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mercoledì 19 dicembre 2018

Centinaia di foto inviate dai clienti


Lorenzo Triglia


TONSORI DA TUTTO IL MONDO
 
IN UNA BARBIERIA DI MILANO




In Cina il conciateste lavorava con

l’avventore seduto sul risciò; altrove

l’uno e l’altro erano accosciati sul 

pavimento sotto un tetto di lamiera.










Franco Presicci

Più volte il mio amico Cesare Isabelli, settantenne alto, atletico che ben figurerebbe in un film di cappa e spada, mi aveva promesso, anni or sono, di accompagnarmi in una barbieria del centro, in cui erano raccolti tonsori di tutto il mondo, Cina e Australia comprese. Il salone si trovava in via Rovello, sede di un palazzo, già del conte Carmagnola, che lo abitò dal 1413 al 1424 e oggi del Piccolo Teatro, fondato da Paolo Grassi e Giorgio Strehler. La notizia era una caramella profumata ed ero ansioso di andarci. L’amico mi parlava, decantandomeli, di questi maestri del pettine e del rasoio, ma poi i suoi mille impegni lo distraevano e gli veniva a mancare il tempo. Tra l’altro, ora doveva partecipare alla Stramilano, che praticava da sempre; ora era in partenza per New York per sgambare alla maratona americana, che affrontava fino al traguardo quali che fossero le condizioni meteorologiche. 
Via Rovello
Un pomeriggio, dopo una partita in cui mi aveva messo a tappeto con sei scope, lo esortai a decidersi. Il giorno successivo salimmo sul jumbo-tram 4, che conclude la corsa a Cairoli, e a piedi, attraverso via Dante, raggiungemmo via Rovello, dove proprio all’inizio spiccava l’insegna della sala da barba. Notevole fu la mia soddisfazione nel vedere nel vedere tutti quei barbitonsori che mi aveva descritto l’amico appiccicate alle pareti bianche e senza più uno spazio libero. Rimasi fermo ad osservare lo spettacolo non so più quanto tempo: quelle immagini – duecento o trecento, non ricordo -- provenienti dal Vietnam, dalla Cambogia, dall’Arabia Saudita, dalla Cina… Lavoravano all’aria aperta, qualcuno sotto a una tettoia di lamiera mi ricordavano i conciateste che rapavano i milanesi nel dopoguerra tra le macerie degli edifici sbriciolati dalle bombe nell’agosto del ’43. L’uso di insaponare e rasare gli avventori in strada era in voga anche in Francia nel 1200, quando nel nostro Paese poltrone girevoli, specchi, bacili a orli smussi erano già diffusi.
Collezione Triglia
Il mestiere, che ha radici antichissime, cominciò proprio con operatori che si spostavano da un quartiere all’altro e da una casa ad un’altra senza farsi scoraggiare dalle distanze, che magari coprivano pedalando. La cosa non sarebbe piaciuta agli Ateniesi, che avendo in gran conto le chiome e l’onor del mento erano orgogliosi delle botteghe del “coiffeur”, che già allora erano luoghi di chiacchierio. Infatti, nell’attesa di essere dicioccati gli avventori si scambiavano opinioni non sempre benevoli su personaggi all’epoca molto in vista. Fino a qualche decennio fa c’erano persone che ricevevano il barbiere in casa. Per la cronaca, il mio bravissimo collega, da tempo scomparso,
Il giornalista Rizza riceve il barbiere in sala-stampa
Giancarlo Rizza, navigatore, appassionato del bridge e principe della “nera” - sono memorabili gli “scoop” che inanellava, mandando su tutte le furie la concorrenza - riceveva il barbiere, modesto e silenzioso, volto immobile, sempre in giacca e pantaloni grigi e cravatta scura, in sala-stampa. C’è una foto che lo immortala. Ma rieccoci in via Rovello, nella barbieria dei fratelli Antonio e Lorenzo Triglia, dove, detto per onestà, ero stato preceduto mesi prima da un ottimo giornalista, Carlo Lovati, che dal quotidiano del pomeriggio “La Notte”, redazione in piazza Cavour, al primo piano del Palazzo dell’Informazione, di proprietà dell’Eni, era passato al “Corriere della Sera”. Ma lui aveva dedicato poco spazio, pur dicendosi entusiasta di quelle testimonianze originali. Una ritraeva il figaro, in piedi sul marciapiede, intento a sfoltire i capelli del cliente seduto sul risciò, accanto a una bicicletta con l’insegna dell’esercizio pendente dal fanale. In Birmania, in aperta campagna, tra un albero secolare e una catapecchia, barbitonsore e cliente erano accosciati su un tavolo invecchiato, o sul mattonato di un locale disadorno… In Cambogia, una giovane donna sforbiciava “en plein air” sulla capigliatura di uno sbarbato. Il contrario di Paesi come la Thailandia e l’Algeria e altri, dove secondo quella serie iconografica il mestiere veniva esercitato in sale da barba ben dotate. Chissà se costoro praticassero anche salassi con mignatte o sgonfiassero bubboni come nel Trecento a Trieste e fino a una settantina di anni fa in qualche parte del nostro Sud. Ricordo il tale che faceva il trattamento a mia nonna, quando io avevo appena 10 anni e lei un’ottantina.
Antonio Triglia
Antonio Triglia, un calabrese approdato a Milano tantissimi anni fa, disponibile, sorridente, ospitale, ricco d’informazioni, era orgoglioso di questo patrimonio, che comprendeva il Marocco, la Libia, il Tibet… “Ma come è iniziata questa collezione?”. “Un mio cliente, nel 1980, mi portò un’immagine non so più se dall’Argentina o dal Brasile, mi piacque e io l’attaccai al muro. Poi altri lo imitarono e il risultato eccolo qua”. Continua: ”Le pareti sono piene, ma un pezzo di muro lo troverò sempre, se mi verranno regalate altre ‘scene’”. Non smettevo di ammirare gli ambienti, i personaggi, gli attrezzi adoperati, gli atteggiamenti delle persone presenti nelle foto. Cesare Isabelli, che mi aveva fatto scoprire questo mondo, commentò. “Pensa che alcun amici infilano le foto in buste, le affrancano e gliele spediscono, quindi c’è anche il valore aggiunto del francobollo, non certo venale”. 
Collezione Triglia 2
Pagina calendarietti barbieri
Giacchè c’ero, domandai a Triglia notizie sulla storia della barbieria; e mi riferì che, aperta nel ’65 con il fratello Lorenzo, era frequentata da professionisti, imprenditori, intellettuali… tra i quali Umberto Eco, purtroppo venuto a mancare qualche anno fa. Ma non fu Antonio a farne il nome, perché lui osservava la massima riservatezza sulle personalità che si sedevano sulle sue due poltrone girevoli. “Sai, non vorrei che si dispiacessero. Potrebbero sospettare che attraverso i loro nomi mi voglia fare pubblicità”. “Un tempo i saloni da barba disponevano di figure oggi sparite. E voci ormai spente. ‘ Ragazzo spazzola’, si sentiva ordinare al ragazzo di bottega, che doveva carpire i segreti del mestiere vedendo al lavoro il maestro della lama. E chi non ricorda la manicure, che seduta su uno sgabello, tenendo in grembo il cofanetto con i ferri occorrenti, ingentiliva le mani dell’avventore. Ai giorni nostri la figura sopravvive in certe barbierie, ma i vari saloni di bellezza ne hanno assorbito l’attività.
E i calendarietti profumati che i tonsori distribuivano a Natale? Erano molto attesi per le scene dei primi baci cinematografici, quadri d’arte, storie popolari, film, addirittura poesie e belle donne magari in abiti ‘osèe’ e in atteggiamenti maliziosi… Col tempo sono diventati oggetti da collezione. Antonio Triglia, che parlava anche per il fratello Lorenzo, in ascolto attento, si disse soddisfatto del mestiere, che ha ispirato poeti, pittori, compositori. Non solo il “Barbiere di Siviglia”. Un signore in attesa elegante, stile inglese, intervenne tirando in ballo l’importanza della cura di barba e capelli. “Non per niente i bravi dei ‘Promessi Sposi’ sono ritratti dal Manzoni con il ciuffo e i baffi incolti, da cui traspare un ‘riso tra lo sguaiato e il feroce’. Da non dedurne che tutti coloro che si presentano con un pelo anarchico sono sporchi, brutti e cattivi. Continuavo ad osservare le foto. Tra l’altro erano istruttive. Riproducevano tanti particolari dei luoghi in cui erano state scattate: oltre agli elementi del mestiere, tra cui un secchio per l’acqua, gli abiti indossati… Una novità per Milano, apprezzata anche altrove, tanto che una rivista giapponese dedicò all’esposizione un servizio dettagliato. Antonio e Lorenzo non cercavano il chiasso sui giornali, anche se provavano piacere nel vedere che la loro raccolta suscitava interesse. Non poteva essere diversamente, visto che, stando nella loro barbieria, si aveva l’impressione di guardare il mondo. “O no?”, domando a Isabelli. Intanto Antonio mi confidava: “E dire che non volevo farlo, questo lavoro. Papà, uomo saggio, mi spronava: ‘Antò, impara l’arte e mettila da parte’. Obbedii’”. Aveva sì e no 10 anni quando prese ad avere la bottega come doposcuola, a Reggio Calabria. Poi prese il treno e si trasferì a Milano, aprì il locale e i clienti arrivarono subito”. Il percorso che tanti uomini del Sud hanno fatto, dimostrando in ogni campo le loro capacità.











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