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mercoledì 3 agosto 2016

Nicola Giudetti, il Don Bosco di Taranto vecchia IL SUO PICCOLO MUSEO DI VIA DUOMO ACCOGLIE TURISTI E TANTI CURIOSI


Nicola Giudetti, il Don Bosco di Taranto vecchia   

IL SUO PICCOLO MUSEO DI VIA DUOMO  ACCOGLIE TURISTI E TANTI CURIOSI

Il vulcanico anfitrione insegna ai ragazzi l’arte

della tavolozza. Li ha aiutati a costruire

la processione della Settimana Santa e li prepara

a far da guida ai forestieri.

Nicola Giudetti con le paricelle

La supplica del dirimpettaio Vincenzo Santoro al Comune

per un locale in cui poter provare le armonie tarantine

dell’indimenticabile compositore Saverio Nasole 

 



Autoritratto
 Franco Presicci

Nella città vecchia lo chiamano don Bosco. E qualcuno anche “prufessòre”. I titoli sono dovuti al fatto che Nicola Giudetti, 79 anni, già italsiderino, con le sue iniziative tiene impegnati i ragazzi, insegnando loro anche le tradizioni, i costumi, la storia del contesto in cui vivono e le buone maniere. Adesso li sta allenando per il campionato “d’u currùchele” che, con tanto di giurìa, si svolgerà tra poco in uno slargo di via Duomo.
Angolo della Città Vecchia
 (Archivio Giudetti)
Se le inventa tutte. Ha anche guidato gli allievi nella costruzione di una processione dei Misteri con palazzi, balconi, piazze e la folla che assiste al rito. Il plastico contiene dunque ogni particolare, persino i vasi di fiori appesi alle ringhiere. E’ la prima sorpresa che i turisti trovano in questa piccola bottega, un paio di stanzette non troppo illuminate, ma zeppe di oggetti e attrezzi che ricordano anche gli utensili e i mestieri di una volta: “’u conzagràste”, “’u cadaràre”, “’u stagnìne”, “’u scarpàre” con il grembiule scuro che, “azzìse ‘nnand’o banghetìedde”, troneggia in dimensioni ridotte ma con espressione icastica, impugnando “’u martìedde” da battere “sus’a le semenzèlle”.
Giudetti con il trapano
 d'u conzagraste'
Tedeschi, inglesi, francesi, spagnoli con numerose nidiate si affacciano, entrano, osservano, domandano, molti soprattutto con gesti da Marcel Marceau, mimo a suo tempo celebrato anche al Lirico di Milano; e Giudetti risponde da cicerone impeccabile.

Quando un visitatore s’inoltra nel suo piccolo museo fa fatica ad andarsene dopo essersi spiritualmente arricchito, anche perché è catturato, rapito dai racconti di questo anfitrione entusiasta e simpatico, quasi calvo, faccia tonda, occhi piccoli e vispi, baffetti discreti, memoria sveglia. Un pozzo di notizie. Giudetti mostra il trapano che maneggiava “’u conzagràste”; “’a sùgghie”, “’a fòrme” “d’u scarpàre” e li spiega, li illustra. Impugna “’na parecèdde” e snocciola la storia del bisso che ebbe a Taranto lavoratrici di alta classe.

Giudetti al lavoro
Non lo ferma nessuno. In pochi minuti descrive la “troccola” e la sua funzione; “’u muèzzecafave”; “’a sèrre” e “’u chianuèzzele”del falegname che faticando spargeva “farfùgghie” negli androni degli edifici periferici trasformati in laboratorio; il fuso della nonna, il pialletto per fare “’u grattagràtte”… Che altro? “Ah, ‘U brustelatùre’, ‘u vì’? ‘A vrascère’, ‘u mòneche’, le stè’ vìde? Tùtte tenìme, no’nge mànghe pròbbie nìende”. E sfoglia un librone di fotografie della Taranto che fu e decanta il fiume Galeso, caro a Orazio, Virgilio…; il Tara, “’a Duàne d’u pèsce”, “’a Marine”, “’u pònde de fìerre” e ”quìdde de pètre”, “‘a Fundane, ca no’nge jè cchiù quèdde de ‘na vòte... Na, uàrd’accùm’ère”. “Fìermete, Necò, respùnne a mmè’’”, lo supplico. “Sìne, stoch’a ssènde”.
Il fiume Galeso...una volta!
Ma non mi ascolta, mi prende per un braccio e mi porta in una piazzetta a due passi davanti ai “murales” che ha fatto creare dai ragazzi. Il suo dirimpettaio, Vincenzo Santoro, 63 anni, 30 a Milano, geometra, nato in largo Gaetano, all’inizio “d’a vieremìenze”, bravo con la chitarra e la tastiera, ne approfitta: “Ho fatto una richiesta al Comune per ottenere con un canone minimo un locale dove poter provare le armonie tarantine e per alloggiare un’associazione no profit, “’A varca d’ore”. Se c’è da restaurarlo, provvedo io.

Intendiamo ridar vita al gruppo folcloristico lasciato dall’indimenticabile compositore Saverio Nasole. Abbiamo contattato il direttore ed ex componenti del conservatorio Paisiello; la direzione della scuola Archimede; due scuole di ballo¸ e tutti si sono detti disposti a darci una mano. Ce la dia anche lei, scrivendone”. Persona squisita, riservata, abile a modellare la creta, che poi fa decorare dai bambini, uno dei quali quest’anno ha terminato la seconda elementare.
I Misteri
Torniamo nella nicchia di Giudetti. Sono spettatore in prima fila nella platea di un teatro-bomboniera. Lui, Nicola, il mattatore che calamita l’attenzione; il Roberto Brivio dei “Gufi” che sulla scena spadroneggia scatenando un applauso dietro l’altro. Devo tornare a Martina, ma sono inchiodato tra un esposizione e l’altra.

La Troccola
Sono le 19, “addà gnìndre se stè’ stùt’a lùce”, ma non desidero perdere nemmeno una parola che sboccia sulle labbra di questo fenomeno, che sa presentare la sua città con amore travolgente. Di sè dice che tra l’altro ha fatto presepi con valve di vongole e ostriche; che viene invitato nelle aule per descrivere il volto antico “d’a nàche sòve”. E’ interessante quello che dice. Ricorda il vicolo in cui è nato e la maestra che insegnava a fare le nasse; recita la poesia di Antonio Fornaro, che lo immortala come pittore “ca fàce perdùne, vìche, chiàzze, rèzze…’nu pettòre fine fine, ‘nu valènde fatiatòre, ca dè’ tant’anòre a Tarde”. Ma non le proprie, dove “c’ù pennìdde da reggìne l’hàgghie trattàte”, intendendo la sua “Due mari”. “Necò’, e de le mestìere andiche ce mme dìce?” Giochi di fuga, di destrezza, d’inseguimento, di abilità…Gli si accende lo sguardo e si avvia partendo “d’a levòrie”. Si sofferma sulla sua origine spagnola, sui libri che ne hanno parlato, dal Vocabolario del dialetto tarantino di Domenico Ludovico De Vincentiis, del 1872, alla Rivista delle tradizioni popolari di Andrea Gabrieli del 1893, a
Màrche Pòlle
“Taranto…tarantina” di Cosimo Acquaviva, del 1931…Inanella un’infinità di ricordi personali, estraendo da un cassetto una pubblicazione a cura di Umberto Candelli, “Giochi e mestieri”, che riserva alcune righe alla sua infanzia trascorsa con il papà decoratore che lo portava con sé per mostrargli il proprio lavoro.

Insomma da Nicola Giudetti c’è molto da imparare: e lo saluto con la voglia di rivederlo. Lui cerca di trattenermi, mentre si sente la voce di Santoro che con pacata severità e gentilezza redarguisce un giovanotto: “Vi ho detto tante volte che non dovete dire parolacce. Quando lo capirete?”; e il discepolo che sta dipingendo i confratelli modellati dal maestro si spreme il cervello per combinare i colori da spennellare sulla faccia e sulle mani. Osservo un pannello confezionato da Nicola: un “collage” con la copertina “d’U travàgghie d’u mare”, poema di Alfredo Lucifero Petrosillo, Màrche Pòlle “c’u panarìjdde ‘mmàne” e un volantino originale di una manifestazione canora del gruppo di Saverio Nasole. Arrivano altri curiosi: uomini, donne, bambini. Sono diretti all’Ipogeo, ma prima vogliono fare una capatina da Giudetti, dove ha sede il centro culturale Vito Forleo (autore di “Taranto dove la trovo”). Ne hanno sentito parlare, e vogliono ammirare la processione, che – giurano – seguiranno dal vivo a Pasqua.
E Nicola li sequestra, li incanta, li sommerge di particolari, riprende a celebrare Taranto, mentre Semeraro mi ricorda i cinema che non ci sono più: il Rex, il Littorio, l’Odeon…; la Sem di don Ciccio Messinese, la supplica rivolta al Comune per avere il monocale, che lui, se necessario, rimetterebbe a nuovo per rispolverare versi e musiche di Saverio Nasole: “‘U cucchière”, “Serenate a le do’ mare”, “’A ferbarole”, “Ci po jè ‘na tarantelle”… E rivolge un omaggio ad Anna Fougez, che, nata in vico Innocentini, divenne una star applaudita e riverita ovunque. ”Stè’ scurèsce, Neco’. Tu fai notte, io sono atteso a Martina”. Ma aveva ancora da sottopormi alcune immagini d’epoca e i suoi quadri. Doveva ancora parlarmi della “sua” scolaresca, alla quale insegna l’arte della tavolozza e a far da guida ai turisti. Ne avevamo incontrato uno circondato da una comitiva di inglesi. Lo avevamo ascoltato nella descrizione di palazzi storici, di vichi, di cortili che poi ritraggono sulle tele. Quando si viene da Nicola Giudetti, si rischia di perdere il conto delle ore. Ma certamente non si impegnano inutilmente. Andando verso piazza Castello, meditavo su quanta gente ama Taranto, dea dei “due mari”.














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