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mercoledì 21 ottobre 2020

Lavorare al “Giorno” di via Fava era esaltante

Guido Gerosa, a destra e il direttore del Giorno Lino Rizzi

 

LA FLOTTA DEI CRONISTI GALVANIZZATI

NON GUARDAVANO MAI AGLI ORARI

 

 



Quelli della “nera” non perdevano un colpo.


Quando erano su un fatto non lo mollavano se non dopo aver riempito il paniere.

 

Chi poi primeggiò in altri campi dopo aver lasciato il racconto dei delitti e delle rapine provava tanta nostalgia.

 

 

 

Franco Presicci

Palazzo del Giorno

Sin dalla sua nascita, in via Settala, il quotidiano “Il Giorno” ha avuto firme di altissimo livello, dal critico cinematografico Pietro Bianchi a quello teatrale Roberto De Monticelli, all’investigatore d’arte Marco Valsecchi, a Gianni Brera, re dello sport, a Giancarlo Fusco, tra l’altro autore di cinque o sei libri (tra cui “Quando l’Italia tollerava” sulle persiane chiuse)…. In tutte le redazioni c’erano degli assi. Per esempio per il ciclismo Mario Fossati; per il pugilato Nando Pensa… Tra gli inviati Pier Maria Paoletti, che stazionava in Cronaca, ma era anche un esperto di musica, Mario Zoppelli, Bernardo Valli, Giorgio Bocca; Patrizio Fusar, Guido Zozzoli, che Vittorio Emiliani, altra firma autorevole, descrisse come “affabulatore straordinario che deliziava i colleghi che dovevano sorbirsi il turno di notte fino alle 4, con i suoi racconti di eccezionale vivezza: drammatici o divertenti…”). La Cronaca era nota per la sua vitalità, col tempo galvanizzata da capocronisti di grande valore, prima Enzo Macrì e poi Enzo Catania, entrambi siciliani.

 

Catania fra i prefetti Serra e Colucci
Il secondo era un vulcano in eruzione: non molto alto, barbuto, elegante, schietto, generoso, autore di libri sulla mafia e su altri argomenti, collaudatosi asl settimanale “Tempo” di Nicola Cattedra. Si arrabbiava per un nonnulla e dopo cinque minuti ti batteva una mano sulla spalla e ti invitava a bere uno zibibo al bar del giornale o a quello dell’angolo tra via Fava e via del Progresso. Intuito e capacità di lavoro inesauribili, non aveva orari: capitava al giornale anche a mezzanotte, dava una controllata e spariva per tornare alle 7 del mattino. Lo si poteva chiamare a qualsiasi ora, volendo essere avvertito subito nel caso di un’operazione di polizia, un palazzo crollato, un incendio di grandi dimensioni. Si vestiva in fretta, si metteva in macchina e piombava al giornale. La “nera” aveva un campionario di scoiattoli invidiati dalla concorrenza. Oltre a Nino Gorio, che al Palazzo di Giustizia inanellava scoop di portata internazionale, fra cui quello che gli valse il Premio Cronista dell’anno che si assegnava a Sinigaglia, primeggiavano Piero Lotito, Giancarlo Rizza, Tanino Gadda, Giorgio Guaiti, Giovanni Basso, Maurizio Acquarone… In seguito ognuno di loro prese un'altra strada, preferendo chi la scuola, chi la cultura. Rizza, dalla penna elegante come Lotito, rimase inchiodato alla sala-stampa della questura, dove conosceva tutti, era in confidenza con molti e quindi non gli mancava mai la pappa. Anzi, abile com’era, anche lui metteva a segno colpi che lasciavano il segno.
Il cronista Giancarlo Rizza

Per esempio, una sera a cena con lo “staff” della squadra mobile in un ristorante in cui i camerieri erano vestiti come monaci, annusò una notizia e fingendo di dover andare in bagno sgattaiolò verso l’uscita un minuto prima che un dirigesse simpaticamente dicesse che nessuno dei presenti doveva lasciare il tavolo per un…emergenza. Era troppo tardi quando si accorse della fuga di Giancarlo, che era corso in via Fatebenefratelli, sede della questura, per torchiare un suo “trombettiere” . E fu “scoop”. Giancarlo era un tipo che non parlava troppo, paziente, colto, amante della buona cucina, e della vela (andava in barca con il figlio Sergio, diventato un valente collega e con la moglie a giocare a bridge al circolo dell’Aeronautica.) Fra i “roditori” ce n’era uno che non aveva orari. Il giornale era per lui casa e bottega. Non avrebbe voluto fare altro nella vita se non il cronista di nera: “la nera è esaltante, appassionante, coinvolgente, anche se nel raccontare i fatti si deve mantenere un doveroso distacco”. A qualunque ora della notte ricevesse la telefonata di una fonte, chiamava Dante Federici, un mastino (come Stefano Cavicchi) titolare di un’agenzia fotografica, e scattava. Sul luogo del delitto esaminava tutto. Se la persona era stata uccisa a bordo di un’auto, infilava la testa nell’abitacolo per vedere addirittura la marca di un pacchetto di sigarette. Spigolava dappertutto. Se c’erano testimoni li spolpava; se non ce n’erano andava a cercarli. La storia della criminalità la conosceva nei minimi particolar: nomi di boss e di gregari, di mezze maniche, le loro imprese, le loro tecniche, le loro condanne, le date. A volte un amico acquartierato fra la concorrenza si rivolgeva a lui per un dato.

 

Tanino Gadda e Luisella Seveso
Se un caso veniva affidato ad un collega, soprattutto se era alle prime armi come Enrico Nascimbeni (poi diventato famoso come poeta e cantautore) lui lo seguiva per dargli una mano o per curiosità; e se rimaneva al giornale, raccoglieva telefonicamente notizie che riferiva al collega interessato via radio (il marchingegno di trovava sulla cosiddetta macchina di cronaca pilotava da un autista). In una periferia milanese una sera, verso le 10, scoprirono una coppia assassinata in un’auto. Impegnato altrove, venne sostituito da Lotito, che lo rintracciò per dirgli che la cosa era grossa. Avuto l’indirizzo di una delle vittime, vi si precipitò, apprendendo tra l’altro che la donna era un’”entraineuse” che lavorava in un night svizzero. Il giorno dopo, eccolo prima in quel night, poi in un “residence” di Lugano, dove i due avevano alloggiato. Li raccolse un sacco dii informazioni e mentre rientrava a Milano ricevette una telefonata di Catania, impaziente di sapere che fine avesse fatto. Era anche lui instancabile. Una notte, attendendo una notizia importante (l’arresto di uno dei massacratori del Circeo a Panama), si stese sulla scrivania, usando come cuscini le rubriche del telefono. Lavorava senza sentire la stanchezza, anche se era a Tunisi per il delitto del catamarano o a Lugano per cercare le tracce di uno strano personaggio che sembrava implicato in traffici di armi e droga, o a Genova per la fuga del Vidocq di casa nostra dalla nave che doveva portando al carcere di Bad’e Carros, in Sardegna (fu un suo dei suoi “scoop”); o a Vicenza, per l’arresto di un boss della mafia.
Piero Lotito e Giorgio Guaiti

A volte gli affidavano incarichi piacevoli, sia pure forse a malincuore (perché sottraevano una pedina dalla scacchiera). In uno doveva narrare una crociera a bordo di un’ammiraglia della Costa: partenza da Malpensa per New Jork; da lì a Miami, quindi imbarco per le Isole Vergini. Dovendo restare a Miami due giorni, ne approfittò per andare all’Evergaides, a intervistare Sonny Bill, capo della tribù indiana dei Mikkosuki. Era galvanizzato, non per quel viaggio, che raccontò in una pagina intera, descrivendo persone e luoghi. Tra i quali il supermercato del tabacco a Saint Thomas di fronte a un negozio di Laura Biagiotti e vicino a un aquario, dove, attraverso finestre a vetri molto spessi si potevano vedere pescicani che facevano il girotondo con altri grossi pesci, e Saint Jones grondante di verde, raggiunto con un battello tipo quello visto in un film di Bud Spencer). “Sì, d’accordo, mi sono divertito, ho visto anche gente che rotolava per le dimensioni e fanciulle americane splendide; ho ballato con una signora di colore il doppio della mia altezza (nel buio trafitto dalle luci dei tavoli, stando seduta, sembrava pareggiarmi); ho visto cose interessanti; l’intervista a Sonny Bill mi ha riempito di gioia; la navigazione sulla grande palude che fu la roccaforte di Osceola è stata un’esperienza irripetibile; ma volete mettere la nera?”.

 

Guglielmo Zucconi e Giuzzi

Per la strage di via Palestro fu impegnato due notti e un giorno, ininterrottamente. Il giorno dopo la strage andò a trovarlo un tale che diceva di essere siciliano, di aver saputo da un suo cugino in carcere a Palermo per mafia il nome dell’autore del mandante del mandante, ma purtroppo non si fidò. Ricevette tre querele, ma si salvò come un naufrago a bordo di un motoscafo. Per un’inchiesta su un ambiente spinoso fu minacciato, ma mostrava non preoccuparsene. Merito anche dei capocronisti, Enzo Catania e poi Gino Morrone e poi ancora Giulio Giuzzi, che galvanizzavano la cronaca e davano fiducia a chi la meritava.

Ugo Ronfani

                                                                             

Giuzzi, Gorio e Pertini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Così anche i direttori Gaetano Afeltra, Guglielmo Zucconi e Lino Rizzi, oltre ai vice Angelo Rozzoni, uomo serissimo, severo, grandissimo professionista;





e Ugo Ronfani, autorevole intellettuale, critico d’arte e già corrispondente da Parigi (aveva anche partecipato nelle vesti di giornalista alla guerra d’Algeria). Più volte ricevette da loro biglietti di congratulazioni. Qualche volta, nonostante il poco tempo a disposizione (nei quotidiani si lavora “ad horas”), riusciva a mietere ogni particolare utile, anche se sul posto non aveva amici informatori. Non prendeva appunti, teneva tutto a memoria. Gli altri colleghi, quelli che erano stati in squadra con lui e poi avevano seguito altre direzioni, continuavano a testimoniare la propria bravura la domenica o quando l’altro era in ferie; e magari veniva coinvolto anche da lì per fatti accaduti nelle sue vicinanze.
Per esempio, di sua iniziativa e regolarmente autorizzato dal Comando generale, trascorse una notte su una motovedetta della Guardia di Finanza partita da Bari a caccia di contrabbandieri di sigarette, armi e droga. L’articolo uscì due giorni dopo l’irruzione delle “Fiamme Gialle” sulla nave “Boustany One” nelle acque del capoluogo pugliese. Spesso ricordava una bellissima cronaca di Giorgio Guaiti per un delitto fra ciò che rimaneva della vecchia sede de “La Gazzetta dello Sport” in via Galvani (L’attacco: “Hanno ammazzato la Gianna…”); e uno di Piero Lotito su una sparatoria in un ristorante quasi in periferia. Insomma, cronisti di alto livello. Da non dimenticare Maurizio Acquarone, che sotto il traliccio di Segrate disse agli investigatori: “Se gli mettete i baffi scoprirete che è il corpo di Feltrinelli”. Aver fatto parte di quella cronaca naturalmente non ti consegna i galloni, ma ti dà orgoglio. E aver lavorato in quel “Giorno” dà orgoglio a tutti: impiegati e tipografi compresi, efficienti, preparati, solerti, collaborativi soprattutto quando il cronista in appostamento notturno arrivava per scompaginare il telaio per inserire una notizia dell’ultimo momento.



NOTA: SUL SITO "MINERVA CRISPIANO (BLOCK NOTES CON LA PENNA): "UN PREZIOSO VOLUME DI MICHELE ANNESE DI FRANCO PRESICCI"

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