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mercoledì 3 settembre 2025

Il 6 e il 7 settembre a San Simone

LA SAGRA DEL PEPERONCINO PICCANTE E LA GRANDE FOLLA DI PARTECIPANTI

 

 

Mi sono rimasti i ricordi delle passeggiate con Michele Annese e le orecchiette al sugo ricche di “diavulìcchie squànde”. Purtroppo, questa volta, non ci sarò, perché gli anni passano per tutti.

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
FRANCO PRESICCI
 
 
 
Ci siamo. Il 6 e il 7 settembre Sagra del peperoncino piccante a San Simone, frazione di Crispiano. Tutti pronti quindi a riversarsi nella cittadina a un tiro di fionda dalla città bimare, Taranto, che vanta il Mar Piccolo, il ponte girevole, il Castello Aragonese. Amo Taranto, le folle e le idee realizzate a regola d’arte. Come questa festa dedicata al “cornetto” indiavolato, che stuzzica i piatti.
Michele Annese a destra

In questa occasione era Michele Annese che mi dava la sveglia. Una telefonata e una novità: “Quest’anno viene il professor Biagi, un esperto di ‘habanero’ e altre ‘piccanterie’. Ci devi essere, ti aspetto”. Infatti uno “stand” di San Simone aveva un’insegna enorme, “Peperoncini nel mondo”, ed era quello dell’illustre ospite, che veniva da Pisa, dove insegnava all’università. Esponeva peperoncini di ogni tipo e rispondeva a tutte le curiosità degli spettatori. Qualche pianta l’aveva inventata lui stesso e me ne rivelò le qualità. C’erano anche quelli che avevano tenuto il primato in un’apposita graduatoria e quelli che li avevano sostituiti. E’ breve il tempo dei campioni, nel settore. Comunque l’”habanero”, che si coltiva nello Yucatan e infiamma il palato, era ed è ricercato. Non si può andare a tavola con il libro dei primati.
Anche quella volta dunque risposi all’appello di Michele. Riprendemmo il passeggio, ascoltando commenti sparpagliati nella folla: i vecchietti che vantavano proprietà erotiche della spezia e la spargevano sul gelato o sul caffè o sulla mozzarella: “Ma tu hai provato personalmente nell’alcova questo potere del peperoncino?” “Beh, adesso vuoi sapere troppo. Prendi per buono quello che ho detto senza entrare nei particolari”. Un signore attempato ed elegante, cappello tipo Borsalino con una piuma da alpino raccontava che una sera, invitato a cena da un amico, si trovò di fronte a una pasta con ceci… “asquànde” e un commensale, facendo in modo che tutti, proprio tutti, lo vedessero, si calò in bocca un peperoncino intero. Un altro volle imitarlo e stavano per chiamare i vigili del fuoco”. “Davvero?”.
lo stand delle "ficazzèdde"

“Ma no, si fa per dire”. “No, è proprio vero, non è la prima volta che lo racconta”. Una signora imbellettata, vestita come a una serata di gala, diceva a una vicina: “Lo sai che il peperoncino ha una funzione apotropaica?”. “Sììì?”. “Beh, la sua sagoma ha ispirato il corno che i napoletani portano in tasca e lo lisciano e stralisciano ogni volta che c’è pericolo di jettatura”. Abbiamo ascoltato anche questo. E anche altro. “Qualcuno che conosco lo fa pendere dal “gilet” come una “cipolla”, l’orologio da tasca, perché si sappia che è immune dal malocchio”.
Michele – oggi non è più tra noi, purtroppo, ma vive, ascolta e vede da un’altra parte – ed io ci accomodammo su un muretto per ascoltare Giorgio Di Presa - che ha un negozio di erboristeria a Martina Franca - impegnato in numeri di divertente intrattenimento. Ci sbirciò Vito Santoro, virtuoso fisarmonicista, custode di tutte le tradizioni, degli usi e dei costumi di una volta, e ama parlarne con un’apprezzabile “vis comica”. Vito ci concesse un’altra novità: si stava dando da fare per ripristinare la serenata. “Che colpo, Vito! Bravo. Un po’ di romanticismo va rispolverato”. Aggiunse che poi sarebbe toccato all’albero della cuccagna, che s’installava soprattutto nelle feste patronali con tanti spettatori ansiosi vedendo i partecipanti scalare il palo e scivolare finché il grasso non si esauriva. Io credevo che Vito stesse per esibirsi in uno dei suoi piacevoli numeri, ma tradì la mia aspettativa.
Il professor Biagi

La gente continuava a fare la ronda. Chiesi a uno che vendeva le friselle già condite con olio, sale e pomodoro: “Non mi dirà che c’è chi mette la spezia sulla frisella?”. “Glielo dico. C’è chi lo mette. Sono patiti. Del resto ho sentito dire che anche Mao-tsè- tung amasse il peperoncino”. L’ho letto anch’io. Anche fra alcuni nostri politici ci sono adoratori.
Verso le 23 Michele mi indicò un vicoletto: “Lì ci offriranno le orecchiette al peperoncino. Ci sedemmo a un tavolo e una signora quasi ottantenne, bassa, magra, grembiule nero, capelli nascosti sotto un panno bianco, seguita da una piccola fila di ragazze, spalancò la tenda della porta tenendo in mano un piatto fumante. Tra i commensali anche il dottor D’Addario, presidente dell’associazione del peperoncino di Oria. Era una fonte inesauribile d’informazioni: era in contatto con la consorella maggiore che in Calabria, a Diamante, organizza il festival del peperoncino, vinto un anno da uno del Nord, che ne aveva buttato giù 700 grammi e l’anno successivo da un altro concorrente che era arrivato a un chilo.
“Dottore, ho una curiosità: è vero che il peperoncino, fra le sue tante caratteristiche, ha anche quella di solleticare i momenti di intimità?”. Mi dette una spiegazione come dire, tecnica, che per la verità non mi sento all’altezza di riportare. Ma tutto sommato credo, dico credo, che in parte confermasse. Dopo la cena (secondo piatto polpette con peperoncino), tornammo nel grande fiume, continuando a captare i dialoghi spassosi di persone che affermavano di saperla lunga e facevano nome e cognome di signori illustri innamorati della spezia.
Stand di De Lucretiis

Ricordai che un giorno fui invitato a pranzo nella villa di un amico, dalle parti di Maruggio, e la signora mise in tavola una pastasciutta davvero infuocata. Era di origini lucane e pensai che dalle sue parti usassero mettere nel piatto più spezia che pasta. Non avevo mai visto una cosa simile. Stetti un bel po’ di tempo con la bocca aperta, sperando che l’effetto si placasse. Fuori faceva un caldo forte e non ebbi alcun giovamento. Ciononostante, non ho smesso di gradire il peperoncino, in dosi sopportabili.
Alla sagra, dopo le orecchiette, un cuoco raffinato, amico di Michele, ci invitò a gustare la sua pasta e fagioli naturalmente con peperoncino. Sapevamo di perdere una prelibatezza, ma fummo costretti a rinunciare, dirigendoci verso lo stand di Alfredo De Lucretiis, organizzatore con “Gli amici da sempre” della sagra. Lo spazio era adornato di “virgole” roventi: pendevano a mazzi dall’alto, dominavano al centro e in ogni angolo; le collaboratrici erano in tenute di colore rosso. Commentammo la festa: una celebrazione, una santificazione del peperoncino, già incoronato re in ogni dove. Sbucammo nella piazza e ci imbattemmo in Antimo Calò, di Oria, che intrecciava giunchi per mostrare come nasce un cesto. E’ un maestro nella sua arte, come De Lucreziis nella costruzione di presepi di grandi dimensioni, con pane o biscotti scaduti: presepi affascinanti, con montagne e grotte illuminate saggiamente: una favola, una magia, una scenografia bellissima.
Poi ebbero l’idea di lanciare il pomodoro giallo di Crispiano e avevano previsto un’altra sagra. Non si fermano mai, questi “Amici da sempre”, con mogli, figli, nipoti al seguito, sono sempre impegnati in questa e in quella impresa.
Tavolozza di peperoncini

Neppure Michele Annese, che apprezzava la manifestazione, si fermava mai. Quando il centro della cultura, che era la biblioteca “Carlo Natale”, chiuse, lui, già in pensione, istituì l’Università del tempo libero e del sapere, affidandone la direzione alla moglie, la professoressa d’italiano Silvia Laddomada, che ancora oggi, anche in onore del marito, continua un’attività intensa di conferenze su ogni argomento, dibattiti e molto altro e serate con Vito Santoro, che suona, racconta fatti e personaggi di un tempo lontano, con un linguaggio fervido, qualche volta garbatamente allusivo, mai sconveniente, intervallato, da uno “strappo” di fisarmonica.
Michele Annese, come detto non c’è più. E io ai primi di settembre penso alle sue chiamate, alle quali come un soldato rispondevo “Presente”. Purtroppo sono diventato vecchio e la Sagra “d’u diavulìcchie asquànde” posso soltanto sognarla. Come sogno le serate con Michele e Silvia alle feste della Madonna della Neve, del fungo, voluta dal ristorante “C’era una volta”, della lumaca di Liuzzi, del fegatino, i cui odori si spandevano in tutta la via principale.

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