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mercoledì 5 ottobre 2016

La storia di Giovanni e dei suoi animali




UN POLLAIO CON GALLI TENORI

E GAIE POLLASTRE BALLERINE


Era un paese in miniatura con consiglio

comunale e primattori omerici. Una notte

fu svuotato dai ladri. Gli episodi del cane

che portò in commissariato il portafoglio

trovato nel Parco di Trenno e degli uccelli

del pittore surrealista Osvaldo Menegazzi.

 

 
George Orwell.


          



          La fattoria degli animali (Animal Farm)
          è un romanzo satirico del 1945, scritto da George Orwell.
          In italiano è stato pubblicato per la prima volta nel 1947.










Franco Presicci

“A quelle creature ero attaccato come un’ostrica allo scoglio. Facevano quasi parte della mia famiglia. Adesso che se le sono portate via mi sento mutilato. Avevo assegnato a ognuno un ruolo e nomi importanti.
Il gatto
Erano belle e vivevano in armonia. Ecuba era cerimoniosa: quando mi vedeva arrivare mi girava attorno; Milva era gaia e affettuosa... E’ finita”…Piangeva, Giovanni, elencando i suoi pupilli. Ettore, cresta fiera, piumaggio policromo, bargigli color porpora, non si atteggiava a re del pollaio, e si accostava senza alterigia al genere femminile, che lo ammirava soprattutto quando faceva salti anche di due metri, non per esibizionismo, ma per sgranchirsi le zampe; e non era bellicoso con i suoi omogenei, che in quanto all’aspetto e alle qualità atletiche avevano molto da invidiargli. Achille, il coniglio, non era un emulo di Mennea o di Alberto Cova; e se ne stava spesso in un angolo a sonnecchiare, come l’onnipresente personaggio del presepe. Non parliamo poi di Elena, un tantino civettuola, ma creanzata e ligia al dovere di scodellare il suo uovo quotidiano.
Pollaio
Da quel giorno sono trascorsi circa 40 anni, ma la mia memoria lo conserva limpido anche nei dettagli. La mattina, verso le 10, appena messo piede nel suo lenzuolo di terra, Giovanni notò fuori del cancello tracce di pneumatici e nell’orto penne sparse tra l’insalata e i cetrioli. Capì subito che, durante la notte, i ladri, sicuramente a bordo di un furgoncino, avevano spopolato il pollaio. Rischiò l’infarto. “Potrà rifarsi”, gli sussurrai per confortarlo; e lui alzò il capo, mostrando i suoi occhi lucidi: “Sono insostituibili, per me. Quando morì Agamennone fu una giornata di lutto… Non ho mai ucciso uno dei miei amici per metterlo in tavola. Non li crescevo per mangiarli”.Un vicino, accorso alla notizia, mi ribadì che quasi tutti quegli animali avevano un incarico: uno sindaco, altri assessori, altri ancora consiglieri… Ettore no: era il tenore. Andromaca, per il suo modo di camminare da cutrettola, “la ballerina”. Claudio Villa e Luciano Pavarotti, pur non possedendo le doti del “reuccio della canzone” e dell’ambasciatore nel mondo del belcanto all’italiana, erano stati così battezzati per capriccio. “Non credere che Giovanni sia fuori di testa; anzi è assennato e acuto… Ha letto ‘l’Iliade’, segue il festival di Sanremo e ascolta la musica operistica”.
Il diamantino nutre la prole
Giovanni mi aveva chiamato, disperato, al “Giorno”. E io, che mi occupavo di altro, chissà perché, pensai che fosse il caso di rispondere all’appello anche se si trattava di un semplice furto di pollame. L’orto era tenuto ben curato e testimoniava la passione del titolare, “che – mi informarono persone che lo conoscevano - passa parecchie ore in questo suo paese in miniatura, tra le piante che coltiva con gioia… e il suo piccolo popolo che gli è stato sottratto”.
Orto al parco nord di Milano
Tornato in redazione, allora in un palazzone dell’Eni in via Angelo Fava, a Greco, 30 metri dai binari della ferrovia diretti alla stazione Centrale, stesi l’articolo. Nel pomeriggio andai a Legnano, ad Antennatrè Lombardia, televisione, allora diretta da Enzo Tortora, per la quale confezionavamo il telegiornale. Mi feci seguire da Giovanni per fargli raccontare la spoliazione subita; e lo fece e con toni pacati, ma con dolore evidente, tanto che commosse tutti gli operatori dello studio. La stessa sera ricevetti la telefonata di un signore, disposto a donare 30 pulcini anche l’indomani. Per scrupolo, informai Giovanni, pur immaginando la reazione: “Grazie, grazie davvero, dal profondo del cuore, ma non me la sento di rimpiazzare i miei beniamini. Non me ne voglia, ringrazi per me”. Non l’ho più sentito. Ma ho pensato a lui e al suo amore grande per gli animali. Avrei voluto conoscere Ettore e Agamennone; il sindaco e tutti gli altri. Ma per loro erano già pronti pentole e fornelli.
Osvaldo Menegazzi
Anche Federico C. ama gli animali, soprattutto gli uccelli. Ha avuto anche un paio di canarini olandesi che erano una meraviglia e in gabbia davano spettacolo. Due diamantini volavano nel soggiorno, planavano sul divano, sulla sua spalla, gli beccavano le orecchie, per simpatia; e quando concludevano il numero rientravano nella gabbia, lasciata era sempre aperta.
Il pittore Osvaldo Menegazzi, che nei suoi quadri fa navigare conchiglie nello spazio, ed è anche autore di tarocchi che hanno avuto l’onore di molte pagine nell’enciclopedia del Kaplan, esperto internazionale del settore, viene frequentemente visitato da una decina di passerotti, nel suo negozio di via General Fara a Milano, quasi sotto l’edificio del Comune, nei pressi del punto in cui sorgeva la vecchia sede de “La Gazzetta dello Sport”, da tempo demolita. In occasione di un’intervista per “Il Giorno” mi spiegò che l’andirivieni era cominciato un paio di mesi prima, con una bestiolina impertinente. “Entrò, si guardò intorno, saltò su una pila di mazzi di carte, su un cassettone, sul soppalco, e indugiò sulla lampada Liberty, fissandomi come per chiedermi un favore. Riempii un portacenere di briciole di pane e quella si servì voracemente”.
Orto al parco nord 3
Fin qui niente da obiettare. Fu il seguito a lasciarmi perplesso. “Il giorno dopo – era un martedì - furono in due ad entrare cipcipiando: l’altro era il ‘partner’ del primo, che ricomparve con il fratello, poi con il cognato e con i cugini… E capita che qualcuno di loro rimanga dentro quando spengo le luci e abbasso la serranda dell’esercizio”, a suo tempo praticato dall’attore Arnoldo Foà. “Lo sorprendo sul mio tavolo di lavoro o su uno scaffale: fa colazione e scompare. Divertente; non trovi?”. “Sì, ma come hai fatto a stabilire i loro gradi di parentela?”. “Questione d’intuito”, e sparò una risata. La storia mi affascinò, tanto che le ho dedicato una delle mie filastrocche.
Anche perché l’ho sentito io parlare a un pennuto: “Non è ora di pranzo, e poi, vedi?, sono impegnato: devo soddisfare la curiosità di quel giornalista. Ripassa più tardi, ti prego”.
A Piero S. (che cosa ci posso fare se non vuole essere individuato?) regalarono un pappagallino, “Chiacchierone”, presentandolo come maschio. Era socievole, gli faceva festa quando lui riempiva il beccatoio o cambiava l’acqua nel beverino, non stava mai zitto. Dopo un mesetto, sorpresa: un uovo nel bagnetto; poi un altro. Per evitare al volatile la fatica della cova, inutile dato che era scompagnato, Piero li rimosse, avendo l’imprudenza di non farlo al buio per non farsi scoprire; e da quel momento non potè più infilare la mano nella gabbia: il ciarliero attaccava infuriato, sbatteva le ali e utilizzava il becco come arma. Il padrone era diventato un nemico; e dovette privarsi di quella bellezza.
Il coniglio
Piero ama gli uccelli ed è contro le schioppettate. Apprezza chi ha rispetto per le quattro zampe che circolano in casa. Come il nostro grande collega Tanino Gadda, che nella sua rubrica specializzata sul “Giorno” intitolata “Cani e gatti” dava suggerimenti e idee. La signora Virginia Craja, ultrasettantenne deliziosa, aveva un canile a pochi chilometri da Milano: duecento ospiti che non poteva più assistere, anche perché le avevano notificato lo sfratto. Cercò aiuto; per raccogliere un po’ di soldi si propose alla Fiera dei Sogni, il programma di Mike Bongiorno. Scrissi anche di lei e di quello splendido uccello che atterrò sul bordo di un laghetto, ai margini della metropoli, il giorno in cui partecipavo come cronista all’apertura della caccia. Un altro illustre collega e amico, Nino Gorio, autentico intenditore di flora e di fauna, oltre che appassionato di storia degli indiani, mi svelò il nome di quel miracolo (che al momento mi sfugge), aggiungendo che scende soltanto dove scorre acqua pulita. Gli animali sono straordinari. Un “cocker spaniel”, su una panchina del Parco di Trenno, nel giugno del ’78, trovò un portafoglio; lo strinse fra i denti, lo portò al commissariato San Siro, in fondo a via Novara, nei pressi dello stadio, e lo depose sulla scrivania dell’ufficio-denunce, come aveva visto fare mesi prima al suo padrone. Il poliziotto rimase esterrefatto. “Sogno o son desto”? Mi chiamò per riferirmi la scena, ma con il timore che lo prendessi in giro. Ma io conosco le capacità e la sensibilità di un Fido.

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