, dotati di fascino irresistibile. Ogni città, ogni paese ha le sue attrattive. La Puglia: un sogno, terra policroma, luminosa, calce e pietra, architetture solenni, facciate biancolatte, simboli misteriosi sulle case a cono di gelato principe… Ne ha viste di bellezze, il principe nel suo giro in Puglia, in cui ha visitato Terlizzi - che fu possedimento della sua famiglia - dove ha scoperto la targa stradale con la scritta “Terlizzi, sito storico Grimaldi” e ha quindi visitato la chiesa nella quale è sepolto un suo avo. Da lì a Canosa, che spazia a un tiro di schioppo dall’Ofanto, di cui parla il poeta venosino Orazio nel libro IV delle “Odi”, a Barletta, Andria, Trani, Castel del Monte, che fu indicato come “un mare di pietra” da un viaggiatore tedesco; a Barletta, con gli alti campanili avvolti dal profumo del mare. Qua e là sono state scoperte altre targhe con cerimonie festose.

Dopo la Puglia, Matera, i Sassi. Ovunque è stato ricevuto affettuosamente, come un figliolo che prova la nostalgia del ritorno. “E’ come essere a casa”, ha esclamato l’illustre ospite. Ne avrebbe da raccontare, adesso, se ne avesse voglia. E nei suoi ricordi troverebbe spazio forse anche il “feudo” dei fischietti di Maria Matarrese, già ampiamente frequentato da turisti di ogni sorta e razza di ogni Paese, cinesi soprattutto. Alcuni di questi sono diventati suoi amici, che l’hanno invitata in Cina, dove Maria si è recata parecchie volte. Un sindaco le regalò il kimono della mamma defunta, giornali e televisioni di quella nazione così lontana sono andati ad Alberobello, patrimonio mondiale dell’umanità dall’Unesco, a realizzare servizi nella bottega di Maria¸ e sugli scalini che portano alla chiesa a trullo, di fronte alla quale si apre l’attività di questa signora bassina e briosa, che parla volentieri più l’adorato dialetto che la lingua di Dante e che nel maggio del 2012 ha persino recitato in “Beautiful”, il famoso sceneggiato televisivo che coagula davanti al piccolo schermo milioni di persone. 

La telecamera la riprese per diverse ore nella sua abitazione: Maria che offriva il caffè a due sposini; Maria che sfaccendava in cucina, metteva in ordine la casa, spolverava, ascoltava la radio, spiegava la funzione della camastra, quella catena che scendendo lungo la gola del camino regge il paiolo… “Il 10 aprile anche una tivù giapponese, la Nkh, era venuta nel mio negozio per filmare non soltanto i carabinieri, ma anche le diverse figure della vita e gli animali in terracotta. Erano tre operatori e una guida. E il 10 ottobre un’altra emittente nipponica, che è tornata il 30 per realizzare un servizio dopo il sopralluogo”. Il rapporto con i cittadini del Sol Levante è nato tantissimi anni fa. Un gruppo di turisti con gli occhi a mandarla entrarono, rimasero colpiti dall’ambiente e da allora il flusso si è ingigantito.

Maria Matarrese mostra De Sica

“Insomma il mio negozio di via Monte Pertica 9, ad Alberobello, in Giappone è noto”. E un giorno gli stessi occhi a mandorla sono comparsi su quella scalinata e hanno organizzato una festa in onore di questa donna gentile che per l’occasione ha indossato il kimono. Maria merita tutto questo. Lo ha ottenuto con una grande capacità, con una forte volontà, con un’intelligenza viva. Poi ha lasciato la conduzione alla figlia Claudia, giovane e bella, acuta come la madre. Le ha trasmesso la titolarità, ma tanti clienti cercano sempre lei, che ha molte cose da dire, anche sulla storia dei fischietti, sull’arte della terracotta, sui figuli, sulle loro opere e sa raccontarli senza enfasi, con pazienza, e chi ascolta comprende l’amore che lei ha per questi manufatti antropomorfi e zoomorfi. Piacevolissimi nella loro ironia quelli ispirati dalla vita di ogni giorno: il netturbino, il farmacista, il vigile urbano, il prete, il sacrestano. Spassosi l‘ex presidente del Consiglio Mario Monti in abito vescovile e Roberto Benigni colto nella sua buffa risata. 

Sa tutto anche sugli autori, come Filippo Lasorella e Vito Moccia, vincitore tante volte del primo premio al concorso di Rutigliano. Sono passati diversi anni da quando sono stato l’ultima volta nella bottega di via Monte Pertica, che sul lato destro dell’ingresso ha un’opera di Vito Moccia: una famiglia in vacanza con un’auto carica di bagagli. Un ottimo manufatto, come tutti quelli di Moccia. Poi all’interno trovi o 9 mila fischietti di ogni dimensione , “frutto – come scrisse nell’87 Leonardo Mancino, direttore didattico, scrittore e poeta – “… della millenaria tradizione operaia dell’industria umana dell’applicazione artigianale ‘vascolare’ che direttamente collega i soggetti viventi all’anima del territorio di appartenenza, sanno di natura e di ‘storia elementare’, di trasparenza e di incanto, di scolpita semplicità, di richiamo costante ed ancestrale alla cultura popolare”. A volte sento Maria, che mi informa su quanto avviene dalle sue parti e mi manda immagini anche sulle giornate di neve. E’ stata lei a dirmi della visita del principe di Monaco, della curiosità dei turisti in via Monte Pertica che hanno subito riconosciuto la personalità che aveva alle spalle un lungo sciame di turisti e persone del luogo. Mi sarebbe piaciuto intervistarlo sulla Puglia, sulle case incappucciate, sul Trullo Sovrano, su quella folla di fischietti, tra cui Vittorio De Sica, Antonio Di Pietro e quell’opera che mostra il naufragio della prima notte, con la sposa addormentata e il marito con gli occhi stravolti verso il soffitto; o il prete che fa il bagno nella tinozza con il tricorno in testa. L’ospite si sarà sicuramente divertito. E Maria ne parla con soddisfazione, ripetendo: “’U princepe ind’u negòzzie mègghie!”.