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mercoledì 8 ottobre 2025

Quegli incontri tra gruppi di amici


RACCONTI EDIFICANTI A MARTINA FRA FICHI, ULIVI E QUERCE SOLENNI

 

 


Carmine La Fratta
Gli ospiti più recenti il fotografo Carmine La Fratta e il pittore Antonio Rolla. Fra i  temi, il fiume Tara, che scioglie ricordi di delusioni e germogli d’amore.

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
FRANCO PRESICCI
 
 
Ogni visita di gruppi di amici tarantini nella mia casa di Martina, fra ulivi, fichi e una quercia millenaria, alta quanto il monumento ai Caduti di Francesco Paolo Como, nella Bimare, si trasforma in una sorta di convegno.
Marche Pol e l'attore Antonello Conte
Giorni fa con il fotografo-artista Carmine La Fratta e il professor Antonio Rolla, che dipinge porte, balconi, vuoti a perdere, tronchi di alberi dai rami come tentacoli di polpo, barche, contadini impegnati nella mietitura, volti di persone anziane, biciclette nuove e vecchie, che rappresentano libertà, sport, strade da percorrere, velocità, ma anche il riposo dopo chilometri divorati… E poi il fiume Tara e i problemi che a quanto pare lo incalzano. Caro fiume legato ai miei ricordi giovanili!
E’ stato il tema più ricorrente della quasi mezza giornata trascorsa con questa compagnia, perché quel fiume ci porta indietro nel tempo, per me un amore sfiorito prima del rigoglio, l’unione tra acqua salata e acqua dolce, il caldo e il freddo, quel ponticello che collega le due sponde e rappresenta, sempre per me, l’unione, l’armonia, l’abbraccio. La conversazione, piacevole e allettante, mi ha suscitato un pizzico di nostalgia, che si è subito spenta come un fiammifero.
Rolla ha sfogliato a tratti i suoi cataloghi, mostrandomi la sua felice ispirazione; io ho osservato attentamente le figure, vedendo balenare nelle pause il fiume Tara, dove andavo a bagnarmi quando avevo oltre 16 anni. Sempre con gli amici più fidati: una comitiva allegra, vogliosa di scherzi e di giochi, fatti di “cattuse” e di immersioni per attraversare le gambe aperte apposta degli altri.
Ho esortato La Fratta a parlare dei suoi prossimi viaggi con la macchina fotografica a tracolla: a Montemesola, dove da anni si svolge il festival dei baffi, con protagonisti che vi piombano da ogni parte d’Italia e anche dall’estero (anni fa dominava la figura di Giuseppe Verdi che veniva da Torino); poi forse a Crispiano per la sagra del peperoncino piccante e chissà poi dove. Carmine con le sue immagini è un cronista che racconta storie, persone, eventi, la vita di un paese, come quello-bomboniera con qualche decina di abitanti. Un artista errante che coglie momenti da favola.
lo scrittore Giacinto Peluso con Presicci

In questi quasi “convegni” a Martina, nella campagna dalla terra rossa ricca di vigneti nani, come dice il poeta Raffaele Carrieri - anche lui tarantino - in alcuni suoi bellissimi e indimenticabili versi, apprendo come cambia, com’è cambiata, come si è estesa la mia città, con un nuovo groviglio di vie, di quartieri, come sono oggi via Garibaldi, via Di Mezzo, luogo di nascita di Màrche Pòl, lo strillone “d’u Panarijdde”.
Ho ascoltato con attenzione, senza intervenire avido come sono di chicche sulla mia città. Non intendevo perdere una parola di La Fratta, che come fotografo è sempre alla ricerca di dettagli, con curiosità, passione, entusiasmo, paziente come un cacciatore in attesa della preda. Mi chiedo se stia qualche volta tranquillo, a riposo magari sotto un albero del suo giardino a meditare; e non nella sua camera oscura o in giro per i vicoli di Napoli, dominati dalle immagini di Totò, Eduardo, De Crescenzo, Nino Taranto, Maradona... E’ un fotografo di alta classe, riservato, poco amante degli elogi, delle esaltazioni.
Io, di tanto in tanto, esponevo i miei ricordi di cose lontane, di quando ero ragazzo e frequentavo la parrocchia del Sacro Cuore, nel mio quartiere, e la chiesa di San Domenico (“saneminghe”) nel borgo antico, dove il parroco,. Don Stefano Ragusa, aveva trasformato in un piccolo teatro una cappella sconsacrata.
Giuseppe Francobandiera
Ho stimolato Antonio Rolla al racconto delle opere di Giuseppe Francobandiera, che frequentò assiduamente, contribuendo a diverse esigenze di quel cantiere sempre aperto e sempre più efficiente. E lui pronto, ricco di esperienze e di umanità, scavando nella memoria alla ricerca di particolari, ha tra l’altro espresso il rammarico di non sapere più dove abbia conservato la spilla con la scritta “Teatro sull’erba”, che il direttore del Circolo Culturale Italsider, Francobandiera, appunto, regalò ai partecipanti all’inaugurazione di questa iniziativa rimasta storica.
Quante notizie mi ha dato, di Giuseppe, Antonio Rolla, che fu, ripeto, collaboratore entusiasta di quel vulcano di idee: realizzava eventi, curandone ogni aspetto, in modo che il risultato fosse sempre perfetto. Giuseppe veniva dalla Lucania, che vuol dire luce, e il suo cammino era sempre luminoso. Si conquistò la stima di intellettuali come Franco Zoppo, che insegnava italiano e greco al Liceo Classico “Archita” e scriveva libri di grande rilievo. Franco era un uomo moderno, amava le moto e la bellezza della città. Ricordo uno dei suoi libri, “Belmonte”, che feci presentare da Arnaldo Giuliani, colonna de “Il Corriere della Sera”, all’Associazione regionale pugliesi, a Milano, in piazza Duomo, dove addetto all’attività culturale era il grande pittore Filippo Alto, aperto a tutte le proposte da qualunque parte venissero, purché importanti. Il titolo di quel volume, bellissimo e interessante, fa subito pensare all’omonima masseria in cui venne, nella gola del camino, acciuffato il brigante Pizzichicchio, al secolo Cosimo Mazzeo.
Il ponte di pietra

Anche questo è stato il tema della nostra conversazione, mentre “jatàve” un vento che faceva “nazzecàre” gli alberi e dava voce al tratturo diventato quasi deserto, dopo la scomparsa di tante persone che lo rendevano vivace.
I miei due interlocutori ne hanno, di cose da raccontare. La Fratta, per esempio, ha conosciuto Màrche Pòl, strillone del periodico satirico stampato nella tipografia Leggeri, quando era ragazzino; e Rolla mi ha detto che nel ‘70 presentò a una mostra una tela che ritraeva lo stesso strillone con alle spalle una scultura di Rodin, vincendo il secondo premio-acquisto (in un’altra occasione quel premio lo vinse).
La Fratta mi ha anche mostrato alcune sue foto recenti che colpiscono come sempre per la loro originalità tematica; e altre in cui fa la cronaca di itinerari compiuti attraverso l’Italia.
Quando mi trovo in campagna con tarantini veraci che m’informano su quello che succede a Taranto è come se mi si aprisse un libro in cui vedo la mia culla lontanissima nel tempo oltre che nello spazio. Per esempio, non conoscevo a fondo la vita di Màrche Pòl, i vari lavori che aveva fatto da giovanissimo, dove era nato e dove viveva: particolari che si aggiungono alla mia antologia mentale.
La Fratta ritrae anche il centro in cui vive: Lama, che con il tempo è diventato un paese. E mi raffiguro questo luogo con le sue case, le sue ville, i suoi giardini, la sua piazza, le sue vie, la ferramenta della mamma di Maria Rita, una Venere che conosco e stimo. Non si può immaginare la voglia, il desiderio che stuzzica uno come me di vedere, anzi di vivere Taranto, di godere la sua atmosfera, i suoi colori, i suoi mari, le sue chiese antiche, il suo dialetto, armonioso, disseminato di suoni, di onomatopee.
Il cantore di Taranto Antonio De Florio
Sono colpevole di tradimento e questo è il mio castigo: non poter realizzare un sogno. Sessantatrè anni fa, per fare il giornalista in un grande quotidiano, abbandonai questa terra, che amo profondamente. Lasciai tutto e obbedii al fischio del treno che ansimava sul primo binario. Era un fischio imperioso che mi creava disagio, amarezza, pianto nel voltare le spalle alla mia culla, che mi aveva battezzato, aiutato a crescere, anche se non molto.
Mi sono confessato con i miei due graditi ospiti, figli di quella Taranto, a cui sono legati come l’edera al palo della luce che ho di fronte. Ho ammirato un catalogo di Rolla e preso in mano uno scritto di Giuseppe Francobandiera (ce l’ho a Martina), uomo di grandissima cultura; ho accennato a Silvano Trevisani e al suo lavoro su Alda Merini; ho ripensato a Guerricchio e osservato la cartella con tre grafiche eseguite in occasione della presentazione del libro di Francobandiera “L’ultima stella del carro” nel salone del Gran Caffè “La Sem”.
Il libraio Mandese e Domenico Porzio (La Fratta)
Ho visto anche un articolo intitolato “La realtà urbana colta dagli artisti”; e apprezzato “Il nostro litorale può essere difeso anche con i pennelli”, di Piero Mandrillo, nato a Pulsano, dove gli hanno dedicato la biblioteca.
La mostra, in cui Rolla vinse il primo premio, era dedicata proprio a quella città, e al suo litorale e aveva in giuria lo stesso Mandrillo, nella veste di presidente, Giuseppe Francobandiera, Gigliola Blandamura, Franco Sossi, critico d’arte molto stimato da Palma Bucarelli, direttrice della Galleria d’Arte Moderna di Roma, e direttore del “Rostro” (più volte vi apparve la mia firma), periodico molto seguito, che aveva la redazione in piazza Bettolo... Oltre 300 gli artisti partecipanti e tra il pubblico, numeroso, un concittadino arrivato dalla Scozia.
Antonio Rolla parlava; Carmine La Fratta scattava senza farsene accorgere. Quello del pittore è un volto reso più interessante dai folti baffi bianchi e dagli d’aquila. Il suo è un pennello delizioso. Questa è arte. E arte quella di Carmine La Fratta, capace di un racconto lungo e delizioso.

 

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