SAVERIO NASOLE E MIMMO CARRINO DUE NOMI DA NON DIMENTICARE
![]() |
Mimmo Carrino |
Una delle poesie più commoventi di Nasole è “A ppane mastecate u ste crescìme”. Poeta autentico, che si espresse nel nostro dialetto così armonioso. Carrino con la sua chitarra deliziò il pubblico con le sue canzoni.
FRANCO PRESICCI
(foto di Antonio De Florio)
I bambini indesiderati o nati da un amore clandestino che avrebbero portato disonore ad una famiglia venivano collocati nella Sacra Ruota o Ruota degli Esposti, che si trovava prevalentemente nei conventi e aveva l’affaccio sulla strada. Provvedevano i monaci ad educarli e avviarli al sacerdozio o affidandoli a qualche coppia che li desiderava. Chi doveva disfarsi del “fagottino” si avvicinava alla Ruota di notte, quando nessuno poteva vederlo; o incaricava qualcuno di compiere il misfatto. Era una pratica che non riguardava soltanto il nostro Paese.
![]() |
Saverio Nasole |
Era dunque la necessità di tenere segreto quello che era considerato un peccato e a volte era la miseria a spingere tante madri a disfarsi del neonato. I monaci venivano avvertiti della nuova presenza dal suono di una campanella, uno di loro si avvicinava alla ruota e apriva la porticella che dava all’interno. Non sempre le madri abbandonavano i figli senz’alcuna sofferenza.
Saverio Nasole, poeta delicatissimo, autore di tanti bellissimi versi e anche di testi teatrali) scrisse una poesia meravigliosa e commovente, “’A ppàne mantecàte u ste crescime”. Bella, davvero bella, ricca di armonia: ogni rigo una lacrima. Scritta in dialetto tarantino, con un po’ di buona volontà la può capire anche chi non conosce la nostra parlata, che è un linguaggio dell’anima. Le pagine di Nasole sono sempre toccanti. E’ poeta vero, attento alle dinamiche della società in cui si vive.
Mille volte grazie ad Antonio De Florio, che ha ripescato i versi che propongo: “Indr’a ‘nu strittelìcchie/ e nu cambàme sule de fatje/ a sorta nostre no’ n’a jastemame/ piccè tenime spèranze e fede a Dje/ cu ne de’ sembe luce e sanetate/ pe’ quiste peccennùdde abbandunate/ a ppane mastecte u ste crescime…”. Quanta passione, quanta sensibilità e quanto amore in questa lirica, per questo dono ricevuto, che dà alla casa gioia e calore, instillando il desiderio di un abbraccio senza fine. Il bimbo è stato accolto in una casa povera, acqua e pane, ma la sua vita sarà serena. Cum’a ‘na chiande ha mmise le radici/ indra ‘stu core nuestre ‘stu piccinne/ e Gesecriste cu nu bbenedice”.
L’abbraccio è grande, la felicità della coppia pure. Il neonato ha una famiglia, non è un pacco da trasportare da una parte all’altra. E’ come fosse il frutto di un amore autentico; l’amore è un miracolo, ricrea, dà conforto e sicurezza. Il vagito di un bimbo può creare un’atmosfera di estasi, anche se dovrà vivere tra le reti, le nasse, le “zoche de le còzze”, nello spazio e nel cuore di pescatori.
![]() |
Pescherecci e pescatori |
E’ tanta la squisitezza di questa poesia, che fa emergere i sentimenti più veri e più profondi. In ogni verso s’annidano i palpiti del cuore del poeta, la sua riconoscenza per quel regalo divino. La poesia coinvolge, trascina, rapisce.
![]() |
Via Garibaldi |
Conobbi Nasole una vita fa, nella città vecchia, una sera in cui si recitava all’aperto, tra le facciate screpolate delle case, le finestre scricchiolanti; i negozi chiusi, i bassi semiaperti con le donne sedute fuori a fare da spettatrici; palcoscenico la via, breve e stretta, da cui si vedeva Mar Piccolo. Saverio Nasole era tra gli spettatori, riservato, come al Dopolavoro Ferroviario quando recitarono “’A stutate”, esaltata anche da “La Voce del Popolo” dei fratelli Rizzo (si stampava in una tipografia in piazza Bettolo). La gente si alzò in piedi applaudendo, mentre Nasole mostrava la sua soddisfazione con un sorriso leggero. Poi chiese un giudizio a Rizzo e il critico gli rispose che avrebbe preferito un altro finale. Solo quello. Il resto era un capolavoro.
Il ricordo di Saverio Nasole è sempre vivo, nonostante siano passati anni dalla sua scomparsa. Tempo fa un artigiano che realizzava “perdune” di terracotta con la calamita di fronte al “museo” di Nicola Giudetti, nella città vecchia, mi parlò dell’esistenza di un sodalizio degli amici del poeta.
Conversando con Antonio De Florio, collezionista di migliaia di foto e documenti sulla nostra Taranto, studioso della storia della città dei due mari, dei costumi antichi, ricercatore di vecchissime storie, è riemerso un altro personaggio, deceduto pochi giorni fa a 77 anni: Mimmo Carrino, che interpretando con la sua voce e la sua chitarra, soprattutto con la sua maestria indiscutibile, la lirica “A ppane mastecate u ste cerescime” ne esalta le virtù che hanno reso Nasole “immortale” . La voce di Carrino e le corde del suo strumento accrescono la commozione.
![]() |
Mimmo Carrino |
![]() |
Barche e cozze |
E ritornò alla culla. Una carriera entusiasmante, la sua. Incise dischi, tra le solite difficoltà, trovò il successo, la stima dei cittadini della sua città. Il valore non può essere trascurato, ignorato, umiliato. Mimmo Carrino emerse come un delfino dal mare. Il suo nome era sulla bocca di tutti, s’imparavano le sue composizioni, lo si applaudiva febbrilmente.
Il cantautore aveva una grande competenza musicale. Entrò nel gruppo locale dei Giom, frequentava personaggi che adoravano il dialetto, a cominciare da Bino Gargano, che io ricordo come persona garbata, fine, rispettosa (se non ricordo male era parrucchiere) e aveva una inesauribile passione per il teatro). I suoi testi si ricordano ancora. I tarantini veraci come le vongole, innamorati del vernacolo, che è l’espressione della nostra anima, non dimenticano. Le nostre radici sono in quella lingua. In una poesia di Saverio Nasole trovai la parola “allecrie”; e se ne prova tantissima nelle passeggiate nel borgo antico, sulla sponda “d’u mare peccennùdde”. Quelle passeggiate inebriano, come tanti versi di Nasole e la voce di Mimmo Carrino, due colonne, due pilastri. Mi emoziono quando sento i titoli di testi come “Arrevò Pirre e spicciò ‘a pacchie” e “’U cuggione d’a regine”.
![]() |
Tarantini in via Cava |
Carrino amava la città vecchia, dove andava spesso per suonare la sera nei locali in cui si vedeva con gli amici. Ascoltava i consigli che gli dava Enzo Falcone, ammirava soprattutto Bino Gargano, per i quali scrisse le canzoni. Familiarizzò, oltre che con Nasole e Gargano, anche con Edmondo D’Auria, uno degli attori, tutti bravissimi, della compagnia dello stesso Falcone, regista e attore stimato. Lo vedevo spesso, al circolo Arsenale, dove confluivano tanti tarantini anche per vedere i film che si proiettavano nelle sale al chiuso e all’aperto. Ah, oltre che con i Giom Carrino suonò anche con il gruppo denominato Showmen, che negli 60 era molto seguito.
Di attori illustri ne ho conosciuti anch’io, in questa mia deliziosa città. Anna Casavola, per esempio. E anche Enzo Valli, al secolo Murgolo, figlio di un graduato vigile urbano, attore a sua volta; il comico Mirabile e la figlia Lina, Murianni, un gentiluomo che lavorava all’arsenale, lo stesso D’Auria e altri.
Un saluto a Saverio Nasole, che tra l’altro fondò il sodalizio “Armonia dei due mari”, e a Mimmo Carrino, ai quali dovrebbe essere dedicata una via, come riconoscimento di tarantini veri che qualcosa a Taranto hanno dato