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mercoledì 19 ottobre 2016

Il ceramista Giuseppe Rossicone a Milano dal ’53



NELLA SUA BOTTEGA DI VIA CHIOSSETTO

SI SONO ALTERNATI I MAGGIORI ARTISTI


Ha allestito mostre in tante città in Italia e all’estero

ottenendo riconoscimenti ovunque.

 

 

 

Le sue opere a quattro mani,

tra cui i totem e il paesaggi di

Kodra

e i nudi di Cantatore, sono

molto apprezzati dai critici e

dai collezionisti.

 

 

 Un percorso lungo e luminoso.













Franco Presicci

Nel dialetto milanese antico “ciussett” indica una contrada brutta, stretta e storta. Ma la via che da quella voce prende il nome è, sì, stretta, ma non brutta e nemmeno sbilenca. E, se non fosse percorsa dalle auto che dalla Visconti di Modrone corrono verso il Palazzo di Giustizia, sarebbe anche tranquilla e silenziosa.
Giuseppe Rossicone e Arnaldo Pomodoro.
Anche per questo forse, nel ’53, appena approdato a Milano, Giuseppe Rossicone la scelse per la sua bottega, che dal 2011, sindaco Letizia Moratti, è stata inserita fra quelle storiche. Si trova in una sorta di scantinato, con ampie finestre e scaffali che reggono a stento il peso di multipli, prove d’autore, sculture, molti frutto di un’intensa attività svolta a più mani in questa fucina, in cui si sono alternati i più grandi esponenti dell’arte contemporanea: fra gli altri, Michele Cascella e Bruno Cassinari; Floriano Bodini e Virgilio Guidi, Arnaldo Pomodoro, Hsiao-chin, Gianni Dova, Morishita Keizo, Trento Longaretti, Umberto Mastroianni, Franco Gentilini, Salvatore Fiume, Remo Brindisi, il pittore che nel ’70 a Lido di Spina fondò il “Museo Alternativo”, con una raccolta di capolavori del Novecento.

Rossicone al lavoro.
Nel seminterrato bisogna muoversi con cautela, perché i vari pezzi sono collocati anche sulle sedie, sul divano, su un paio di panche, persino sul pavimento soprattutto quelle nate dalla fantasia di Rossicone: lampade-forme, faraglioni in azzurro ferrigno (così definito proprio da Brindisi), il colore “che fa parte di me - confida l’autore - che mi aiuta a comunicare le mie emozioni”; il colore dei suoi sogni da quando, ragazzo, a scuola saltava gli intervalli per seguire l’estro.                                         Persona generosa, serena, ospitale, nota non soltanto nell’ambito nazionale, l’artista vanta un percorso di tutto rispetto. Nato a Scanno, in Abruzzo, nel febbraio del ’33, nel ’60 vinse due volte consecutive il premio per la ceramica di Gualdo Tadino. Al pubblico lombardo si presentò nel ’61 con una personale alla Villa Reale di Monza, ottenendo un notevole riconoscimento critico. Da allora giornali e riviste gli riservano ampio spazio, mentre lui continua a fare esposizioni molto apprezzate in gallerie e sedi culturali; e a ricevere premi prestigiosi.
Giuseppe Rossicone in una sua mostra.
Lo conobbi nel anni ’70, quando Paolo Cavallina, giornalista popolare per la sua trasmissione radiofonica “Chiamate Roma 31-31”, nominato direttore del quotidiano “Il Mezzogiorno”, mi telefonò per chiedermi di scrivere sugli abruzzesi che operavano nella città del Porta. Giuliano Adonai, un bravissimo pittore veneto che aveva sostituito Alessandro Cutolo sulla pancia della rivista “Historia” della Del Duca, mi parlò di Rossicone con tale entusiasmo da indurmi a fargli visita. Lo sorpresi al tornio a pedale a modellare un vaso, e si scusò di non potermi stringere la mano inzaccherata d’argilla. “Ti prego di avere pazienza: non posso lasciare il lavoro a metà”. Avevo tempo, e osservavo piatti di Terruso, Schifano, Gonzaga…, appena usciti dal forno e allineati su un ampio tavolo addossato alla parete. “Arte antica, quella della ceramica. Le origini di questa lavorazione si fanno risalire al 6.500 avanti Cristo…”, diceva Rossicone, tenendo sempre lo sguardo fisso al recipiente che si lasciava plasmare dalle sue mani abili e sottili come quelle di un pianista. “In Asia Minore in tempi lontanissimi i manufatti venivano cotti in fuochi coperti di terra e letame…”. Parlava sottovoce, calibrando le parole.
Rossicone al tornio.
Al termine della “pedalata”, mi mostrò alcune sue sculture, una a forma di mantice di fisarmonica, un’altra ritmata da segni e solchi, con i bordi frastagliati, pronti per la cottura, un’altra ancora con un volto di donna schizzato sulla superficie. Immaginai che l’autore traesse suggerimenti dalle pietre dei muri a secco che, a guardarci bene, hanno fattezze umane o animali. E’ rimasto infatti fortemente legato al suo paese e a quelle sagome, che sono monumenti naturali. Deve essere una gioia per lui manipolare l’argilla, così docile “all’intenzion dell’arte”, accarezzarla, lisciarla. L’ho visto impegnato, Rossicone, non solo il primo giorno; e l’ho ammirato mentre dalla terra ricavava la foggia e sulla stessa faceva poi vibrare il colore. Ci mette l’anima, nella sua fatica. Ancora oggi, che ha superato gli ottanta, conservando la sua serenità, il suo ottimismo.
Provo sempre commozione quando varco la soglia della sua bottega. Anche perché ogni volta in questo opificio rivedo i grandi artisti con i quali Rossicone ha collaborato: oltre a quelli già citati, Ernesto Treccani, sostenuto e severo (ricordo il suo volume “Arte per amore” e i suoi ritratti di mondine); Ibrahim Kodra, socievole, spassoso e nottambulo; Filippo Alto, il vichingo sereno, arguto e spiritoso che dipinse con ardore la sua Puglia e la sua città (Bari), e non solo; Domenico Purificato, gentile e disponibile, che intervistai a Brera, accompagnandolo poi fino alla sua abitazione in via San Marco… Oggi non ci sono più.

Scultura di Rossicone.
Ma io scrivo ancora di Attilio Alfieri, generoso, polemico, scorbutico, che aveva lo studio in via Pantano, a due passi dalla Torre Velasca. Non dimentico le sue impennate di fronte alle piastre ispirategli dai vizi capitali, dove il rosso non era vivo come quello dei meloni ammonticchiati sui carretti del suo paese: Loreto. Per colpa del suo carattere per un lungo periodo Attilio si era inimicato i critici, che però non potevano fare a meno di celebrare la sua pittura. Stempiato, sguardo penetrante, basso, la pipa quasi sempre spenta tra le labbra, ritraeva nature morte, volti di donna... Arrivato a Milano nel ’25, già negli anni 30 si distingueva per i suoi bozzetti per i manifesti della Fiera campionaria. Per lui Giuseppe Rossicone era (e lo è per tantissimi altri) un ceramista incomparabile. Per Carlo Franza, critico attento e intransigente, solo “Rossicone poteva dare vita a un laboratorio, o meglio ad un’officina della ceramica a Milano…fin dagli anni storici del dopoguerra, ovvero negli anni in cui Milano era tutta un fermento, quella Milano della Grande Brera, come la significò Franco Russoli, che per tutti gli artisti d’Italia e del mondo diventava un mito da vivere intensamente. Da quegli anni storici Rossicone ha dato vita a un centro singolarissimo…che si pone come uno dei punti-chiave della ceramica artistica contemporanea”.
Treccani e Rossicone in via Chiossetto.
Rossicone non si lascia incantare dagli elogi. Ha il culto del lavoro, la passione per la ceramica, arte in cui, ribadisco, eccelle. Non l’ho mai visto esaltarsi davanti a una sua scultura. Dirotta l’attenzione sui totem di Kodra, sulle Venezie e sulle pastorali di Brindisi, su un nudo di Domenico Cantatore, pugliese di Ruvo di Puglia, che sono tra le opere a quattro mani esposte in personali e collettive, e che fanno della fucina di via Chiossetto una ricca galleria, che comprende multipli di Mario Botta, il grande architetto elvetico; di Franz Borghese; di Sandro Chia..., che per il critico Domenico Cara sono “testimonianze sicure, luminose” elaborate da Giuseppe Rossicone, definito incomparabile ceramista, su modelli creativi dei maestri indicati.
Una  storia lunga e onorevole, dunque, quella dell’esimio abruzzese, che ha saputo sposare la pittura con la ceramica: un binomio, un connubio, una dialettica felici. Un esempio, un valore, come ripeteva un altro indimenticabile abruzzese: Fulvio Nardis, restauratore di Palazzo Clerici, a Milano. Grande Nardis, amante del pesce al cartoccio, che gustava sempre nello stesso ristorante di Foro Bonaparte, e sempre in compagnia degli amici. Acquistò un castello a Ocre, sognando di potervi ospitare un concerto di Massimo Bogianckino del Teatro alla Scala, già direttore artistico a Santa Cecilia e al Festival di Spoleto. Non fece in tempo.

1 commento:

  1. Ciao Beppe,sempre stupende le tue opere!quanti ricordi nella tua ateliere,il mio baule,le tue lampade(che purtroppo mi si è rotta anni fa) a 3 dischi;i tuoi meravigliosi piatti. TU,qualche capello bianco in piu',sei sempre uguale.Un abbraccio forte forte Maurizia

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