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mercoledì 27 agosto 2025

Taranto e Martina Franca

I DUE LUOGHI DEL MIO CUORE LA VALLE D’ITRIA E IL GALESO

 

Martina Franca

Fanno parte soprattutto dei miei ricordi, ma quando posso vado a visitarli, con devozione. La Bimare è la mia culla, Martina il mio rifugio, il suo silenzio la mia pace.






FRANCO PRESICCI
 
 


I miei luoghi del cuore sono Taranto e Martina Franca: la prima è la mia culla; Martina il mio rifugio. Sono entrambi deliziosi, gioielli che soltanto una persona superficiale non vede.
il ponte girevole

Che cos’è, se non uno splendore, il Mar Piccolo, che tra l’altro offre cozze polpose, gustosissime, famose nel mondo e diffonde il suo profumo? E i tramonti sul Mar Grande? E il Galeso? La seconda è superba, bella, un incanto, per la sua atmosfera, i suoi trulli, per i ricami delle sue architetture antiche; i tratturi, vie erbose che tagliano le campagne e un tempo erano ricchi di voci, a volte interrotte dalla voce dell’asino, grande lavoratore, dignitoso, mite fino a quando non ritiene di aver fatto abbastanza e allora non fa più un passo neppure con le bastonate (picchiare quell’animale è peccato mortale, c’è chi lo faceva?).
Non ne vedo più in giro. So che alcuni alloggiano alla masseria Chiancone, dove vengono trattati con riguardo; altri alla masseria Russoli, dove anni fa andai a visitarli assieme al comandante dei vigili urbani Franco Carrozzo. Lì i pochi esemplari vivono quasi allo stato brado, e chiesi al custode come facesse a radunarli e a portarli disciplinati in fila indiana dove voleva lui. Basta sussurrare un ordine al capobranco e tutti lo seguono.
I trulli del mio amico Vito

E’ davvero amabile, l’asino di Martina, dove assistetti a una scena esemplare: la femmina da un recinto mandava segnali d’amore al maschio chiuso in un trullo buio. Poi lasciarono che si avvicinassero, e m’impressionò la delicatezza con cui si accingevano al rapporto: preliminari lunghi e commoventi. Non mi piace che il suo nome venga associato “’a le scanzafatìe” e agli studenti svogliati.
Martina è adorabile per i suoi vigneti (le viti nane, secondo il poeta Raffaele Carrieri), per gli ulivi, per il centro storico, che è uno scenario teatrale, dove le donne sedute sulla soglia di casa sferruzzano; le “vedovelle”, dove la gente si disseta con la bocca aperta sull’acqua che cade fresca e generosa…
Taranto è una meraviglia, una magia “p’a marine”, le barche “nazzecate” dal mare, i pescherecci all’ancora, il suo tessuto urbano, il lungomare, il ponte che scioglie il suo abbraccio per il transito delle navi. E poi i vecchi dalle labbra screpolate che nella città vecchia parlano un dialetto con le finali strascicate e non per questo meno ritmico, meno sonoro.
Uno come me, che rimpatria una volta all’anno, si perde nelle nuove vie della città. Conosco “’a Salenèlle”, perché, finchè c’era, giravo fra le bancarelle del mercatino delle pulci, alla ricerca “d’a levorie”, un gioco che facevamo da ragazzi in strada: due palle d’acciaio, due palette di legno e “‘a scigghie”, cerchio di ferro fissato a un chiodo da conficcare nel terreno.
La locomotiva a vapore

Quando avevo vent’anni la via Magna Grecia, portava il nome di Venezia ed era una grande distesa di verde intenso, con una clinica quasi ai margini della strada. Vi circolavano solo le signore della notte e di giorno qualche solitario in bici.
Una volta per ore ho cercato il sentiero che stava di fronte ai Salesiani e portava alla scogliera e sono rimasto deluso, perché quel tratto è sopraffatto da nuove costruzioni. Ho cercato anche lo stabilimento balneare “Santa Lucia”, dove si rinfrescavano soprattutto gli arsenalotti (ci andavo anch’io con i miei genitori e con gli zii e cugini). Sparito anche quello. Ogni volta che Fred Buongusto cantava “Una rotonda sul mare” mi emozionavo, pensando all’altra.
Cerco ancora un pezzo di quella Taranto, che fa parte dei miei sogni. Superata la via Giovin Giovine c’era l’orto di “mesta Ronze”, che vendeva “’a gnète”. Non c’è più da una vita: ha fatto spazio a una scuola, uffici, case, negozi.... Più avanti c’era l’orto del signor Capone “cu ‘a ‘ngègne” azionata da un cavallo bendato; oggi hanno elevato i Beni Stabili. L’entrata della chiesa del “Sacro Cuore di Gesù” era su via Giovan Giovine, l’hanno spostata in via Dante. Ricordo tutti i sacerdoti della mia giovinezza che si sono avvicendati in quel tempio: Don Musto, don Giancola, dom Cipolletta, don Franzoso, Don Pietro Saracino. Questi si occupava dalla gestione dei funerali e dei matrimoni; e spesso s’inalberava perché gli interessati miravano sempre ad assottigliare i costi. Poi abbassava i toni e diceva “Zìtte ‘nu pòche”, ma non faceva sconti.
La Dogana e le lampare
Lì conobbi Mario Mazzarino, futuro onorevole e sottosegretario alle finanze. Decise di mandare in scena una commedia, “Il ribelle” e mi affidò la parte del protagonista. Avevo 13 anni. Recitammo nel teatro della Chiesa di San Francesco. Era molto più grande di me. Lo rividi tanti anni fa nella casa delle vacanze di Figazzano del pittore Filippo Alto e mi fece festa. Era accompagnato da Mimmo Sacco, un giornalista della televisione nazionale che si occupava di politica.
Quanto avrei da dire sulla mia città, famosa anche all’estero. I ricordi scorrono come l’acqua del canale navigabile che sposa i due mari. Mi viene spesso in mente la figura del professor Pietro Parenzan, direttore dell’Istituto talassografico, che scendeva con un batiscafo nei fondali del Mar Piccolo per studiarli e li riproduceva in quadri affascinanti, che espose in una sala del Circolo Magistrale “Tarentum” in via Di Palma, dove, nell’androne, il pittore Giuseppe Pignataro, poi trasferitosi a Milano, aveva ricavato il suo studio.
In quel circolo, di cui era presidente il maestro Cioffi, tipo dinamico e battagliero, si tenevano conferenze e mostre e non mancava mai la presenza del provveditore agli studi; di Franco Sossi, direttore del “Rostro”, di Mario Ligonzo, che curava la prima pagina de “Il Corriere del Giorno” (in seguito aprì una galleria d’arte in via Mignogna, dove ospitava pittori del livello di Franco Boniello, Rino Di Coste e altri), ma preferì poi lasciare il quotidiano di Taranto per “Il Corriere della Sera”. In via Di Palma, nello stesso stabile del circolo “Tarentum”, il professor Tambone, aprì un altro circolo, al piano superiore.
Sulle sponde del Mar Piccolo

Non dimentico il Premio Taranto (opera dei fratelli Rizzo de “La Voce del Popolo”), il Premio Rinascita. Era il ‘50, il ‘51. Il primo scatenò polemiche a non finire: i pittori Pignataro, il disegnatore De Nicolò e altri di notte scrivevano sui muri “Viva Raffaello, abbasso l’arte moderna” e il critico d’arte della “Gazzetta” Oronzo Valentini rispondeva alle secchiate di vernice dei contestatori. Una sera un pescatore, guardando le donne nude immortalate in un quadro chiese spiegazioni. “Sono donne” gli fu risposto, E lui: “Non è vero, io vedo tutte le sere mia moglie e non è così!”.
Martina Franca tra i suoi meriti ha il Festival della Valle d’Itria, noto e apprezzato a Parigi e a New York. Ogni anno i fautori vengono a Milano a presentare lo spettacolo al Piccolo Teatro. Accorrono cantanti e orchestrali illustri, critici, melomani, cronisti, curiosi. Fino a qualche anno fa fra i relatori c’era Franco Punzi, presidente amato da Sergio Escobar, direttore della struttura di Paolo Grassi e Giorgio Strehler… Un grande Festival, che inonda Martina di musica e dà l’occasione al pubblico, che viene anche dal Giappone oltre che dall’Europa, di apprezzare le delizie della città e le opere rappresentate per la prima volta ai tempi nostri. Il regista Pierluigi Pizzi mi disse che quando lui era a Martina camminava guardando il alto per vedere i balconi spanciati, le altane fiorite… prima di andare a bere il caffè al bar Tripoli, oggi chiuso.
I trulli di Mina

Di Martina ricordo le grandi tavolate e i balli sull’aia, i giochi dei bimbi nei tratturi, le arrampicate sui ciliegi alti quattro piani, le serate nei trulli degli amici tra chitarre e mandolini: i vecchi impegnati sotto una “bouganville” a giocare a scopone: le vigne gravide; il vento che dondolava gli ulivi; lo zio canonico penitenziere che confessava gli altri preti. Fra i ricordi più belli “’a Ciucculatere”, la locomotiva a vapore che partiva dal binario tronco di Taranto e, avvolta dal fumo, fischiando, attraversava le stazioni di Nasisi, Statte, Crispiano, Madonna del Pozzo, arrivando a Martina, dove attraverso uno scambio si spostava su un altro binario e tornava indietro fino alla piattaforma girevole, che le consentiva di mutare senso di marcia. Oggi quella “ruota” è semisepolta, in attesa di essere restaurata e usata come base di una “Ciucculatère” come monumento. Si avvererà il miracolo?
Quante volte, da adolescente, l’ho presa per andare in Valle d’Itria, la gloriosa locomotiva a vapore, che viaggiò anche nel 1837, quando inaugurarono la Napoli-Portici. Allora i mezzi erano scarsi e il sovrano, quando viaggiava, ordinava a un ferroviere appostato sul predellino di avvertire il conducente di andare più piano oppure più veloce.  

 

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