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mercoledì 12 ottobre 2016

Dall’Everglades alle Isole Vergini




UNA PASSEGGIATA SUL MARE

VERSO UN MONDO FAVOLOSO

 


Giorni, indimenticabili con un’intervista a un capo indiano, soste su spiagge dorate e visite a giardini gonfi di fiori.

La casa di Al Capone e notti in una stanza del superbo, grandissimo Hotel Fontainebleau di Miami













Franco Presicci


Capo Osceola.
La prima volta che quel gentiluomo del direttore, Lino Rizzi, mi annunciò di volermi mandare negli Stati Uniti una brutta influenza pose drasticamente il veto. Quando tornò sull’argomento, presi la palla al volo, nonostante lo zampino del demonio, che, mentre scendevo dal tram numero 9 alla fermata di fronte all’Associazione lombarda dei giornalisti di via Montesanto, mi fece scivolare, procurandomi un dolore all’osso sacro. Ai primi di novembre del 1986 quindi la macchina del giornale guidata dall’autista Giovanni Musazzi mi portò alla Malpensa, dove incontrai Lorenzo Zulli, persona garbata, disponibile, orgogliosa dei suoi baffetti neri, rappresentante per la Liguria della Twa, la compagnia che ci avrebbe fatto navigare. Sorseggiando un caffè al bar, conversammo sul viaggio; e al momento di salire a bordo ci demmo appuntamento all’arrivo. Seduto vicino all’oblò, guardai nuvole bianche attraversare il cielo, sfogliai una rivista acquistata all’aeroporto, lessi pagine di un libro su Tommaso Fiore. A New York traslocammo su un altro aereo, diretto a Miami, dove, in attesa del bagaglio, mi trovai di fianco a Renato Rascel, che teneva per mano un bambino. Con Lorenzo e due operatrici turistiche, una più graziosa dell’altra, in taxi raggiungemmo l’Hotel Fontainebleau, grandissimo, superbo, 5 piscine all’aperto, 2 discoteche, 9 ristoranti, palestre, negozi..., nostro piacevole soggiorno per una trentina di ore prima d’imbarcarci su una nave della Costa. C’era tempo per un giro nei dintorni; e appena fuori del colosso fui attratto da una Limousine con i vetri oscurati. Mi fermai ad osservarla e all’improvviso si materializzò un bottiglione, che, senza rivolgermi la parola, spalancò le portiere, ostentando l’interno del salotto mobile.
Interno di un chickee.

A cena Lorenzo mi presentò Rocco, un uomo robusto, stempiato, capigliatura alla Einstein e barba alla Cavour, che, prossimo alla soglia dei quaranta, "ha deciso di cambiare mestiere preferendo accompagnare i forestieri, con un pullmino, a visitare la città, mostrando loro, tra l'altro, la villa di Al Capone, che è sempre chiusa, eserciti di alberi con rami che agguantano il terreno e vi si allungano...".
Lorenzo fu interrotto dall'amico, che si rivolse a me:  “Tu sei stato inviato a Miami dal tuo giornale ed io voglio farti arricchire l'articolo che scriverai. Voglio farlo non solo perchè mi sei simpatico. Se mi parli di Milano, dove ho soggiornato un paio d'anni prima di trasferirmi qui; se mi fai sognare ricordandomi i navigli, gli splendidi cortili, il Duomo, la Scala, il carnevale ambrosiano, ti porto gratuitamente da Sonny Bill, il nuovo "tribal chairman", presidente, della tribù dei Miccosuchee...", discendenti dal leggendario Osceola, "sachem", capo elettivo, dei Seminole.
Intervista di Presicci(2°da sx)

Il giorno successivo eccomi, con Zulli e le due fanciulle, tra i “chickees” (capanne tradizionali aperte ai lati e con il tetto intessuto con rami e foglie di palma), nell’”Indian village of Miccosukee tribe”, a pochi passi dall’autostrada “Tamiami Trall”, su un margine della sconfinata palude del sud della Florida: l’Everglades. Sonny, alto, massiccio, quattro figli sposati, ci accolse con grande cortesia, pronto a soddisfare ogni mia domanda. Parlò con tono sommesso, poco di sé e molto della vita quotidiana e della storia della sua gente; si proclamò uomo di pace, pur essendo determinato, soprattutto quando emergeva l’esigenza di salvaguardare i diritti della comunità. Non avrebbe voluto essere nessuno dei grandi capi del passato: nè Geronimo né Toro Seduto. Stimava Osceola, che fu un “sachem” coraggioso, anche se impulsivo, vendicativo, feroce; morto in prigione dopo aver condotto battaglie memorabili. “Fu tirato per i capelli: viveva tranquillo nella sua terra, quando una notte un gruppo di soldati di Fort King irruppero nel villaggio distruggendolo. Tra i prigionieri c’era anche Rugiada del mattino, la moglie di Osceola”, nato nel 1804 a Tallahasses. Poi Sonny mi disse che lì attorno erano accampati altri mille indiani, che vivevano, anche loro, con gli spettacoli degli alligatori e con l'artigianato.
Da sx: Un indiano, Rocco, Sonny Bill e Presicci.
L’intervista fu lunga. Feci anche domande sulla condizione della donna, e Sonny mi rispose che uno dei suoi compiti era di garantire a tutti uguali diritti e uguale dignità, indipendentemente dal sesso. E sorrise divertito alla mia impertinenza: “Sonny Bill è un bell’uomo; gli succede di essere corteggiato?”. Macchè, la donna era per lui un’espressione di bellezza e madre. “E poi io non sono un ‘play boy’”. Aveva oppositori? “Quelli che hanno ambizioni di carriera si comportano come gli italiani”. Le sue giornate? “Le passo leggendo, guardando la tivù, occupandomi dei problemi collettivi”. Al termine ci fece visitare i “chickees”, gli alligatori assopiti in un recinto e la sala in cui erano esposti gli oggetti prodotti dalle signore: bambole, monili…. Rientrammo a Miami, attesi per la gita a bordo di un hovercraft su un tratto dell’Everglades, tra boschi di mangrovie, 14 tipi di orchidee, enormi ciuffi di erba tagliente come coltelli, alligatori e 25 specie di serpenti, di cui 5 o 6 velenose…Mancavano poche ore all’inizio della crociera, che avrei poi raccontato sul Giorno”.

PARCHI NAZIONALI AMERICANI DELLA FLORIDA MENO NOTI   

               Everglades

La casa galleggiante, la “Costa Riviera”, lunga 14 metri, 31.500 tonnellate di stazza lorda, 21 nodi di velocità, bella, elegante, maestosa, era all’ancora. Imboccai il barcarizzo con gioia, come quando andavo sulla Raffaello e sulla Michelangelo. Tra i viaggiatori, messicani, americani, italiani… , alti, corti, sdogati, allegri, musoni, roccaforti, che non tardai ad espugnare, con l’aiuto di Lorenzo, padrone dell’inglese, raccogliendo un gran numero di storie. Uno mi confidò che aveva preso il largo spesso. “Quando ero giovane lavoravo due anni e il terzo m’imbarcavo”. Un altro, un po’ brillo, era ossessionato dalla sua parlata: “Papà era calavrese di Reggio e mammà di Tropea. Io so’ ‘nu poche ciucce e no canosche bbène l’americane, perciò me sfottono. Jè ggiuste?”. “No, non lo è. Tu sembri il fratello gemello di Bob Hope e ti muovi come Jerry Lewis“, lo adulò un altro dalla faccia affilata e birichina. “Ho sognato questo viaggio e voglio godermelo”, sbottò una simpaticissima, effervescente sessantenne che avevo invitato a ballare sottraendola alla penombra del salone. La sera in cui prese il microfono un cantante nero, Leroy Schultz, e invitò il pubblico a ritmare i brani che lui cantava, lei fu tra le più scatenate.

Sull'overcraft si parte.
La vita a bordo sospende le ansie quotidiane, e la Costa Riviera non faceva eccezione. Non se ne potevano certo avere a St Thomas, nelle Isole Vergini, che offriva visite al “Coral World e alle sue affascinanti visioni sottomarine; al supermercato del tabacco; ai lussuosi negozi, tra cui quello di Laura Biagiotti. Con un bel gruppo di turisti salimmo su un traghetto mezzo sgangherato che ansimava verso Saint John, splendida, silenziosa, profumata per i giardini gonfi di fiori.
Fachiro a Saint Croix
Di nuovo a bordo, dove già tintinnavano i bicchieri per il cocktail del comandante. Poi cena, e via per il casinò “Monte Carlo”; o per la “Sala Riviere”, dove la “disco music” si alternava a tanghi e valzer; o per la sala-feste “La Scala”, riservata a spettacoli di cabaret. La regina del mare slittava verso Saint Croix, la più grande delle Isole Vergini, scoperta da Cristoforo Colombo nel 1493. Vi assistemmo alle esibizioni di una pertica di colore che camminava sui carboni accesi e su frammenti di vetro, mentre un grosso “nautilus” che avevo trovato sulla riva passava in altre mani per un attimo di distrazione. A Nassau, la maggiore delle Bahama, a nord di Cuba, spiaggia costellata di noci di cocco come palle di “rugby”. Pregai un indigeno, fotocopia di Gungadin, di farsi fotografare, pretese di essere compensato e dopo il “clic” mi voltò sdegnosamente le spalle. Ancora a bordo. Sul ponte-sole ammiravo “miss Messico”, discendente di Juan Ponce de Leòn, primo a mettere piede in Florida, nel marzo del 1513; e il mare liscio come una tavola piallata. Lorenzo, disteso su una sdraio, confessava di essere triste perché la parentesi si stava chiudendo. Io pensavo all’attacco dell’articolo; e al direttore, che mi aveva chiesto di andare ad Orlando e avrebbe appreso del mio colloquio con Sonny Bill.

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