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mercoledì 25 novembre 2020

La leggenda del pianista sul lago

 

ALESSANDRO MARTIRE, IL MAESTRO

CHE HA FATTO NAVIGARE LA MUSICA

Alessandro Martire

Si è esibito su una piattaforma trainata da un motoscafo elettrico sul lago di Como con un pubblico di 5 mila persone schierato sulla riva.

Scrosci di applausi anche per la originalità della manifestazione, ideata dallo stesso artista, che ha suonato in ogni parte del mondo, riportando successi e premi.

 

 

 

Franco Presicci 

Pellio Intelvi è un bel paesino, raccolto e silenzioso, tesoro paesaggistico con i tetti a capanna su cui svettano due campanili, che, oltre a regalare il suono dei loro bicchieroni capovolti, scrutano tutto ciò che li circonda. Pellio ha la sua bellezza e la sua storia: è stata la culla dello scultore Ercole Ferrara e vanta edifici storici e chiese antiche: quella di San Michele, che custodisce un pulpito di Paolo Caprani e gli affreschi di Giosuè Scotti nella volta e un tabernacolo del XVI secolo; e quella di Santa Maria, ristrutturata nel XVIII secolo. Il primo gennaio del 2017 la cittadina si è fusa con Lanzo, Ramponio e Verna, dando vita al nuovo comune di Alta Valle Intelvi.

Altra immagine della piattaforma mobile

Per raggiungere quest’oasi, dove il poeta Francesco Petrarca avrebbe trovato quella pace e quella solitudine che individuò nella cascina Linterno a Milano (dove tra l’altro curava l’orto e rivedeva i suoi versi), bisogna costeggiare il lago di Como, lasciarsi alle spalle Schignano, agglomerato di case, dove il presidente del tribunale civile di Milano Romeo Quatraro, magistrato severo e coltissimo, apparentemente burbero e gioviale, trascorreva i suoi giorni di vacanza, beandosi della vista delle acque care al Manzoni; poi Argegno, con la sua deliziosa piazzetta di fronte al pontile, dove attraccano le imbarcazioni che prendono a bordo i turisti per portarli in giro sul lago. Qui, svoltando a destra e poi a sinistra, si comincia a salire, attraversando località come Dizzasco, Castiglione, San Fedele, quindi Pellio (proseguendo, si trova Lanzo, che porta al balcone d’Italia), che offre la vista del lago di Lugano.

Gli applausi

Ed è a Pellio che vive un grande musicista che si è esibito in quasi tutto il mondo, ogni volta ascoltato da un pubblico numeroso e appassionato, che per applaudirlo si alza in piedi, affascinato e felice. Un amante della tastiera, chiudendo gli occhi, mi dice “che il giovanissimo artista, Alessandro Martire, 28 anni, nato a Como, dal pianoforte estrae una cavalcata di note che suscitano un’emozione indicibile, una gioia dello spirito che induce al sogno”. Ernesto Assante su “Repubblica” ha definito Alessandro Martire ”uno dei compositori e pianisti più interessanti tra quelli emersi nella scena italiana e internazionale negli ultimi anni”, aggiungendo che è dotato “di una sensibilità particolare e di un approccio alla musica che mette insieme classicità e pop senza attrito attraversando i generi con intelligenza e curiosità”. E Claudio Cabona, Rockol: “Martire ha una buona dose di freschezza, supportata da un cammino di studio e affinamento della tecnica non scontato e ricco”. “Non solo musica”, per Carlo Valentini su “Milano Finanza”: Martire in quarantena “ha brevettato il palcoscenico che si muove sull’acqua”, nell’ambito della seconda edizione del “Lej Festival”, da lui inventato. Me ne ha parlato lo stesso musicista. 

Il palco che naviga

Il progetto. intitolato “Floating moving concert”, consiste in uno spettacolo galleggiante in movimento eseguito sul lago di Como: Martire suona il pianoforte su una piattaforma tutta rivestita di specchi e trainata da un motoscafo elettrico, che rende l’opera ecosostenibile. Originalissimo il nuovo pianoforte “Waves” realizzato da lui e da alcuni geniali artigiani di Cantù. L’esibizione del primo settembre del 2020 è stata vista in tempo reale e in “streaming” in tutto il mondo: Martire ha fatto navigare la musica, ha messo Como grazie alla musica al centro del mondo. La notizia si è sparsa con la velocità del falco pellegrino e l’“Esquire Qatar” ha messo in pagina un titolo vistoso ed esaltante. Nella prima edizione del “Lej Festival”, svoltasi nel 2019, Alessandro Martire aveva suonato il pianoforte sul palcoscenico galleggiante collocato davanti alla riva, dalla quale il pubblico, 5mila persone, grazie a un diffusore radio, ascoltava, palpitando. Il 16 agosto 2020 ha espresso la sua genialità circondato dai cavalli nell’Alta Valle Intelvi, connettendosi alla natura. Il 19 settembre la sua musica è stata protagonista nello straordinario e unico teatro antico di Taormina, in occasione del Premio cinematografico delle nazioni. 

Martire al pianoforte

Alessandro Martire ha iniziato il concerto con un brano dell’indimenticabile Ennio Morricone: “Nuovo cinema Paradiso”. Per la coincidenza delle combinazioni indossava un capospalla realizzato da Pino Lerario, “alias” Tagliatore “. Non s’infiamma, Alessandro, quando parla delle sue idee, che dagli spettatori e dai critici vengono accolte con entusiasmo. E’ un tipo alla mano, comunicativo, affabile, che a Pellio, dove si è trasferito da Como due anni fa, si trova bene e ha un ottimo rapporto con la gente. E’ un bel ragazzo, alto, capelli neri un po’ capricciosi, suona il pianoforte da quando aveva 14 anni. A 15 ha iniziato a comporre. Ha studiato composizione “new age” a Berklee College of Music di Boston; nel 2012 si è esibito al concerto-recita finale alla David Friend Recital Hall; e ha intensificato i suoi studi musicali e pianistici con il maestro Giusto Franco.

Alessandro Martire

 

E intanto ha conseguito il diploma in pianoforte e composizione nel 2015 presso l’Accademia musicale genovese, e la laurea in Relazioni internazionali all’Università degli Studi di Milano. L’interesse per la musica è sempre in primo piano. Classica, contemporanea, “innervata da elementi derivati dalla musica pop, minimalista e ‘crossover’”, raggiungendo uno stile personalissimo, sublime. La passione, la cultura musicale profonda lo impongono in ogni parte del mondo. Nel suo primo giro internazionale. “Melodia di vita World Tour”, nel 2013 ha scatenato ovazioni begli Stati Uniti, Regno Unito, Austria, Danimarca, Hong Kong, Svizzera, Corea del Sud, Italia, ricevendo anche importanti premi, le cui motivazioni sottolineano “l’originalità musicale e la spiccata qualità delle sue ‘performance’ in così giovane età”. Due anni dopo, è stato in Indonesia, Singapore, Russia, Germania, ancora Italia. Nello stesso anno fonda “Infinity Sound”, un’associazione no profit per ragazzi con disabilità e persone normodotate; e riprende i suoi itinerari artistici, con eventi in Etiopia, Australia, Sud Africa, Emirati Arabi, Hong Kong, Cina, Corea del Sud, Indonesia, Slovacca.

Un'esibizione

Nel triennio 2017-2019 eccolo in Giappone, Russia, Polonia, Vietnam, dove tiene un concerto con orchestra ad Ho Ci-Minh city. Non c’è nazione in cui non abbia diffuso la sua musica. Un’attività densa, prestigiosa, pensata a Pellio, nello studio creativo di registrazione, “dove svolgo attività di creativo, audio branding, sound design, registrazioni per film, creazione colonne sonore e arrangiamenti, consulenze musicali e organizzazione di eventi”. Ha pubblicato tre album, due autoprodotti e uno edito per la famosa e importante casa discografica Carosello. Ha realizzato, con il chitarrista Giulio Maceroni, il “format” innovativo “Rock to Filp”, dove musica e moto si accoppiano, facendo diventare una rampa per evoluzioni acrobatiche il palco di uno “show”, unico, coinvolgente, con le evoluzioni dei ‘bikers’ in sintonia con la prestazione musicale”. Ha firmato un contratto editoriale con Ultra Music Publishing, entrando a far parte della lista della prestigiosa casa editrice internazionale. “Ho inoltre tante collaborazioni con grandi marchi e realtà internazionali che hanno scelto di utilizzare le mie musiche o di coinvolgermi con rappresentazioni dal vivo per spot, colonne sonore, manifestazioni esclusive, intrattenimenti a bordo…”. Ha anche co-fondato una scuola di musica, Villa Imbonati, a San Fermo della Battaglia (Como), che è frequentata da più di 170 allievi e 30 insegnanti “che ne seguono i percorsi educativi, musicali e le sessioni di scrittura”. Insomma, una vita movimentata. A 28 anni di età Alessandro Martire ha inanellato tanti progetti e tanti altri ne ha in programma.

Altra esibizione
E’ instancabile. Nelle ore libere si distrae con il basket e la mountain bike. E poi ancora musica. Memorabile il concerto tenuto questa estate in Alta Valle Intelvi, primo passo per un dialogo costruttivo con la gente del luogo. “Per me la musica è condivisione: attraverso la musica si comunica, si entra nelle persone, si è in sintonia con l’ambiente”. La musica affiata, unisce. “La musica – mi dice un signore che vuole rimanere anonimo – qualunque tipo di musica, ti solleva e ti trascina nell’universo. E quella di Martire ti scuote, ti esalta, ti solleva. Ascoltarlo è una gioia. Almeno così è per me, che di musica ne ascolto tanta”. Forse la musica ha portato Alessandro a Pellio. Lo ha rapito la meraviglia del panorama, la calma, l’atmosfera fiabesca, il silenzio, l’aria che vi si respira. Pellio è immersa nella natura, che l’artista ama, come ama i cervi, i daini, le volpi che ci vivono, non sempre lontani dagli uomini. E’ stato il professor Francesco Lenoci a mettermi in contatto con Alessandro Martire. Melomane da sempre, amante di Mahler, Francesco, docente all’Università Cattolica di Milano; autore di una quarantina di volumi di economia; devoto del Festival della Valle d’Itria; premio alla carriera dall’Isfoa; “patriae decus” della sua natale Martina Franca; seguitissimo conferenziere giramondo sui valori del nostro Paese da Milano a Matera, mi aveva telefonato per ispirarmi un incontro con Alessandro. “E’ un portento, conosciuto ed acclamato in tante parti della terra”. Lo ringrazio e prendo un altro impegno: invitarlo, quando sarà possibile, a Laino – paese-bomboniera, dove il sindaco, Cipriano Soldati, sta allestendo a Palazzo Scotti una biblioteca ricca di volumi notevoli; e poi un salto a Pellio (la distanza è breve: sì e no una decina di minuti), per rendere visita a questo principe della musica e magari godere insieme di “Melodia di vita”, una delle sue celestiali opere incise su cd e vinile. Intanto, in questa nuova chiusura anti-Covid, che ha fermato tante cose, tra cui la musica dal vivo, guardo e ascolto ripetutamente i video che Alessandro mi ha mandato.










mercoledì 18 novembre 2020

Nelle sue recensioni era severo

EDOARDO RASPELLI, PRINCIPE

DELLA CRITICA GASTRONOMICA


 

Molto seguiti i suoi giri tra i locali,

narrati sul “ Corriere d’Informazione”,

“QN”, “L’Espresso”, e i suoi programmi

Su Rete4”, Canale5 e antenne nazionali.

Ha co-fondato l’autorevole “Guida d’Italia”

dell’”L’Espresso” e “Raspelli “Magazine”.


 

Franco Presicci

Bei tempi, quelli, si dice di solito. Ma quelli a cui mi riferisco erano tempi davvero belli. I tempi in cui ho conosciuto persone eccellenti e giornalisti brillanti, meglio dire cronisti dal fiuto volpino e veloci come corridori sulla pista del Vigorelli, tra cui Edoardo Raspelli, che lavorava nella redazione de “Il Corriere d’informazione”, giornale del pomeriggio di via Solferino, concorrente del confratello “La Notte”.

A sin, Di Bella e Cavallari
Con Edoardo ho avuto sempre un ottimo rapporto, tanto che lo invitai a far parte della giuria del Premio Milano di Giornalismo, sede nel ristorante “La Porta Rossa” di Michele Jacubino, in arte Chechele, professione originaria fornaio. Quando comunicai l’idea al “Pugliese”, come qualcuno lo definiva (era nato ad Apricena, in quel di Foggia), lo vidi allargare le braccia e guardare verso l’alto con occhi spalancati per la gioia. Anche i suoi baffetti alla David Niven ebbero un fremito quasi impercettibile. “Raspelli? Quello che non la perdona a nessuno?”. “Proprio lui”. Con quella espressione si riferiva alla severità di Raspelli nel giudicare le cucine delle diverse zone del Paese, scatenando la reazione dei titolari trafitti anche con la carta bollata. Senza che lui si scomponesse. Reagì con due righe ironiche soltanto quando uno della categoria gli mandò una corona di fiori. Il giorno in cui ancora una volta uscì indenne da un processo, ebbi l’occasione di parlarne con Luigi Veronelli, gastronomo, giornalista, scrittore, editore, filosofo, conduttore televisivo.

Edoardo Raspelli

“Raspelli? E’ di una serietà, di una onestà, di un rigore, di una competenza preziosissime. Con lui la critica gastronomica ha assunto la stessa dignità di quelle letterarie, cinematografiche, teatrali, d’arte; adesso, dunque, grazie a lui, c’è anche quella del censore del cibo, del modo di confezionarlo e di presentarlo in tavola. Nei suoi giudizi entrano anche la pulizia, il comportamento dei camerieri… “. Raspelli era ed è arbitro irreprensibile nell’”ars culinaria”, come Petronio lo era dell’eleganza. A farla breve, Raspelli era ed è nel campo un’autorità. D’accordo anche Veronelli, che quando scriveva sul quotidiano “Il Giorno “ di ricette e di vino spesso scivolava nella poesia. Era gentile, ospitale, comunicativo. Al termine della conversazione mi invitò nella sua casa a Bergamo Alta per gustare un bicchiere del suo nettare migliore, che custodiva gelosamente in cantina. Edoardo, dicevo, fin dalla prima edizione del Premio, nelle riunioni della giuria che duravano sino alle due del mattino e a volte anche oltre, con Chechele accucciato in un angolo che resisteva al sonno, si mostrò pacato, attento, misurato, a differenza di Paolo Mosca, giornalista e scrittore (“Il biondo”…), che era un lottatore accanito: puntava su un nome e lo difendeva a spada tratta. Allora Paolo dirigeva “Play Boy” e “Novella 2000”. 

La consegna del Premio a Palumbo

Quella del Premio – siamo quasi al tramonto degli anni ’70 - fu una esperienza felice, che tra l’altro portò alla “Porta Rossa” personalità notevoli, come Franco Di Bella, che dirigeva “Il Corriere della Sera”; Alberto Cavallari, corrispondente da Parigi dello stesso giornale; Gino Palumbo al vertice de “La Gazzetta dello Sport”; lo scrittore Giovanni Testori (“La Gilda del Mac Mahon”; “Il Ponte della Ghisolfa”…), che curava le pagine letterarie del “Corsera”; il critico d’Arte Raffaele De Grada, Ugo Ronfani, vicedirettore de “Il Giorno”; Vincenzo Buonassisi… Edoardo era giovane, simpatico, cordiale, schietto, bravissimo nel lavoro di cronista, e nelle sue notti insonni passate in redazione teneva l’orecchio vigile per non lasciarsi sfuggire il colpo. Allora spesso crepitavano i mitra e i cronisti stavano sempre allerta, anche se ogni due ore telefonavano al centralino di via Fatebenefratelli, dov’è acquartierata la questura. Edoardo si occupava di “nera” e la seguiva alla grande. Fu il primo, il 17 maggio del ’72, ad arrivare in via Cherubini, dove sotto casa, alle 9,15, era stato proditoriamente ucciso il commissario Luigi Calabresi. Milano era una città calda: rapimenti, rapine, omicidi… Nell’81, in via Ripamonti, il colonnello Visicchio della Guardia di Finanza acciufferà Luciano Liggio, la “primula rossa”, che si presentava come commerciante. Il 19 giugno dell’82 il corpo di Roberto Calvi viene trovato sotto il ponte dei Frati Neri di Londra. Ma non tutti gli eventi fluivano nella cronaca nera: si continuava a correre la Stramilano, esplosa nel ’72, organizzata dal gruppo alpino “Fior di Roccia”, con il patrocinio del Comune e il contributo della Banca Popolare di Milano: la maratona dei 50 mila con una insegna policroma sul petto (qualche pettorale fu in seguito disegnato da Ottavio Missoni), e quasi altrettanti schierati oltre le transenne lungo i marciapiedi.

Edoardo Raspelli

Raspelli era in via Solferino dal ’69. Non aveva ancora preso la maturità classica e già scriveva sul “Corsera”. Nel ’71 Giovanni Spadolini lo reclutò per il giornale del pomeriggio, dove il giovane cronista si distinse subito anche per la passione che nutriva per questo mestiere, che impone sgambate e sacrifici. Nel ’75, in serpa alla carrozza sedette Cesare Lanza, che era stato redattore capo del genovese “Secolo XIX” e gli assegnò una rubrica sui ristoranti. E anche in questi panni Edoardo spiccò il volo: entrava nei locali come un cliente qualunque, sceglieva il tavolo, ordinava, degustava e poi mano al portafoglio e via verso il giornale. Io lo leggevo, e ho continuato a leggerlo anche quando è arrivato in fondo alla strada. Lo vedevo su Rete4 e su Canale5, mentre passava da una cascina all’altra, da un vigneto all’altro; si muoveva tra gli ulivi, nei caseifici, nelle cantine, nei borghi, descrivendo lo svolgimento della fatica degli addetti, descriveva i formaggi, i salumi, i vini, mostrava allevamenti, interrogando i titolari, sintetizzando la storia dei luoghi e delle persone.

Da sin, Buonassini, Raspelli, Cavallari. A dx. Presicci

Trasmissioni molto interessanti, che tenevano inchiodati alla sedia gli appassionati. Di cose ne ha fatte, questa sorta di parroco di campagna, che non predica ma ascolta. Ha co-fondato, nel ‘78, la “Guida d’Italia” de “L’Espresso”; nell’86 ha cominciato a scrivere su “La Stampa” e su “QN. Ha curato la rubrica “Gambero Rosso” sul “Manifesto”, la rubrica gastronomica su “L’Espresso”. Ed è andato oltre, partecipando anche a film con Piero Chiambretti (“Ogni lasciato è perso”…), ad “Asfalto rosso” ed è stato Re Sole in un altro film, oltre che interprete nello sceneggiato “A un passo dalla Victoria”. Su Rete 4 ha fatto “Psyco” e “Attenti al lupo”. Su Raidue ha preso parte a trasmissioni con Aldo Busi e Giampiero Mughini. Di “Melaverde” su Canale5 ha accumulato 614 puntate. Ha avuto collaboratori personalità dello spettacolo e del giornalismo, tra cui Milly Carlucci, Giampiero Mughini e altri. Insomma, Edoardo Raspelli, un principe della televisione, ha informato e tra l’altro fatto sognare milioni di persone, che vorrebbero voltare le spalle alla città caotica e frustrante per trasferirsi in una casetta con attorno un pezzo di terra da coltivare. La marcia non si è conclusa: all’età di 71 ha creato “Raspelli Magazine” on line. Un uomo dalle mille idee. Infaticabile. L’ho ritrovato con immenso piacere qualche giorno fa su Facebook. Mi ha mandato un messaggio con il mio articolo su “Minerva News” riguardante Chechele, pubblicato sulla sua nuova impresa, confidando che a ripercorrere quei tempi si era commosso.

La consegna del premio:Zucconi, Chechele e Nennella
Io mi ero commosso a scrivere il pezzo, anche perché tanti amici che avevano avuto a cuore il Premio non ci sono più, a cominciare dallo stesso Chechele, uomo generoso e intelligente, diplomatico e intuitivo, che era stato ufficiosamente nominato ambasciatore della Puglia. E non ci sono più Guglielmo Zucconi, Ugo Ronfani, Vincenzo Buonassisi, Baldassarre Molossi, Ibrahim Kodra, Giuseppe Migneco, Mario Bardi, Alberico Sala, poeta e critico d’arte del “Corsera”, e Raffaele De Grada, critico d’arte e autore di una “Storia dell’arte”… Scomparsi anche alcuni premiati: Franco Di Bella, Gino Palumbo, Alberto Cavallari, Gaetano Afeltra, che fu direttore del “Corriere d’Informazione”, vice del “Corsera” e poi del “Giorno”; e Guglielmo Zucconi, che fu, anche lui, un ottimo pilota del giornale dell’Eni. I bei tempi scorrono, come le acque dei fiumi; e scorrono velocemente. La memoria li archivia e quando apre le chiuse è nostalgia. A quei tempi mi capita di pensare: le galoppate per completare il quadro di una notizia; le soste dietro una porta della squadra Mobile; la ricerca di un “trombettiere”… Una vita sempre in movimento. Una giostra.


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mercoledì 11 novembre 2020

Indomabile il libraio di viale Tunisia

 

Nicola Partipilo
CHIUSA LA LIBRERIA NEL CENTRO DI

MILANO AIUTA I FIGLI

IN QUELLA DI VIA SODERINI

 

Amareggiati tutti i suoi clienti. Da Nicola

Partipilo sentivano aria di casa e venivano

serviti con solerzia. E potevano incontrare

scrittori, vip del giornalismo, personalità

della televisione, Se c’era da aspettare,

potevano accomodarsi su una poltrona e

bere una tazza di caffè.

 

 

Franco Presicci

Giorni addietro, mentre con amici prendevo una bibita nel bar di viale Tunisia quasi all’angolo con corso Buenos Ayres, ho lanciato uno sguardo malinconico di fronte, dove fino a qualche mese fa si apriva la libreria internazionale Partipilo, e ho osservato alcune persone che arrivavano con passo spedito e si fermavano davanti alle vetrine vuote. Le raggiunsi e chiesi loro come mai non sapessero della scomparsa di quel “tempio”, noto in tutta la Lombardia. “Non lo sapevo – la riposta di uno del gruppetto, un signore elegante, gentile, loquace, evidentemente amareggiato – Sono venuto per fare una scorta di libri, prima che il “Covid 19” provochi una nuova clausura, ‘in primis’ ‘le Confessioni di Sant’Agostino, ‘Il Rosso e il Nero” di Stendhal, la versione in prosa de l’Iliade’; ed eccomi qua, sorpreso, addolorato e deluso”.

Esterno della Libreria Partipilo

Tornai al bar dagli amici, e li trovai intenti a commentare la chiusura di tante librerie e di questa soprattutto, dalla quale si rifornivano di testi scolastici le più piccole sparse in diverse zone della città. C’era gente che ci veniva anche dall’hinterland: un avvocato, per esempio, che usava dire: “Da Nicola vengo, sì, per acquistare un libro, ma anche perché posso sedermi sulla poltroncina di vimini, sorseggiare un caffè e conversare”. E’ noto e apprezzato in tutta Milano Il nome del titolare, un barese dalle eccezionali doti umane, che aveva cominciato come fattorino in un altro negozio, che mandava i testi anche a domicilio; e a portarli era lui, in sella a una bicicletta. E tra una consegna e l’altra imparava le vie e tutto quello che contenevano. Era svelto, appassionato, curioso, premuroso, e così è rimasto con il passare degli anni. La libreria di viale Tunisia era un luogo d’incontri: amici che non si vedevano da anni; conoscenti, scrittori, tra cui Carlo Castellaneta (“autore del “Dizionario di Milano”, “Viaggio col padre”, “Tracce dell’anima”, di vari volumi con la Celip, casa editrice dello stesso Partipilo…); 

Partipilo e Enzo Biagi
Serata culturale
 

 

 

 

 

 

 

 

 

lo storico Guido Lopez (“Milano in mano”, “Navigliando”…); l’architetto Empio Malara, con anni di militanza in favore della riapertura dei navigli e scrittore; mezzibusti della televisione, tra i quali Andrea Bosco, anch’egli autore della Celip; Mario De Biasi, che con la Celip ha pubblicato volumi di immagini spettacolari, già fotografo giramondo per il settimanale “Epoca”; il veneziano Fulvio Roiter, grande artista del “clic”, che quando puntava la macchina fotografica tirava fuori l’anima del soggetto, e per coglierlo dal punto di vista voluto per il libro sui cortili fece – a detta dello stesso Nicola, che lo accompagnava - imprese rocambolesche sul Naviglio Grande. “In alcuni momenti ho temuto di vederlo cadere in acqua”. E l’ingegnere che da pellegrino amante della natura acquerellava le località di mezzo mondo e mandava i “cartoncini” a parenti e amici al posto delle cartoline. Tanti illustri personaggi frequentavano dunque questa libreria con oltre sessant’anni di vita. Una libreria storica. Come storica è la bottega di Giuseppe Rossicone, che della Partipilo parlava con rispetto ed entusiasmo. E storico il Bar Magenta, data di nascita 1907, quando a Milano circolavano centinaia, migliaia di carrozze. Storico il Cinema Centrale, stessa età del primo, sede nella bramantesca Casa de’ Grifi, sorta nel 1480. Storica la Finart, fondata il primo luglio del 1957. E storica l’Osteria del Giardinetto, di via Tortona, che emise i primi profumi nel 1949. E la Fornace Curti, che ha percorso diversi secoli prima di arrivare in via Walter Tobagi, nei pressi del Ticinello e della chiesa di Santa Rita. Milano spesso perde pezzi. Non si contano le librerie che hanno spento le luci. All’ospedale di Niguarda per esempio la Mondadori, in questi giorni sostituita da Giunti. Le librerie sono luoghi di cultura e andrebbero tutelate soprattutto dagli affitti esosi e dai colossi che fanno piazza pulita. Partipilo ce l’ha messa tutta, ma alla fine ogni sforzo, ogni sacrificio, ogni impegno è naufragato come un bastimento contro gli scogli. Ed è andato a dare una mano ai figli Andrea e Marco nell’altra sua libreria, in via Soderini, dalle parti di via Lorenteggio, anche quella molto ben frequentata. Anni fa, una signora ottantenne, bassa, carina, pelle come i petali di una rosa, occhiali spessi, tunica scura, mi raccontò che Partipilo sull’insegna aveva fatto sistemare un faro che dava luce all’isolato e i vigli urbani lo multarono perché irregolare.

Reparto sconti
Lui è fatto così: la sua libreria deve splendere, deve piacere a chi entra. I locali di viale Tunisia erano stati rimessi a nuovo, con belle idee architettoniche. Il suo ufficio era su una specie di plancia, con passaggi lungo la parte superiore degli scaffali. Un posto di prestigio era riservato ai libri su Milano e la Lombardia pubblicati dalla sua casa editrice (le Cascine, i Cortili, le voci oggi scomparse, dal caldarrostaio al venditore di rane, i Navigli, le vecchie stradine, come la Bigli, in cui abitò Eugenio Montale e tenne il suo salotto la contessa Clara Maffei, famosissima nel Risorgimento; via Morone, che sbocca in quella bellissima piazza Belgioioso, che su un lato confina con il palazzo di “don Lisander”, autore de “I Promessi Sposi”, in cui si conserva intatta la camera da letto…).

Interno libreria Partipilo

La libreria Partipilo era la mia meta preferita. Se dovevo andare a fare quattro passi in Galleria, passavo da Nicola, che m’invitava a bere un bitter al bar di fronte; e così se avevo un appuntamento con Francesco Lenoci nel suo studio alla Terrazza Martina, le cui finestre danno su piazza Duomo. Ci andavo quando un mese prima di Natale usciva uno di quei libri della Celip che attraverso i testi, autorevoli, e le foto, meravigliose, invogliavano il lettore ad un viaggio verso le bellezze della Lombardia. E ogni volta incontravo un personaggio. In questo tempio conobbi Annibale del Mare, il giornalista che nel ’43 pubblicò un articolo su “La Gazzetta del Mezzogiorno”, in cui annunciava il ritorno della libertà di stampa. 

Piero Colaprico

 

Don Lurio
V’incontrai più volte lo storico Guido Lopez, che ha raccontato Milano in pagine numerose e intense, ed è intervenuto in tutte le presentazioni dei volumi della Celip: nella Basilica di Sant’Ambrogio, alla Società del Giardino, nella Galleria “Prospettive d’arte” di Mimmo Dabbrescia (moderatore Piero Colaprico di “Repubblica” e tra i relatori Don Lurio, che proprio in quei giorni aveva lì una sua mostra di quadri) in via Carlo Torre; a Mantova, vicino a Palazzo Tè; nella biblioteca di Cernusco sul Naviglio; nella stessa libreria di viale Tunisia, dove le televisioni lombarde intervistavano gli autori delle perle della Celip. Mario De Biasi era di casa. Un giorno, per ringraziarmi di una recensione, improvvisò un disegno che raffigurava il sole e me lo regalò con tanto di dedica. Era anche un ottimo disegnatore. Da Partipilo, soltanto Nicola per gli amici, si trovavano tra l’altro cortesia, disponibilità, sagacia. Se un cliente cercava un libro che non c’era e non c’era neanche un’edizione diversa lo si procurava in un giorno o due. Ogni tanto allietava l’ambiente il suono di uno dei “carillon” sistemati su una pila di libri o su uno scaffale. A Natale non mancava un presepe originale, artistico, di cui non si riusciva a capire la provenienza, e più di un Babbo Natale semovente, di diverse dimensioni. Nicola confidava che nel suo negozio l’avventore doveva sentire aria di casa. La libreria era la sua passione, la sua gioia, la sua speranza che continuasse con i suoi ragazzi. Credo che abbia pianto quando è stato costretto a dare l’ultima mandata alla porta. Allora ha perduto il suo mondo, che aveva creato con entusiasmo tanti anni fa. Già allora covava l’idea di mettere su, oltre alla libreria, la casa editrice, la Celip, che avrebbe offerto ai milanesi volumi eleganti e preziosi anche per l’autorevolezza dei contenuti. Cominciò con “Milano Venticinque secoli di storia attraverso i suoi personaggi“, Illustrato a “Prospettive d’arte” da nomi famosi, tra cui Don Lurio (ballerino, coreografo, cantante, presentatore, “star” di Raiuno con “Giardino d’inverno” con le Kessler, “Studio Uno…), al secolo Donald Benjamin Lurio, di New York, che per la prima volta si esibiva come pittore, Lopez, Colaprico, il campione di calcio Giovanni Lodetti… Presente, fra tanti altri, Annibale del Mare, che, nato a Savona, visse tanti anni nel capoluogo pugliese, per poi trasferirsi a Milano, città che gli piaceva molto. “E’ una città bella, discreta – dice Nicola - Ricordo Guido Piovene: ‘Chi la percorre con amore, vede come persistono nonostante le offese i suoi motivi antichi’. Quando ero incaricato della consegna a domicilio dei libri, pedalando in corso Venezia, rimanevo affascinato dai suoi palazzi. Così in via Borgonuovo, dove abitava il poeta Raffele Carrieri, tuo compaesano; e in via Durini, dove morì Umberto Giordano. Questa Milano ho voluto ‘raccogliere’ nei libri editi da me”. Adesso Nicola Partipilo, uomo indomabile, dalle mille iniziative, aiuta i figli nell’altra libreria, in via Soderini – via dedicata allo statista fiorentino, accanito difensore della sua città – nota anche questa ai meneghini. Ma il ricordo di viale Tunisia è per lui angoscioso.

                                                 
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mercoledì 4 novembre 2020

L’albo d’oro dei pugliesi a Milano

UOMINI DI NOTEVOLI CAPACITA’

HANNO ONORATO LA LORO TERRA

 Sono il luminare della medicina Miraglia,

Velluto, Azzella, Lezoche, Palumbo, Alto,

Porzio, Carrieri, Le Noci, Cantatore e tanti

altri. Completerò il lunghissimo elenco,

aggiungendo di volta in volta personaggi

esemplari come principi del foro, docenti

giornalisti.

 

 

 

Franco Presicci

Non resisto all’dea di aggiungere perle alla collana dei pugliesi che hanno lasciato il segno a Milano, per genialità e laboriosità. Tra questi il professor Ferruccio Miraglia, che fu direttore della divisione di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale Buzzi, in via Castelvetro.

Lezoche sul balcone a Trani
Noto e stimato anche all’estero, il professor Miraglia tra l’altro istituì una scuola di preparazione al parto ed era autore di numerosi volumi (“Sarò padre”, “Sarò madre”, “Per una cultura del nascere”, con prefazione di Gustavo Charmet), stampati da editori importanti in centinaia di migliaia di copie e tradotti in quasi tutte le lingue). Sosteneva che “l’ostetrico deve nutrire per la donna che aspetta un figlio non solo partecipazione ma affetto”. Dotato di grande umanità, studioso anche di psicosomatica e psicanalisi, ha sviluppato e trasmesso la cultura della preparazione al parto e ”l’etica dell’umanizzazione all’assistenza sanitaria”. Nel ’73 dette vita alla rivista “Nascere”, molto seguita non solo dagli esperti. Legato al suo paese d’origine, Castellaneta (che, come si sa dette i natali a Rodolfo Valentino), dove gli hanno intestato una strada, vi tornava spesso. Lo incontrai parecchie volte, e un giorno mi ricevette nella sua abitazione per un’intervista.
 
Dino Abbascià in bici

Era persona di poche parole, ma gentile e ospitale. M’incoraggiò subito a darci del tu e mi fece dono di uno deii suoi libri. Lo presentai a Dino Abbascià, dinamico presidente dell’Associazione regionale pugliesi, con sede in via Pietro Calvi, dove partecipava spesso alle manifestazioni. Chi non lo conosceva non poteva immaginare che era stato un luminare, una personalità illustre, una luce nel campo della medicina e della cultura. Il professor Miraglia è scomparso il 4 febbraio del 2012, a 99 anni. Avrebbe meritato il Premio Motta per quelli che hanno contribuito a far grande Milano. Ne parlerò diffusamente in seguito, ricordando meglio i suoi altissimi meriti. Mario Azzella era di Trani. Giornalista, documentarista della televisione nazionale; uomo spiritoso, coltissimo, di compagnia (“Ha la freschezza di un bambino”, commentò una signora). Mi invitò nella sede Rai di corso Sempione, per un’intervista su un’iniziativa sulla Puglia che stavo per realizzare al Centro Informazione d’arte di via Brera. Era uscito su “L’Europeo”, diretto da Giovanni Valentini, un inserto sui trulli che, abbandonati, si sgretolavano, e ne volevo approfittare per una specie di convegno, chiamando a raccolta i pugliesi sensibili all’argomento.

Zecchillo e Giacomo Lezoche

 

La trasmissione fu ascoltata dappertutto e il salone si riempì, avendo in prima fila Guido Le Noci, Domenico Porzio, Vincenzo Buonassisi, lo stesso Valentini e il suo “staff” redazionale, compresi Salvatore Giannella, autore dell’inchiesta, e il suo fotografo. Rividi Azzella qualche anno dopo nello studio di Filippo Alto in via De Castiglia; e mentre gli altri ospiti assaggiavano prelibatezze pugliesi, lui mi sciorinava barzellette sapide e divertenti. Aveva il gusto del racconto: dosava le pause e i toni, prima del colpo finale. Ma non tendeva a fare da mattatore; anzi se ne stava spesso in disparte. 

Gli onorevoli Aldo Aniasi, Roberto Mazzotta e Giacomo Lezoche

 

Azzella era innamorato di Trani, come Giacomo Lezoche, commercialista e ricercatore di documenti sulla Puglia di Milano, amico di Gino Palumbo, scrittore, autore di “Pane Verde” (la storia del tappezziere Amitrano, costretto all’emigrazione dalla grande crisi del ’29); “Il serpente malioso” (Editori Riuniti), con il protagonista condizionato dal senso del peccato; “Impiegato d’imposte”, edito da Mondadori ; “Le giornate lunghe” (Rizzoli)… e tanti altri corregionali, che vennero a Milano ad aprire i cosiddetti “trani” osterie cantate da Giorgio Gaber, ispirate, nel nome, dal paese da cui venivano. Famoso il volume “Il Trani di via Lambro”, che Vincenzo Pappalettera pubblicò con Mursia nel 1991. Mario Azzella era appassionato di spettacolo e dopo aver frequentato la facoltà di Scienze Politiche, frequentò l’Accademia d’arte drammatica e il corso di regia tenuto da Orazio Costa, uno dei maggiori nomi dell’agone teatrale fra la prima e la seconda guerra mondiale, e quelli di recitazione di Wanda Capodoglio, Sergio Tofano e Silvio D’Amico. Successivamente fu reclutato, grazie al poeta Michele Galdieri, dalla Compagnia di Carlo Dapporto; fu tra i boy di Wanda Osiris. Uomo dalle mille idee, durante il servizio militare allestì rappresentazioni per i commilitoni; e, a congedo avvenuto, continuò a coltivare i suoi sogni. Conobbe Giacomo Rondinella, interprete di tanti brani napoletani, tra cui “Scapricciatiello”, suonava il pianoforte, componeva canzoni…. Come editore stampò anche alcune serigrafie e litografie del pittore barese. Partecipava alle serate che questi organizzava in casa sua in via Calamatta, palazzina di cui era proprietario il grande sarto Guglielmo Miani (di Andria): serate con critici d’arte come Raffaele De Grada e Sebastiano Grasso, che scrivevano entrambi sul “Corriere della Sera”, giornalisti, artisti; e a Figazzano, dove il “Vichingo”, soprannome inventato da me per l’altezza e i capelli biondi, aveva la casa per le vacanze.

Filippo Alto

Quando Alto morì nel ’92 in seguito ad un incidente stradale nei pressi di Ancona il giorno prima di Natale, scrisse una commovente poesia, che venne recitata durante la cerimonia di commemorazione all’Associazione pugliesi di piazza Domo, presieduta da Beppe Marzo, collezionista di francobolli e di giornali leccesi dell’800. Per la televisione fece un documentario a colori sulla sua città, sempre ricca di uomini memorabili: Libero Bovio, autore di tante bellissime canzoni… vesuviane, tra cui “Guapparia”, “Reginella”, “’O paese d’o sole”, era figlio di un docente tranese amico di Giuseppe Mazzini. Di Trani Azzella parlava spesso. Era orgoglioso, come Lezoche e Gino Palumbo, di esservi nato. E quando vi tornava se ne andava in giro con la sua macchina fotografica, fermandosi a conversare con la gente. Nel ’64 i tranesi di Milano misero in cantiere numerose iniziative culturali, mentre veniva concepita l’idea un organismo sociale, che rifacendosi ai principi della vecchia Associazione pugliese, mettesse in atto attività tese a diffondere la cultura della nostra terra nel territorio lombardo. I più tenaci sostenitori erano Azzella, che nel ’67 fondò il periodico “Hinterland”, uscito fino al ’71; Lezoche; Palumbo, che, emigrato a Milano giovanissimo, si trasferì a San Michele di Pagana, frazione di Rapallo, finestra sul golfo del Tigullio, continuando, nella calma e nel silenzio, la sua attività di scrittore.

Azzella, Palumbo, Baldassarre, sindaco di Trani, Lezoche

Il progetto venne realizzato e Gino Palumbo assunse la presidenza. Parlando con Giacomo Lezoche in una mia visita nella sua oasi di Trani, rievocammo quella iniziativa e del suo nutrito programma, avviato con la presentazione della nuova edizione delle “Rime e scene popolari tranesi” del poeta vernacolare Francesco Ferrara, condotta da Mario Azzella. Sempre nel ’76 l’Associazione partorì la “Famiglia tranese”, presidente Stefano De Feo, che istituì tra l’altro il Premio “’U cambanale”. Nel settembre dell’83, deceduto Gino Palumbo, si decise di raggruppare tutti gli apuli nell’Associazione Regionale Pugliesi, una fucina di idee e di iniziative, condotta dal generale Camillo De Milato. Del quartetto rimane un ricordo indelebile. Ha tenuto alto il nome della Puglia a Milano e Locorotondo ha voluto onorare Filippo Alto, dedicandogli una strada; e Trani Mario Azzella, facendo altrettanto. 

Bruno Marzo
Antonio Velluto
Altro pugliese di primo piano, Antonio Velluto, scomparso nel 2014. Era nato a Troia, nel Foggiano, centro di un altro pugliese, Franco Marasca, che visse non ricordo più quanto a Milano, dove insegnava e fondò la rivista “Il Rosone”, con una cerimonia al ristorante “La Porta Rossa” di Chechele. Lo chiamavano “il principe”, Velluto, per l’eleganza del comportamento, la lealtà e il rispetto che aveva verso gli altri.
Giornalista professionista, dirigente alla sede Rai di Milano, trattava con i guanti bianchi i suoi redattori; se qualcuno aveva bisogno non si voltava mai dall’altra parte. Una sera, durante una cena a casa sua in via Moscova, gli dissi: “Sono passati più di 30 anni e conservo per te tanta gratitudine”. Si stupì e gli ricordai il motivo: “Morì un amico lasciando la moglie e cinque figli senz’alcun sostentamento: mi rivolsi a te e in brevissimo tempo trovasti un lavoro alla ragazza più grande”. Osservava il principio manzoniano: “Dona con volto amico, con quel tacer pudìco che accetto il don ti fa”. Alla sua morte, durante la messa nella chiesa di San Marco, un collega del “Corriere della Sera”, Grassi, che abitava nel suo stesso palazzo sopra di lui, mi sussurrò: “Camminavo sul velluto”, giocando con le parole. La chiesa era quella in cui il 22 maggio 1874 ebbe luogo la prima esecuzione della “Messa di Requiem” di Verdi in ricordo di “don Lisander”. Il giorno dei funerali del “principe” era affollata di giornalisti e di personalità: Antonio era stato anche assessore comunale all’Edilizia popolare, stimato e amato. La gente era venuta anche da lontano. La figlia Alessandra, giornalista anche lei, dal presbiterio disse: “Alcuni hanno conosciuto mio padre come giornalista, altri come politico e sindacalista, ma era per me soprattutto papà. Chi lo incontrava rimaneva subito colpito dalla sua capacità di farlo sentire accolto. Casa nostra è stata sempre piena di gente…” Il principe se ne andò mentre Alessandra gli teneva la mano.