LE RIVELAZIONI DI DOMENICO BIDOGNETTI
UN BOSS “PENTITO” DEL CLAN DEI CASALESI
Elencati gli affari dell’organizzazione:
il pizzo, lo smaltimento dei rifiuti, le
bische, i subappalti, gli allevamenti
delle bufale, il latte che veniva dalla
Svizzera e il cemento dalla Turchia e
dalla Grecia”…
Rievocati gli assassinii
compiuti con ferocia, come quello di
don Giuseppe Diana, “colpevole” di
avere rifiutato di celebrare i funerali
dell’ennesimo “boss” ucciso.
Il libro di Fabrizio Capecelatro è prezioso.
Franco Presicci
Senza limiti il potere criminale del clan dei casalesi. Lo conferma Domenico Bidognetti, detto “’o Bruttaccione”, confessandosi con Fabrizio Capecelatro, giornalista trentenne di ottima stoffa. Nelle loro mani anche l’allevamento delle bufale. “Chi le rubava per venderle veniva ucciso”.
Di sangue ne hanno fatto versare tanto, i casalesi: per punire torti ed errori, per dare un avvertimento. E “il sangue non si lava”, come dice il titolo del libro di Capecelatro: il racconto del “boss”. Che è stato un killer spietato salito al vertice dell’organizzazione ingrassata con mille affari: le estorsioni, la gestione delle bische clandestine e delle macchinette dei videopoker, lo smaltimento dei rifiuti (126 milioni a notte d’incasso), i subappalti... “Controllavamo persino il latte che arrivava dalla Svizzera, il cemento dalla Turchia e dalla Grecia”. Poi “’o Bruttaccione” è stato arrestato, sottoposto al regime del 41bis, che rende la detenzione ancora più dura; ha cominciato a meditare, a ripassare mentalmente in rassegna le vite che aveva stroncato personalmente o attraverso i suoi ordini; e quelle che portavano la firma di altri. Ha pensato al dolore che aveva provocato alla sua stessa famiglia, e nel 2007 ha deciso di vuotare il sacco in lunghi colloqui con i magistrati di Napoli. Insomma, è diventato un collaboratore di giustizia.
Sandro Ruotolo presenta il libro |
Un racconto lungo, dettagliato, il suo: dalla nascita dei casalesi alle ascese e ai crolli dei vari personaggi; con nomi e cognomi di alleati, amici fraterni e d’infanzia coinvolti in quel pianeta criminale; riconciliazioni strategiche e scissioni scandite da raffiche di mitra e colpi di pistola; i piani architettati per i “blitz” e anche il numero di quelli che vi partecipavano, i luoghi, i momenti. “Riuscii a fare uccidere il cassiere dei Tavoletta, fin dentro la sua abitazione. Era un commerciante di pneumatici e, per paura degli attentati, aveva costruito un ufficio con i vetri blindati da cui non usciva mai. Addirittura parlando con i clienti tramite la vetrata.
Capecelatro firma le copie |
Mandai due miei affiliati vestiti da allevatori, con le tute ancora sporche di letame, a bordo di una Fiat Punto con le ruote distrutte. Con la scusa di dover cambiare le gomme dell’auto andarono più volte, cercando ogni volta di ottenere uno sconto maggiore, e così conquistarono un po’ della sua fiducia. Non appena quello aprì la porta dell’ufficio, gli spararono alla nuca…”.Ha anche ricostruito l’omicidio, commesso da altri del clan il l4 luglio ’92, di don Giuseppe Diana, il sacerdote che si era rifiutato di accogliere in chiesa un mafioso ammazzato. Il gesto fu considerato un affronto; e Il killer, entrato in sacrestia, dove la vittima stava indossando pianeta e stola per la messa, lo uccise. “Probabilmente don Peppe, negando il funerale… volle lanciare un segnale alle cosche in lotta, manifestando aperto dissenso per le carneficine, e soprattutto ai giovani di Casale…”, esortandoli a tenersi lontani dal precipizio. Anche sotto questo aspetto il libro di Fabrizio Capecelatro è prezioso.
Capecelatro e Giuseppe Borrelli dell'Antimafia |
Lo stesso Bidognetti, in ansia per i propri figli, si rivolge alle nuove generazioni: “La camorra non protegge nessuno – ha ripetuto a suo tempo al TG1 - : dà solo morte, terrore e veleni”. E lo ha ribadito in una lettera che Giovanni Conzo, della Direzione Distrettuale Antimafia partenopea, ha letto proprio durante la commemorazione di don Giuseppe Diana a Casal di Principe. In quel messaggio “’o Bruttaccione”, dopo essersi presentato confidando le sue colpe, ha detto di aver cambiato percorso di vita e di fede anche grazie alla paura che i figli potessero intraprendere il suo stesso itinerario; o che qualcuno di quelli a cui aveva procurato un lutto potesse vendicarsi mirando a loro.
Il 2 maggio del 2008 toccò al padre, Umberto, pagare per la decisione di Domenico di cedere snocciolando i misfatti atroci, i “business” dei casalesi definiti dal presidente Obama il quarto sodalizio criminale più pericoloso al mondo. Bidognetti ebbe la notizia in cella da un altro detenuto. “Fu ucciso alle 5.50 in campagna, mentre iniziava la montatura delle bufale”.
Fabrizio Capecelatro al Gr3 |
Nato nel 1939, il più piccolo di otto fratelli, rimasto orfano di padre, Umberto aveva cominciato a lavorare a otto anni, portando l’acqua ai lavoratori che falciavano il fieno e il grano. Così aveva imparato a coltivare la terra, “quello che poi avrebbe fatto per tutta la vita, fino alla morte”. Umberto avrebbe voluto per Domenico un avvenire diverso, conquistato con lo studio o il lavoro, e invece lo aveva visto crescere, diventare potente in un ambiente infernale.
Togliendo la vita a quest’uomo onesto, gli esecutori avevano anche voluto scoraggiare chi consideravano infame. Tale è per la mafia chi per timore o coscienza o calcolo decide di scegliere la via del cosiddetto pentimento. Riattraversando i suoi vent’anni nel clan dei casalesi (“e allora non dimentico quando, nel maggio del 1988, per la prima volta andai a bloccare un cantiere che non ci aveva pagato il pizzo”), indicando ”doti” (come in gergo di mafia vengono chiamati i ruoli), parentele anche anagrafiche, esponenti di spicco, sodali o avversari, da Francesco Schiavone, detto “Sandokan”, a Carmine Alfieri; da Antonio Bardellino, “boss” della camorra tra i primi associati campani a Cosa Nostra”, ucciso il 26 maggio 1988, a Giuseppe De Falco, detto “Barbacane; Antonio Jovine, “’o Ninno” ed altri, sapeva che esponeva se stesso e altri alla vendetta. Poi sul “Mattino” lesse la lettera della madre che gli rimproverava le sofferenze che lui aveva causato a lei e a tutta la famiglia, concludendo che “è facile pentirsi lasciando…noi nel dolore”.
F. Capecelatrro, G. Borrelli, G. Conzo e Gigi Di Fiore |
Il 3 novembre del ‘97 la donna aveva pianto la morte violenta del figlio Salvatore, lontano dall’ambiente criminale, ucciso da cinque sicari. Troppi i delitti. L’elenco che Bidognetti compila nel libro di Fabrizio Capecelatro, autore di un altro “scoop”: “Lo spallone” (libro-intervista al re del contrabbando, Ciro Mazzarella), è impressionante. Come la strage del 18 settembre del 2008, compiuta da un commando a lui estraneo: obiettivo sei giovani immigrati che lavoravano in una piccola sartoria. Motivo? Lo stesso colore della pelle di una batteria di nigeriani che avevano inaugurato un traffico di stupefacenti nella zona del Casertano, senza chiedere la benedizione dei casalesi. Per i giornali fu la “Strage di San Gennaro” o “Strage di Castel Volturno”.
Fabrizio Capecelatro |
Domenico Bidognetti, nato nel 1967 a Casal di Principe, che, ribattezzata “terra dei ‘mazzoni’”, “ancora oggi fa tremare la Campania e tutta la penisola”, a 12 anni lavoricchiava e studiava. Poi in un bar in piazza alcuni “amici di mio cugino mi chiesero un favore…Un favore che non avrei dovuto fare perché puzzava di sangue”. Aveva 25 anni quando superò la soglia che separa il bene dal male. Il suo primo omicidio lo commise “in pieno giorno, in piena estate, su un lido balneare”. Nella prefazione all’opera di Fabrizio, Giovanni Conzo annota che la scelta, sofferta, di Bidognetti “di collaborare con la giustizia, dapprima per la necessità di coinvolgere parenti e amici d’infanzia nelle sue dichiarazioni e poi per le gravi conseguenze personali che ha dovuto subire, fu la nostra vittoria…”. Insomma “Il sangue non si lava”, pubblicato da ABEditore nella collana “Terra dei fuochi” curata dallo stesso Capeceletro, 30 anni, milanese con il cuore a Napoli, firma del quotidiano on-line “NanoPress.it”, è una testimonianza di grande valore, raccontata in modo scrupoloso, attento a ogni dettaglio. La lettura non lascia tregua: ogni capitolo è denso di fatti: la latitanza che costringeva Bidognetti a cambiare alloggio quasi ogni notte (di solito masserie, in cui il rifugio è ritenuto più sicuro); il carcere con le sue leggi; l’isolamento; l’ora d’aria in pochi centimetri quadrati, i colloqui vigilati…. “Il sangue non si lava”, recensito da molti giornali e in televisione, e presentato in varie città d’Italia, a Milano, a Bari, a Napoli a Roma, a Benevento…, con la partecipazione di notevoli personalità del giornalismo (Sandro Ruotolo…), della magistratura (Giovanni Conzo…), delle forze dell’ordine, sta riscuotendo grande successo.
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