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mercoledì 6 agosto 2025

Le chiesette rurali di Martina

SI PREGA TRA I PROFUMI. E' LA GRANDE BELLEZZA

 

La Madonna della Consolata
Il luoghi di preghiera sono sparsi. Dal Chiancaro alla vecchia strada per Noci, dove è prossima la festa della Madonna della Consolata, alla presenza del vescovo.

 

 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
FRANCO PRESICCI


Sulla strada che da Martina va a Locorotondo in alto si erge un tempietto che mi appare come il guardiano della Valle d’Itria. Lo visitai la prima volta un’ottantina di anni fa insieme allo zio canonico penitenziere, don Martino Calianno, che celebrava la Messa nella basilica e a volte in quella chiesetta a un tiro di fionda da casa sua, in via Marangi: una via breve, uno scampolo parallelo a via Bellini.
Vito e Angela Argese
Un’altra piccola chiesa è quella della Madonna della Consolata, in fondo alla vecchia via per Noci, che si allarga in un piazzale su cui, di fronte, si trova una scuola degradata e abbandonata. Ero già entrato in questo luogo di preghiera, durante una festa dedicata alla Signora. che richiama tanta gente, per devozione o per il piacere di vedere schierati baracche e stand, ascoltando un’orchestra che stuzzica la voglia di ballare. Una volta vi ho incontrato il compianto notaio Alfredo Aquaro, accodato alla processione con in mano una candela. “Ora prendo un po’ di arachidi, noccioline e semi di zucca per due ragazzini che mi stanno a cuore”, mi disse. Ciao, Alfredo.
Le chiavi della chiesetta ce l’ha Angela Argese, che la tiene in ordine e splendente, come fosse casa sua. Vito, il marito, le dà una mano. Mi sono seduto nuovamente qualche giorno fa su un banco vicino al simulacro di san Pio, ed è stato per me come un’immersione nella pace e nel silenzio, per un momento lontano dal mondo e dai suoi tumulti. Giacchè c’ero ho fotografato un antico pozzo all’aperto che ancora oggi raccoglie acqua piovana. A un tiro di fionda c’è una masseria ancora attiva. Fino a qualche anno fa Angela conduceva con saggezza un’azienda, dove oggi trascorre il periodo estivo. “Quasi ogni giorno passava un vecchietto e gli regalavo le uova”, dice questa donna intelligente, generosa e disponibile, come Vito, un uomo di spirito che non ama raccontare le proprie fatiche sulla terra, che non sempre dà soddisfazioni.
Il pozzo


Ricordo che avevo 11-12 anni quando un altro contadino, Giovanni, mi parlava del mago della pioggia, che con un cappello a larghe falde e un ampio mantello saliva sui trulli e invocava la generosità del Padreterno, ritmando preghiere o parole rituali mai rivelate. Da tanto tempo desidero stimolare Vito Argese, un serbatoio di storie, a ripercorrere con la memoria vie erbose, come tanti anni fa feci con don Oronzo, a cui il grande pittore cantore della Puglia Filippo Alto affidò il microfono in una delle sue serate a Figazzano. Finora Vito lo ha fatto a stralci, spontaneamente, accennando alla chiesetta della Madonna della Consolata. “Era ridotta a un rudere, non c’erano soldi per restituirle la dignità di culto. “Fu il sindaco Alberico Motolese, ancora oggi ricordato con stima e rispetto da molti, a provvedere. Un costruttore gli aveva chiesto l’autorizzazione per erigere uno stabile e il primo cittadino gli chiese di aggiustare le ossa della chiesa”. E rieccolo, il luogo di culto, senza sfarzi, senza tante immagini se non quelle della “Via Crucis”, accogliente, a un tiro di fionda dalla masseria Recchione, all’incrocio di cinque contrade. La chiesetta fu benedetta nel ‘58 da monsignor Guglielmo Motolese, amministratore apostolico e poi arcivescovo della Bimare. “Allora la gente viveva in campagna”, mi riferisce Vito.
Ora sono in tanti ad aspettare la festa, che si conclude come al solito con i fuochi d’artificio che sprigionano mille stelle policrome e geometrie nell’aria, mentre fedeli e non applaudono e la musica continua a spandersi tutt’intorno. Intanto un uomo basso, sorridente, simpaticone prepara le bruschette. “Gustate questa delizia: pane di Laterza con olio, sale, pomodoro e origano”, urla gioioso. Se arriva qualcuno in ritardo, Angela corre subito a cercare una sedia, e la consegna con la sua abituale delicatezza.
La chiesetta di via Papadomenico

Ci sono stato un paio di volte e ho notato persone venute da altre parti, come l’avvocato Martino Carbotti, che ha i trulli sulla via per Locorotondo, il “locus rotundus”, in cui Giuseppe Giacovazzo, già direttore della “Gazzetta del Mezzogiorno”, aveva la redazione del suo periodico “Paese Vivrai”, poi diretto dal figlio Piero, mezzo busto della televisione nazionale.
Un’altra chiesetta sta proprio a Figazzano. Le chiavi erano custodite da don Oronzo, un anziano contadino affabile, arzillo, dalla memoria fertile. Inanellava parole in dialetto martinese, destando subito l’attenzione di chi ascoltava. Un anno, per la festa della Madonna, era in programma l’esibizione di padre Cionfoli, che era però disponibile per il lunedì e non per la domenica. Gli organizzatori erano in difficoltà e alla fine pensarono di spostare i festeggiamenti. “Che cosa?”, tuonò don Oronzo. “Io per padre Cionfoli non accetto che si rimandi la festa. La Madonna viene prima di tutti. Se insistete, io chiudo la chiesa e vi arrangiate”.
Don Oronzo non le mandava dire, tenace, irremovibile. Raccontò l’episodio in dialetto a un pubblico numeroso invitato da Filippo e arrivato anche da Milano. Seduti in prima fila, il ministro Vernola dei Beni Culturali, e il critico d’arte Raffaele De Grada, ospite del pittore. In una mia intervista a don Oronzo feci una domanda impertinente: “Fiorivano amori fra i grappoli durante le vendemmie”. “Come no”. “Tu eri vivace?”. Don Oronzo: “Non mi ricordo. So soltanto che sono sempre stato al mio posto”. Era bassino, un po’ ricurvo per il lungo lavoro nei campi, prontissimo nelle risposte. Non schivava una domanda.
A volte salgo sul Chiancaro, imbocco il tratturo, mi fermo davanti al cancello, chiuso, dei trulli dello zio prete, come in un pellegrinaggio. Al ritorno ho un altro punto fisso: la fontanella che sta quasi all’incrocio da oltre un secolo. Dopo averla osservata, mentre un ragazzino le succhia acqua, prendo la strada che porta a via Mottola e a metà ho una sosta obbligata: una piccola chiesa, che vidi per la prima volta quasi ottant’anni or sono. Zio Martino di tanto in tanto ci andava e su quell’altare a volte diceva anche Messa. Adoro queste pareti consacrate. Qualche anno fa andai a cercare in un altro tempietto un sacerdote devoto di sant’Agostino, a cui volevo chiedere una Messa per mio nonno Francesco. Un amico mi indicò la via, e ci arrivai attraversando Locorotondo e poi ancora il territorio martinese. Arrivai in tempo per sentirlo parlare del suo santo preferito.
La Madonna della Stella

Ristora lo spirito un rito fra le viti e il canto delle cicale, mentre echeggia il rombo del trattore: il canto della natura e il sudore del contadino. I “din don” invitano alla funzione e sono ritmi veri, non registrati su nastro. Ah, la tecnologia si è insinuata anche sui campanili. E’ dolce il suono delle campane, i rintocchi arrivano al cuore, suscitando ricordi. Andando per via Mottola, se posso, mi fermo ad osservare il tempietto dedicato alla Madonna della Stella. Tanti anni fa i fedeli venivano a chiedere offerte per la sua festa, che non so se fanno ancora.
A Martina sono tante le chiesette di campagna; e sono molto frequentate. Martina è una città in cui la fede è diffusa. E il rispetto per i sacerdoti pure. Ricordo le donne che ogni mezzogiorno, a turno, portavano il piatto con la pastasciutta a zio Martino. Erano felici di farlo. Suonavano il campanello, lo zio tirava la corda che apriva la porta, loro salivano le scale e il pranzo era servito. Osservavo quelle donne incuriosito. Alcune di loro andavano a seguire la Messa celebrata dallo zio nella chiesetta sul rilievo dirimpetto alla Valle d’Itria. Ci si arriva attraversando una vietta collocata sullo stesso piano, sulla sinistra guardando dal basso.
I Santissimi Medici
Una volta non c’erano i rumori delle cilindrate che hanno fretta e la gente andava a piedi a Locorotondo e qualcuno sgambando va ancora ad Alberobello quando il paese accende le luci per la festa dei Santissimi Medici.
Dove porta la Fede! Ci sono cappelle nelle masserie. Ho visitato a Crispiano quella della Lupoli (appartiene a un tarantino, che ha in casa una collezione “de perdune” in processione per la Settimana Santa. Alla Lupoli si respira aria di antichità anche per il suo Museo della Civiltà contadina (zappe, torchi, rastrelli, falci... tutto un mondo ormai sconosciuto). Nella cappella si può ammirare un grande crocifisso collocato subito dopo l’entrata, a sinistra. Immortalai una donna anziana in meditazione su una panca di pietra. Ancora oggi ci sono donne vestite di nero. Come nei quadri del pittore Emilio Marsella, che ha dipinto anche le chiese della sua Maruggio. Pittura della memoria, ispirata nello studio milanese dell’artista.