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mercoledì 15 febbraio 2017

Verrà abbattuta la vecchia sede de “Il Giorno”



C O M ' E R A . . .














             S E D E  S T O R I C A  D E L  Q U O T I D I A N O                                                                            "I L   G I O R N O"










 

    .  .  . C O M' E'  



UN MONUMENTO ESEMPLARE

DEL GIORNALISMO ITALIANO

 



L’esecuzione, prevista per il 12 febbraio,

 

è stata rinviata. Chi ci ha lavorato giura

 

che non assisterà all’azione delle ruspe.

 

Sotto le macerie non verranno sepolte

 

tante pagine di storia.

 







Franco Presicci



L’”ecomostro” sta per essere raso al suolo. L’esecuzione era prevista per il 12 febbraio, ma per qualche ragione è stata rimandata. E’ certo che prima o poi la ruspa arriverà e con i suoi dentacci d’acciaio compirà l’opera.
Prima pagina del Giorno del 16 aprile '86
A liquidare con quella brutta parola l’edificio in agonia è stato un giornale degno di rispetto, di solito attento e misurato. Ma questa volta non ha considerato che quella era la vecchia sede di un quotidiano glorioso, “Il Giorno”, sede storica, e quindi meritevole di un po’ di rispetto. Come ha potuto l’autore dell’articolo essere così cinico da usare un termine più adatto a funghi di cemento armato che altrove sfregiano il paesaggio? Certo, visto com’è ridotto dopo tanti anni di abbandono non ha più un bell’aspetto, ma definirlo ecomostro mi pare un colpo al cuore di tutti quelli che vi hanno lavorato. E quando l’ultima firma verrà apposta sul via libera alla sentenza, verrà cancellata un’immagine esemplare del giornalismo italiano. Qualcuno ha detto che non andrà a vederlo mentre viene azzannato e fatto a pezzi, per poter continuare a credere che l’edificio di via Angelo Fava 6 sia ancora in piedi. E ogni tanto ricorderà la finestra da cui si affacciava per osservare il treno che correva verso la stazione Centrale o quella specie di dopolavoro in mezzo al prato, di fronte, a pochi metri, dove qualche volta impiegati, operai e giornalisti, uscendo all’una del mattino, anziché rientrare subito a casa, andavano a giocare al biliardo fino alle 5 del mattino dopo l’ultima forchettata di spaghetti preparati dal gestore.
La Cronaca - Presicci tra i colleghi della Redazione
Innumerevoli i ricordi. Si susseguono, si sovrappongono. Di fatti, ore frebbrili, trilli di telefoni. Di nomi eccellenti: Gianni Brera, principe dello sport raccontato e inventore di un linguaggio; Pietrino Bianchi, autorevole critico cinematografico e dopo di lui Morando Morandini; Marco Valsecchi, aristarco dell’arte; Giuliano Gramigna della letteratura; Giulio Confalonieri della musica; Pilade Del Buono esperto di boxe e non solo; Roberto De Monticelli di teatro; Mario Fossati di ciclismo; Pier Maria Paoletti, tra l’altro elegante commentatore di opere liriche; Giulio Confalonieri, mostro sacro, autorevole investigatore musicale, che assisteva alle prime non dalla platea ma dal loggione (ci ha lasciato anche un bellissimo libro, “I barboni a Milano”, e una voluminosa storia della musica). E ancora: Mario Zoppelli, che fu anche corrispondente da Mosca; Bernardo Valli, apprezzatissimo inviato estero; Ettore Masina, bravissimo vaticanista; Aldo Bernacchi…I vicedirettori, da Angelo Rozzoni, un mito, a Ugo Ronfani, a Guido Gerosa; e Paolo Murialdi, caporedattore centrale, autore anche di una storia del giornalismo italiano; Maurizio Chierici, profondo conoscitore dell’America Latina; Alfonso Madeo… E i direttori? Gaetano Baldacci, Italo Pietra, Gaetano Afeltra, Lino Rizzi, Guglielmo Zucconi.
Riunione di Redazione
Tra i cronisti doc, Patrizio Fusar, Giancarlo Rizza, Maurizio Acquarone, Tanino Gadda, Franco Abruzzo, che si trasferirà a “Il Sole” e diventerà presidente dell’Ordine dei giornalisti lombardi (vanta “scoop” memorabili); e Natalia Aspesi, trasmigrata a “Repubblica”… Nell’albo d’oro del “Giorno” anche Giancarlo Fusco, giornalista e scrittore (“Le rose del ventennio”, “Quando l’Italia tollerava”…), Vittorio Emiliani, che andrà poi a dirigere “Il Messaggero”; Manlio Mariani; Leonardo Valente (poi primo direttore di “Avvenire”); Enzo Forcella; Alfredo Barberis; Nicola Cattedra; Romeo Giovannini, un toscano dalla parola a volte caustica e sempre schietta, che oltre ad essere un titolista efficace e originale, aveva tradotto i classici latini; Guido Nozzoli; Ermanno Rea, nel 2008 finalista al Premio Strega con “Napoli ferrovia”; nel ’96 Premio Viareggio con “Mistero napoletano”; Premio Campiello nel ’99 con “Fuochi fiammanti a un’ora di notte”, e autore de “La dismissione”, “Il Po racconta”... E non vanno dimenticati quelli venuti in anni più recenti: il capocronista Enzo Catania, che nel ’79 prese il posto di Enzo Macrì, che a sua volta aveva ereditato la poltrona da Giorgio Susini e da Franco Nasi; Nino Gorio, che vinse il premio “Cronista dell’anno” a Senigallia per la scoperta in Francia di un quadro rubato in Italia; Alberto Delfino, a cui si deve “Un libro da 100 tonnellate” sulle vie di Milano.

Un tipografo impegnato nell'impaginazione
Famosi e molto seguiti gli inserti ”Giorno Donna”, curato dalla collega Cornelli; il “Giorno-motori” da Nicola Cattedra; il “Giorno-ragazzi” con le vignette di Jacovitti, al quale era legato il trenino sempre affollato che circolava nei giardini di via Palestro con il titolo dell’inserto. Molto lette le rubriche di Luigi Veronelli, il poeta del vino che illustrava le sue ricette; e i racconti surreali di Mario Soldati… Oggi sono oggetto di collezione i numeri del rotocalco accoppiato al “Giorno”, con gli articoli di un principe del giornalismo: Tommaso Besozzi, che raccontò mirabilmente la dinamica della morte di Salvatore Giuliano; le memorie della duchessa di Windsor, i saggi storici di Winston Curchill, collocati tra grandi fotografie anche a colori. Insomma, “Il Giorno” – ha scritto Vittorio Emiliani – fu “per noi un’alba luminosa”. Come indica anche il manifesto di Savignac. Via Fava: un sogno tramontato. Per andare dalle redazioni al bar, aperto al pianoterreno, si attraversava un lungo corridoio: una sorta di “promenade” che consentiva la vista della rotativa, gigantesca, che, girando a grande velocità, sfornava migliaia di copie al minuto, trasportandole con un catena aerea fino ai banchi dei distributori. A mezzanotte nel piazzale a ridosso della ribalta erano già parcheggiati i camion, pronti per caricare la prima edizione.
Il Giorno 20 luglio '69
A quell’ora si lavorava a ranghi ridotti. Soprattutto in Cronaca, che era al quarto piano, come le redazioni di Lombardia e Provincia. Sullo stesso piano c’era anche la redazione che confezionava il telegiornale di Antennatrè, la grande televisione guidata da Enzo Tortora. Il capo era Aldo Catalani, il vice Giangaspare Basile. Gli Spettacoli, al vertice Giulio Cisco, erano al quinto. La direzione e la segreteria di redazione al secondo; l’Economia e Finanza al terzo. “Il Giorno”, prima uscita il 21 aprile del ’56, era una testata innovativa: frequenti inchieste, di Bocca, della Aspesi, di Giampaolo Pansa…; freschezza e brevità delle notizie; scomparsa della terza pagina; la “Situazione”, anziché l’articolo di fondo; otto colonne, la pagina di giochi e fumetti; le prime righe degli articoli in neretto; un’edizione del pomeriggio; il telefono nelle edicole pronto a squillare appena le copie si esaurivano; la cronaca senza firme, la prima pagina-vetrina...L’edificio, otto piani, cominciava ad animarsi verso le 10 del mattino; ma qualche cronista arrivava alle 8, e a volte anche alle 7, per lasciare il giornale anche alle 22. Si faticava con entusiasmo, con gioia, con l’orgoglio di appartenere a una testata il cui primo numero venne salutato ovunque. “Nesweek” titolò “The Upstart in Milan”; il “Times”: “Rottura con la tradizione”; l’”Espresso” “Spunta il giorno”…. Facemmo fagotto nel 1985, diretti in piazza Cavour, nel Palazzo dell’Informazione, “irto di marmi, mosaici, sculture e bassorilievi di Sironi e generoso di spazi monumentali (Guido Vergani: n.d.a. ), dove Mussolini, nel ’42, trasferì da via Lovanio la sede del “Popolo d’Italia”. Di fianco i giardini di via Palestro; di fronte, via Turati. Nella nuova casa cambiò la tecnica: al piombò si sostituì il procedimento fotografico. Ma pur lavorando in quella sede importante, progettata dall’architetto Giovanni Muzio, a due passi dal Teatro Manzoni, dalla Scala, da Palazzo Marini, dal Museo Poldi-Pezzoli, da via della Spiga, dall’hotel in cui visse gli ultimi momenti Giuseppe Verdi, il pensiero correva spesso a via Fava, tra le vie del Progresso e della Giustizia. Adesso quel monumento, quel contenitore di storia, uno scrigno, sta per essere smantellato. E’ vero, da tempo è in pessimo stato, ma sentirlo bollare come ecomostro fa proprio male al cuore.









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