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mercoledì 20 luglio 2016

GIACINTO PELUSO, UN UOMO BUONO E GARBATO - STORICO SCRUPOLOSO E INFATICABILE

 Ha raccontato con passione fatti e figure della sua città

Giacinto Peluso e Nicola Mandese.



La sua memoria era limpida, inossidabile. Ha raccontato


tanti aspetti sconosciuti della Bimare, avvincendo il lettore


Tra i suoi libri, tutti interessanti “Taranto da un ponte all’altro”


pubblicato in elegante veste tipografica da Mandese





Franco Presicci





Piero Mandrillo, Alfredo Nunziato Majorano, Alfredo Lucifero Petrosillo, Diego Marturano, Nicola Caputo, Giacinto Peluso …Quanti tarantini nell’albo d’oro di questa città ricca di preziosità non solo paesaggistiche. Piero lo incontrai tante volte a Milano, e gli feci anche da guida in Galleria Vittorio Emanuele, dove si aprono il Savini, il Camparino, il Biffi …; in via Caminadella; in via Spadari, un tempo affollata di fabbricanti di sciabole; in via Orefici, che ospitò le botteghe dei battiloro… Ma soprattutto nei luoghi meno frequentati dai turisti, come i navigli, il vicolo dei Lavandai, che per il poeta Armando Brocchieri era una chiesa di artisti per tutti quegli “atelier” nei cortili, che sono anche tavolozze botaniche.

P.Mandrillo e F.Presicci sul naviglio
Piero non si accontentava di osservare: voleva anche sapere; e un giorno lo condussi dai pittori Guido Bertuzzi e Aldo Cortina, che tra l’altro era stato allievo di De Pisis, ed era sempre disposto, come Guido, a rispondere alle domande: Perché vicolo dei Lavandai, quando a lavare i panni erano le donne?. “Beh, non è che gli uomini se ne stessero con le mani in mano: ritiravano la roba per il bucato e la riportavano pulita; reclutavano i clienti…”. Le donne lavoravano anche d’inverno?. “Certo. Si difendevano dal freddo con qualche sorso”. 
Poi Piero telefonava a Raffaele Carrieri, e qualche volta andava da lui per una visita di cortesia o per un’intervista. Fu ricevuto anche da Eugenio Montale, nella sua abitazione in via Bigli; e da Giuliano Gramigna, nella sede del “Giorno” in via Fava. Con il grande critico letterario avevo confidenza e feci da tramite. Fui anche presente all’incontro; e nelle sue note sul “Corriere del Giorno” Piero m’incollò l’appellativo di psicopompo.
Di Petrosillo ancora oggi rileggo “’U travàgghie d’u màre”, “Chùdde”, “Bella cafona meje”… e altro; di Majorano “’A Sanda Mòneche”, “Zazzarèddere”…; di Marturano, oltre ai versi, “’U cuèrne de Marj’a canzìrre”, commedia in un atto che negli anni 50 venne rappresentata da un improvvisato gruppo di universitari al Circolo dei Marinai. Di Mandrillo ripasso il saggio sul “Carducci” e rivedo le trasmissioni su Tv Taranto. I libri di Peluso sono appilati sulla mia scrivania, e ogni tanto scorro le pagine sul pianino, su don Catàvete e dònna Pernìce… Lo ritrovo nel vocabolario di Gigante edito da Mandese, dove le sue spiegazioni sono, almeno per me, illuminanti.
Di quest’uomo ricco di umanità e di cultura ho molti ricordi.
Via Garibaldi vista dal mare
Un mezzogiorno, sul pullman che va a Solito, sentii una voce sparare il mio nome. Mi guardai attorno e notai una testa che cercava di sovrastare le altre. Mi avvicinai, salutai scavando nella memoria. Era un signore basso, pienotto, calvo, con un sorriso aperto. Sembrava contento di vedermi, ma chi era?. “Ti leggo sempre; sai? Sei infaticabile al ‘Giorno’. Spesso in prima pagina. Bravo…Quanti anni sono passati da quando lasciasti Taranto per trasferirti a Milano?”. Lo guardavo e cercavo un barlume, un guizzo, uno spunto. Pensò lui a spalancare il mio archivio: “E tu mi leggi sul ‘Corriere’?”. Bastò. “Certo che la leggo: lei insegna ai tarantini la loro storia; descrive figure antiche, interpreta, illustra le perle onomatopeiche del nostro dialetto, i suoi suoni... Professore, che piacere!”.
Quinta e fondale di teatro
Ero già in pensione, e continuavo a scrivere per il “Giorno”. Ogni settimana una mia pagina: i locali storici, i teatri, la vita milanese di Stendhal, il salotto letterario della contessa Maffei, i miei incontri con il presidente Pertini al Savini, al ristorante “Il Grissino”, in una casa privata… E gli sollecitai informazioni sulle vicende del lotto a Taranto ai primi del ‘900 per un articolo che mi accingevo a scrivere su questo gioco dal punto di vista demologico. Me ne dette subito una buona dose. Arrivammo alla fermata in fondo a via Cesare Battisti, proprio di fronte al luogo in cui ero atteso, m’invitò a casa sua per un caffè. E continuò il discorso, accennando alla ricevitoria che si trovava nella via Maggiore della città vecchia, in una sola stanza angusta semibuia del Palazzo De Santis, assiepata di gente che puntava sulle disgrazie, su una scazzottata, su un matrimonio, sui sogni… che l’addetto smorfiava. Scommettevano tutti, ricchi e poveri. Poi aggiunse che i numeri estratti venivano stampati su foglietti colorati nella tipografia Lodeserto, a Palazzo Galeota, e affidati, per la diffusione, ai ragazzi che lavoravano al mercato della frutta e verdura di piazza Fontana.
Piazza Fontana negli anni 20, da un libro di Peluso.
Gridavano “Tùtte le ruooote”, come, in tempi più recenti, Marche Polle, che, scarpinando, soprattutto in via D’Aquino nelle ore in cui l’andirivieni lievitava. Proponeva ‘”U panarjidde”, confezionato nella tipografia Leggieri, e incalzava, abbassando il tono, “A vuè ‘a schedìne?”. Peluso ne ha tracciato il profilo in uno dei suoi libri.
"A Duàne d'u pèsce".

Stetti ad ascoltarlo con interesse e ammirazione. Parlava con la stessa semplicità e chiarezza che trovo nei suoi libri. Poi mi accompagnò alla porta promettendomi di spedirmi a Milano il suo prezioso “Taranto da un ponte all’altro”, che stava per essere sfornato da Mandese, in veste elegante e con tante fotografie d’epoca (ne mostriamo due, autorizzati dallo stesso editore). Mantenne la promessa; e io gli restituii l’unica copia dell’edizione di molti anni prima (credo del ’32) che mi aveva dato in prestito. Il pacchetto conteneva anche una sorpresa: una xilografia fattami dal pittore e fotografo Salinari come premio dell’attenzione che riservavo ai suoi quadri, quando avevo 19 anni.

Mar Piccolo
Ne regalai, con dedica, un esemplare a Giacinto Peluso; e lui dopo 50 anni me la restituiva. Non capivo la ragione del gesto e la frase contenuta in un biglietto: “Adesso è meglio che lo tenga tu. L’ho conservata per tutto quel tempo”. Mesi dopo mi chiamò Nicola Mandese per avvisarmi che Giacinto Peluso non c’era più. Taranto e i tarantini perdevano una voce importante. Io una persona che mi era stata sempre cara. Ho ancora in mente i saggi consigli che mi ha somministrato, quando ero giovane.
Uomo colto, generoso, affabile, Peluso ha descritto fatti e personaggi, luoghi e tradizioni con dovizia di dettagli. Ha fatto conoscere la storia e le leggende della nostra “culla”. E lo ha fatto in uno stile garbato, avvincente, limpido. Invoglia il lettore a lasciarsi prendere per mano in questi suoi viaggi in una Taranto dissolta.
Vecchio tram vicino al Municipio, da un libro di Peluso
Quella, per esempio, del lume a petrolio, oggetto sconosciuto ai giovani: “’A gazzettèlle”, ’u bècche, ’u tùbbe, ’u lumecìne’?...Ce so’?”. “E ce jè ‘a buttìglie d’u petrolie?”. Si teneva di scorta nell’eventualità che la fiammella si spegnesse. Il combustibile si vendeva ovunque, soprattutto nei negozi dei carbonai. E se il becco andava in frantumi, ci pensava “’u conzalùme”, l’uomo che passava sottocasa ogni giorno cantilenando per avvertire le massaie.
Nicola Mandese
Nel 1925 arrivò la luce elettrica e il lume a petrolio, titolo di un libro di Cesare Giulio Viola, venne messo da parte. Oggi è oggetto da collezione.
Non sbiadisce nella mia memoria la figura di questo scrittore prolifico ed egregio. Una mattina lo incontrai nella libreria Filippi, in piazza Maria Immacolata, e all’uscita mi invitò a fare due passi. Passammo davanti alla Casa del libro, oggi inserita nell’elenco delle librerie storiche, sfiorammo la Sem, proseguimmo per piazza del Carmine. E camminando mi impartì una brevissima lezione sul volto perduto della nostra città.
Scoprii che il severo professore di francese aveva un cuore d’oro. Da Milano ebbi spesso la tentazione di telefonargli, e più volte impugnai la cornetta, riponendola subito, per il timore di disturbare. Ma di lui abbiamo parlato tante volte con Nicola Mandese, che gli era così vicino. E ne parliamo ancora, nelle mie rimpatriate.


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