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mercoledì 18 ottobre 2017

Affascinante, Liana Orfei, regina del circo


AVREBBE VOLUTO FARE GIULIETTA

MA SAPEVA DI NON AVERE IL FISICO



Liana Orfei


Da attrice ha ricoperto diversi ruoli, al cinema,

in teatro, in televisione. Avrebbe tanto voluto
 
interpretare la parte della Loren nel film

“La ciociara”.

Era ancora piccola quando entrò per
 
la prima volta in una gabbia. Nel circo ha fatto
 
anche il clown. In una serie di sei trasmissioni
 
televisive, raccontò la vita che si svolge sotto
 
e attorno allo “chapiteau”.







 
Franco Presicci
 

Bella, affascinante, una mercedes tra l’indice e il medio; il gomito destro appoggiato sul tavolo e la mano sotto il mento; i capelli d’oro con venature d’argento, soffici e vaporosi, raccolti dietro la nuca; un sorriso luminoso; un mini-midì di Massimiliano Giornetti e una camicetta di cashemire. 
Liana Orfei
Eccola, Liana Orfei, regina del circo, sulla piattaforma della sua casa viaggiante, a poca distanza dal tendone del suo circo, accampato in via Melchiorre Gioia, di fronte alle ex Varesine, spazio che allora ospitava “chapiteaux” e giostre. L’ammiravo, Liana, stando comodo su una poltrona a pozzetto, con accanto un credenzino barocchetto, quando lei lanciò a Nando, che stava all’interno, l’invito a preparare un caffè. Mentre la figlia che giocava nel ruolo di capostazione con un gruppetto di coetanei in quelli di controllore e passeggeri. Evidentemente non erano stati ancora folgorati dall’idea di entrare nella gabbia della tigre o di volteggiare sul trapezio, a un’altezza da capogiro. La ragazzina si staccò dagli altri e chiese alla mamma 100 lire, forse per fare un giro sull’otto volante. “Tesoro, rivolgiti alla nonna: non ho con me nemmeno il borsellino”. Era gentile, cordiale, Liana, squisita conversatrice. Nessun atteggiamento da diva, semplice, spontanea nel raccontare le sue tante esperienze professionali. Seguì per qualche minuto con lo sguardo amorevole la figlia che si allontanava e mi disse: “Se un giorno mi esprimesse il desiderio di affrontare le belve, piuttosto che soddisfarla l’ammazzerei. Né le permetterò di andare sul trapezio. Sapesse che cosa significhi essere sospesi lassù e poi tuffarsi e arrotolarsi per congiungersi con il partner che dalla parte opposta si avvicina a te per agganciarti. E che cosa significhi per quelli che sono giù a trepidare”.
Esibizione al circo
Mi trattò come un amico. E aprì uno spiraglio sulla sua vita privata, “se mai ne ho avuta una”. Mi parlò del cinema, della televisione, del teatro e delle parti che vi aveva svolto. E del circo, dov’è nata, in una famiglia che allora aveva raggiunto i 158 anni sulla pista. Era il 18 ottobre del ’70, quando la incontrai. Mi attese sul terrazzino del carrozzone, che stava a pochi metri dall’angolo con via De Gasperi. E dopo poche battute preliminari cominciò a confessarsi. “Ero piccola quando, sbarazzina, incosciente, quasi matta, affrontai per la prima volta i felini, che obbedirono agli ordini senza esitazioni”, forse anch’esse attratte da questa splendida amazzone. “Ma arrivò il momento in cui, stando tra quelle sbarre, sentii che qualcosa era cambiato. Prima era esaltante, emozionante, ma dopo la nascita della bambina avvertii una sensazione diversa. Il pensiero di poter finire sbranata mi sconvolse”. “Che cosa prova esattamente un domatore quando è di fronte a un animale che all’improvviso può saltargli addosso e fargli male?”, le domandai. Tanta paura. Soprattutto quando si accorge che tigri o leoni quella sera hanno la luna a rovescio e gli si deve comunque imporre di non fare capricci. Io non credo a quei domatori che affermano il contrario”. Liana nel circo ha fatto di tutto. Anche il clown. E mi descrisse la soddisfazione di questo personaggio simpatico, pirotecnico, imprevedibile quando vede ridere i bambini, anche se lui, per motivi personali, è triste. Le sue “gag”, le sue mosse, i suoi stessi abiti, le sue scarpe, che sembrano barche, il suo volto dipinto divertono anche i grandi, “che vengono al circo con la scusa di accompagnare i figli”. Interessanti i ricordi di Liana, e piacevole il suo modo di rispolverarli. Parlò degli anni in cui si occupava del dressaggio dei cavalli e pungolava il re della foresta per regalare emozioni al pubblico, offrendomi con grazia la seconda mercedes.
Liana Orfei il  10 ottobre 1970
Elefante al circo


Qual è il destino del circo?”. “Il circo vivrà finchè ci saranno bambini, e i bambini ci saranno sempre. A noi il compito di presentare numeri sempre più perfezionati. Non si può, come una volta, schierare elefanti e scimmie, gorilla e jene. Occorrono idee nuove. La vera minaccia in Italia viene dalla mancanza di piazze. Fatta eccezione per Milano e qualche altra città, ci confinano a una trentina di chilometri dal centro abitato. Non così in altri Paesi. Mesi fa sono stata a Zurigo per vedere il circo ‘Kric’. Lo sa dov’era attendato? Nella “Place de l’Operà”. “Per lei, Liana, che cos’è il circo?”. “Un mondo splendido, grande, ritmico, pulito, rutilante, dove l’abilità è essenziale. Qui la bustarella non esiste. Non puoi andare sul trapezio con la raccomandazione del tizio che conta. I numeri vengono selezionati con molto rigore e si premia la bravura. Nel circo c’è gente che guadagna anche 200 mila lire per sera”. La incalzai: “Lavorando nel cinema e alla televisione ha mai sentito il desiderio di tornare a casa? E se avesse ceduto che ruolo avrebbe voluto rivestire?”. “Quello del clown”. “Tra le sue aspirazioni, c’è quella di interpretare se stessa al cinema o alla tv?”. “Lo sto già facendo. Sto registrando una serie di trasmissioni sulla mia vita e sul circo.
Cercherò di far capire al pubblico com’è deliziosa, emozionante, varia la vita del circo; e lascerò da parte quelle fasi della mia vita privata che possono condensarsi così: innamorata a 12 anni, fidanzata a 14, sposata, madre a 18, libera a 20. Piacerà al pubblico vedere un’artista come me, ricca di tante esperienze. A Parigi mi conoscevano come attrice e si sono meravigliati nello scoprire che ero quella che lavorava nel circo”. “Prova disagio in televisione, dove il pubblico, quando c’è, è fatto di quattro gatti, mentre al circo realizzava i suoi numeri davanti a centinaia e centinaia di spettatori?”. “Forse un disagio tecnico, per il fatto che ogni movimento è prestabilito, ma l’eccitazione non manca se pensi che al di là di quel puntino rosso ci sono milioni di persone che sedute in poltrona ti stanno guardando”.
Liana Orfei
Liana si accese un’altra sigaretta, seguì le spirali di fumo che salendo si allargavano, ma fu distratta dal fischio della figlia che dava il segnale di partenza a un treno immaginario. Le chiesi se avesse programmi teatrali. “Sì, devo provare una ‘pièce’ inglese con Dapporto: ‘Il visone viaggiatore”, che è stata in cartellone per quattro anni a Broadway, tre a Parigi e quattro a Londra”. “C’è un personaggio che avrebbe voluto rappresentare?”. “Quello di Sofia Loren nel film ‘La Ciociara’. E Giulietta, anche se so di non avere il fisico adatto. Giulietta m’interessa perché mi piacciono le grandi passioni, quelle capaci di distruggerti la vita. Mi piacciono i drammi, le situazioni romantiche”. “E di Liana Orfei che cosa le piace?”. “Sono autocritica e autolesionista. I miei amici lo sanno”. Sono passate due ore dall’inizio della conversazione, e starei volentieri ancora a conversare con Liana. Ma la vita del circo concede soste brevi anche a chi lo guida. Sentii il nitrito di un cavallo, accompagnato dal barrito di un elefante. Si era già accesa la pista e il pubblico si stava già incolonnando davanti alla biglietteria. Immaginai i clown’s al trucco, la cavallerizza vicina ai quadrupedi, sulla groppa dei quali avrebbe danzato e fatto piroette da equilibrista fuoriclasse. Liana m’invitò a rimanere per lo spettacolo. Mi piacerebbe, perché il circo, con la sua magia, la sua festa di colori, la musica, le mitragliate di luci, le prove di coraggio e destrezza che i protagonisti danno ogni sera, mi attrae sempre. Ma avevo un altro impegno, ringraziai e salutai la ninfa, allontanandomi dall’enorme tendone percorso da decine di bandierine sventolanti e mi promisi di tornare per sedermi in prima fila, dove bisogna difendersi dagli schizzi di segatura provocati dagli zoccoli dei cavalli al galoppo.













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