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mercoledì 3 aprile 2024

Uno stimato personaggio pugliese

 IL BARESE PEPPINO STRIPPOLI DIMENTICATO RE DEL VINO





Peppino Strippoli
Negli anni Cinquanta-Sessanta a Milano aprì molti ristoranti: “’Ndèrre a la Lànze” il più noto. A Saronno il supermercato del vino, dove allestiva manifestazioni per celebrare il nettare che domina le tavole. Nato a Cerignola, tutti credevano fosse del capoluogo pugliese.














Franco Presicci



Fu il grande pittore Filippo Alto, barese doc, a parlarmi per primo di Peppino Strippoli, detto l’apulo-milanese. Eravamo a tavola con un nutrito numero di amici e il discorso cadde su Chechele e Nennella, ambasciatori della nostra terra nel capoluogo lombardo; e da lì a Strippoli il passo fu breve.
Filippo lo conosceva bene. Qualche volta lui bussava alla porta di via Calematta, la casa del commendator Guglielmo Miani, altro nostro corregionale che ha dato lustro alla Puglia, dove l’artista abitava, salutava, gustava un paio di polpette, se era domenica, guardava il quadro in fase di esecuzione, qualche battuta e via.
Vincenzo Buonassisi e Jbrahim Kodra

Un giorno Filippo portò me in uno dei ristoranti aperti da Peppino e ne ebbi un’ottima impressione: pulito, ordinato, con camerieri pronti al servizio, gentilissimi, proprio come avevo sentito dire da chi a quei tavoli si era seduto più volte. Poi un tale nato nei dintorni di Bari e preso da quel sentimento che porta ad essere contro quelli che sono nati “fuori” (tra l’altro sdegnava il suo dialetto per non sfigurare con i milanesi, di cui voleva essere copia conforme), aggiunse che la cucina di Strippoli era esemplare e che nei suoi locali i pugliesi si sentivano a casa. Come se da Strippoli ci andassero a gustare le pietanze soltanto i “terroni” (uso il termine con orgoglio). Un’altra volta fu Chechele a chiedermi di accompagnarlo a Saronno, al supermercato del vino dell’apulo-pugliese. E incontrai per la prima volta Strippoli, con cui scambiai solo poche parole.
Dopo qualche tempo organizzò una serata memorabile: belle ragazze che a piedi nudi pestavano l’uva da trasformare in vino, gioia di stare insieme pugliesi e meneghini, bergamaschi e bresciani... Avevo in mente di scrivere un pezzo per il giornale e lo intervistai, catturando un suo sfogo: “Il vino nei contenitori di cartone? Un sacrilegio”.
I questori Caracciolo e Plantone

Ogni tanto coinvolgeva Gillo Pontecorvo, che era d’accordo. “Il vino va tenuto in bottiglia – ripeteva – da dove viene questa novità?”. Io ero in compagnia di Paolo de Barros, già comandante di Jumbo, che mi aveva fatto tanta compagnia in un viaggio in mare da Trieste a Smirne; e insieme simpatizzammo con tante persone, ammirando anche la biblioteca ricca di libri sul nettare, mentre tutti, noi compresi, assaporavano un bicchiere di quello inebriante.
Strippoli lo conoscevano tutti, non solo a Milano. C’è stato un periodo in cui si parlava più di lui che di Gino Bramieri o di Piero Mazzarella, che furoreggiavano uno in televisione, l’altro al Teatro Gerolamo. In un lungo periodo, sin dagli anni Cinquanta, aprì ristoranti, trattorie, cantine, dove serviva orecchiette a giornalisti, scrittori, artisti. Spesso, se al “Corriere della Sera” avevano bisogno per un’emergenza di parlare con il capocronista Vittorio Notarnicola, lo rintracciavano da Strippoli, dove si potevano trovate Salvatore Giannella, che dirigeva l’importantissimo periodico della Mondadori “Airone”; il sindaco Carlo Tognoli, Vincenzo Buonassisi, il commendator Guglielmo Miani, personaggio venuto da Andria e famoso non solo per i suoi eleganti negozi nel pieno centro di Milano, ma anche per aver ospitato nella sua abitazione il principe Filippo di Edimburgo e per aver ricevuto, per i suoi meriti, l’Ordine della Giarrettiera. Da sarto era diventato molto importante: vestiva i vip con pregiata stoffa inglese e andava a cena con il prefetto, come scrisse sul “Giorno” Nantas Salvalaggio, giornalista dallo stile brillante.
Vernola, Strippoli, Alto

Del Mare, Tognoli, Vernola
Da Strippoli ci andava anche Luigi Veronelli, che scriveva sul vino sullo stesso quotidiano dell’Eni, articoli insaporiti di poesia. Coltissimo, vero esperto della bevanda, Veronelli abitava a Bergamo Alta. Persona cortese, mi invitò a casa sua ad assaporare uno dei suoi vini pregiati. Gli avevo telefonato per conoscere la sua opinione su Edoardo Raspelli, e mi rispose che era stato proprio il giornalista de “Il Corriere d’Informazione”, passato a scoprire cascine, attività agricole, casearie, sapori, usi e tradizione dei diversi borghi dell’Italia per Canale 5, a creare la critica gastronomica.
Veronelli mi disse anche che lui non andava nei locali di Strippoli soltanto per gustare la cucina pugliese, ma anche per informarsi sulla Puglia, sulle sue bellezze e sui modi di vivere dei suoi abitanti. A “’Nderr’a la lànze, uno dei locali dell’apulo pugliese, vicino all’Università Statale, si faceva vedere Mario Capanna, “leader” del Movimento studentesco, che un giorno, in un contesto di alti personaggi, fece un discorso tutto in latino in risposta a chi aveva accusato i sessantottini di essere perditempo ignoranti che manifestavano per marinare la scuola. E a volte si videro Vito Plantone, non ancora questore, e la moglie Emma, sempre in compagnia degli amici più cari. Plantone, amante delle fave con la cicoria, a richiesta raccontava di Strippoli tutte le attività e lo sapeva delineare molto bene anche nel carattere. Ricordava anche com’era vestito una certa sera. Plantone amava frequentare i locali, di notte e di giorno. Era di Noci, paese di cui adorava soprattutto il centro storico. E amava la buona cucina; e la Puglia, la terra del sole, delle masserie, degli ori di Taranto, delle cozze. La Puglia che vanta lo splendore di Martina Franca, di Lecce, centri storici come quelli di Locorotondo con fondali e quinte di teatro.
Una sera dal ristoratore pugliese si sedette tutta la compagnia del Teatro Bolscioi, a cui lui in persona servì il pane fatto venire da Altamura, che condivide con laterza la fama e il merito dei forni più prestigiosi e fra le altre delizie il vino, che Strippoli cercava in Puglia, girando per i luoghi che lo producevano, compresi Martina Franca e Manduria, di cui parlò anche Mario Soldati nel suo volume “Vino al vino”. Di vino Strippoli era un vero esperto. Non aveva bisogno di fare i gesti filodrammatici che caratterizzano certi personaggi nell’atto di sentenziare sul sangue dell’uva. Era un difensore del vino pugliese, e non perdeva occasione per osannarlo. Da Milano scendeva spesso nella terra amata da Paolo Grassi e da Filippo Alto, che la celebrava nei suoi dipinti. Era un po’ l’ambasciatore di Puglia, prima che questo onore venisse assegnato a Michele Jacubino, detto Chechele, titolare del ristorante “La Porta Rossa” di via Vittor Pisani.
Chechele Jacubino

Fu Mario Dilio a dire a Filippo Alto e a me, ospiti di una delle tante manifestazioni che il pugliese, come lo chiamava Gaetano Afeltra, aveva organizzato con la sua genuinità. “Quest’uomo fa per la nostra regione quanto non fanno più ambasciatori messi insieme”. Qualcuno lo sentì e dopo un po’ di tempo la voce si diffuse e Chechele si trovò insignito di quel titolo che gli fu riconosciuto da tutti, avventori e non.
Tornando a Peppino di Strippoli, era nato a Cerignola, ma barese sulla bocca di tutti. Era stimato non soltanto da Luigi Veronelli, ma anche da Edoardo Raspelli, che con Vincenzo Buonassisi e altre personalità fece parte della giuria del Premio Milano di Giornalismo (Gino Palumbo, direttore de “La Gazzetta dello Sport”, Raffaele De Grada, illustre critico d’arte, Ugo Ronfani, vicedirettore de “Il Giorno”, Giuseppe Giacovazzo, sulla plancia de “La Gazzetta del Mezzogiorno”…), che si teneva appunto alla “Porta Rossa” di Chechele.
Ma oggi chi parla più di Peppino Strippoli? Se si domanda di lui ai giovani, non si ottengono risposte. Ma anche molti anziani non ricordano più neppure il nome di Peppino Strippoli. La memoria dell’uomo è corta: un deposito che si esaurisce presto, un fiume che si prosciuga, una batteria che si scarica. Peccato. Tra i ristoranti che ha aperto quanti ricordano “’Ndèrre a la lànze”?
Edoardo Raspelli
O il locale che stava vicino al Piccolo Teatro, che ebbe come frequentatore Paolo Grassi e Piero Valpreda e il corrispondente de “La Gazzetta del Mezzogiorno” e autore di libri Annibale Del Mare, che bazzicava la libreria di viale Tunisia, di Nicola Partipilo, barese emigrato a Milano, che con la sua casa editrice gli pubblicò un libro. Essendo io amico di Nicola, mi conforta sapere che lui non ha dimenticato Strippoli, il ristoratore venuto da Bari, terra di uomini intraprendenti, di Tommaso Fiore, della Fiera del Levante, della Casa editrice Laterza, de “La Gazzetta del Mezzogiorno”, dell’Università in cui insegnò Aldo Moro.
Un giorno il commercialista Giacomo Lezoche m’invitò a pranzo a Trani, sua città natale, nella sua bella casa con affaccio sul mare; e mi parlò tanto di tutti i pugliesi che avevano operato a Milano, soffermandosi sulla figura di Strippoli. Tirò fuori anche articoli di giornali che parlavano di lui e accennò ai “trani” (Giorgio Gaber), le osterie che i suoi concittadini a suo tempo avevano messo su a Milano. E mi parlò anche dello scrittore Nino Palumbo, autore fra l’altro di “Pane verde”, che aveva vissuto nel capoluogo lombardo per un un certo periodo di tempo, ritirandosi poi in Liguria, pur continuando a mantenere rapporti con Lezoche e con altri pugliesi.

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