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mercoledì 28 marzo 2018

Il questore Antonio Fariello

DA SEMPRE IL SUO MOTTO

LA POLIZIA TRA LA GENTE”


Presicci intervista Fariello a Torino


Dobbiamo essere vicini al

cittadino; le volanti devono

pattugliare sistematicamente

il territorio: la divisa suscita

serenità e sicurezza”. Era un

uomo colto, simpatico, umano.

Pedalava con la bici ereditata

dal padre maresciallo.



Franco Presicci 


Allora, questore Fariello, fra una settimana ti insedi a Milano; sei contento del trasferimento? “A suo tempo vi ho lavorato, avuto collaboratori validi, ho amici, anche se qui a Torino non mi sono certo trovavo male”.
Anzi la gente gli voleva molto bene, grazie anche ai rapporti che aveva saputo tessere senza guardare ai gradi e alle condizioni sociali.
Il questore Antonio Fariello
Era il maggio dell’85, e appena seppi che il nuovo pilota della questura di Milano era lui, 54 anni, mi precipitai nel suo ufficio, ampio quanto una piazza d’armi, della questura torinese in via Vinzaglio, e prima ancora che m’invitasse a sedere mi offrì uno dei suoi “Avana Wilde”, che usava spegnere a metà. Era simpatico, ospitale, spiritoso, e non stava mai fermo. Si alzava, misurava la stanza a passi brevi, chiamava il segretario per consegnargli un documento, si sedeva sul bordo di una poltrona, si rialzava, tornava alla sua scrivania, afferrava un fermacarte e lo gingillava. Mi offrì un secondo sigaro scherzando: “Quelli che fumi tu non li sopporto: i toscanelli sono roba da vecchietti”. “Sia i tuoi che i miei fanno male alla salute, e io sto lottando per non passare più le giornate tra nuvole di fumo”. Queste le prime battute con Antonio Fariello, che faceva cose che non avevo visto fare ad altri. “Durante gli anni di piombo andavo in bicicletta anche per rassicurare la gente. Se il questore pedalava voleva dire che si poteva stare tranquilli. Non lo facevo apposta. Ho sempre pedalato. Ho cominciato con la due ruote d’ordinanza di papà, che era maresciallo di polizia”. Antonio aveva preso un’altra strada. Frequentava l’università e faceva il carabiniere. Per quattro anni indossò la divisa dell’Arma. “Studiavo quando potevo”. Dal ’51 al ’53 era nel battaglione sottufficiali di Moncalieri. Poi fu trasferito a Bari, dove si occupò di abigeati e rapine in tabaccherie. Nel ’55 vinse il concorso in polizia e fu destinato a Firenze come vicecommissario. E cominciò così la sua felicissima carriera, che lo avrebbe portato in mezzo mondo con l’incarico di responsabile della sezione italiana dell’Interpol. A 44 anni, già questore di Sassari, il più giovane d’Italia. Ricordava: “Mio padre, che percorreva le vie di Napoli in bicicletta, quando Napoli non era una città violenta, mi portava negli uffici del commissariato, dove imparai a battere a macchina, una vecchia Remington 22. La prima parola che comparve sul mio foglio fu fonogramma.

A.Fariello con il giudice Abruzzo
Mario Nardone
Alto, elegante, un sorriso dolce, occhi brillanti, espressivi, mi indicò il duplicato, appeso a una parete, di un quadro che gli era stato regalato dalla direttrice della Galleria d’arte moderna milanese, dopo il recupero delle tele rubate alla collezione d’arte Grassi. Lo considerava un dono prezioso per il sentimento che lo aveva accompagnato. Era divertente e interessante conversare con Fariello. Ogni tanto saltava di palo in frasca, forse per accertarsi che lo stavi seguendo. “Non mi piace essere chiamato commendatore. Preferisco signor questore. I maligni vociferano che io abbia il titolo di grand’ufficiale”. E sorrise divertito. Era un uomo affabile, squisito, che sapeva essere ironico, mai pungente, mai caustico. “E’ un pozzo di scienza”, aveva appena commentato un appuntato mentre mi scortava verso l’ufficio del…capo. “Quando si è sparsa la notizia che era stato trasferito ci hanno telefonato in tanti: ‘Ogni volta che abbiamo uno che vale Milano se lo prende. Ha partecipato a molti convegni, il nostro questore, facendo sempre una gran bella figura’. Così si lamentavano”.
Il presid.trib.civile Alessi e A. Fariello
Uno degli ultimi su “Mafia e grande criminalità”, nell’83, in cui tra l’altro tracciò un quadro delle imprese mafiose anche nel capoluogo piemontese, che aveva adottato o visto nascere Edmondo De Amicis, Emilio Salgari, Italo Calvino, Norberto Bobbio… ed era noto per il Castello del Valentino e per la Villa della Regina. Fariello era fautore della collaborazione fra tutti i corpi, compresi i vigili urbani. “Ci troviamo di fronte a una criminalità organizzata e a una delinquenza di quartiere”. E accennava ai reati compiuti da tossicomani, vittime a loro volta; alla microcriminalità, che è un eufemismo. Ricordai un gravissimo episodio del luglio del ’79. A Lambrate una nonna portava a spasso la nipotina, che pedaleggiava su un piccolo triciclo, quando, improvvisamente, due giovani in motorino l’assalirono per strapparle la borsetta; lei li inseguì per un breve tratto per recuperarla, la bimba scese dal marciapiede e venne travolta da un’auto. La cosiddetta microcriminalità fa paura perché aggredisce a tradimento i cittadini.
Antonio Fariello
Era d’accordo. “La polizia per essere democratica e moderna deve sviluppare le possibilità di prevenzione, valorizzando gli agenti, che sono molecole molto importanti della sua struttura. Un giorno alcune personalità si lagnarono con me per i poliziotti che a loro dire guidavano le auto in modo spericolato. Risposi invitandoli alla comprensione, perché sono ragazzi entusiasti, gli stessi che si fanno sparare addosso.Certo è meglio che usino prudenza”. Era instancabile. Il maresciallo Ferdinando Oscuri me ne parlò con ammirazione. Ha fatto la gavetta. Quando fu per quattro mesi a Milano gli sono stato molto vicino, facendo assieme molte operazioni.
Arrivava in ufficio alle 5 del mattino. “Dottore, così presto?, dicevo. E lui: “Non è mai troppo presto per chi vuole imparare”. “E’ intelligente, umano, sa valorizzare le persone, sa riconoscere a ciascuno i propri meriti, non si attribuisce quelli degli altri”, concluse il sottufficiale di ferro.
All’epoca Fariello era con Mario Nardone alla Criminalpol, ma veniva impiegato anche in operazioni della squadra mobile. “A Milano giunsi nel ’66 – raccontò Antonio - Il capo della polizia riteneva che io dovessi conoscere la malavita del Nord e quella del Sud. Quindi, prima fui affiancato a Nardone, successivamente venni spedito a Palermo, quindi rientrai a Milano.
Erano anni roventi. Quelli, per esempio, della banda Cavallero, neutralizzata il 25 settembre ’67 nella tragica rapina di Milano, che provocò morti e feriti in una sparatoria senza risparmio di colpi tra forze dell’ordine e banditi. Scene da Chicago anni ’30. A Torino aveva agito anche la cosiddetta banda dei ‘bravi ragazzi di Angera“, altrimenti detta “banda del lunedì, sgominata nel marzo del ‘65”. Quando furono acciuffati il vicinato si meravigliò: “Sembravano persone per bene, impiegati di banca o rappresentanti di commercio.

Fariello (al centro)al Giorno con Presicci a dx
Uscivano di casa ben vestiti, sempre alla stessa ora, con le ventiquattrore appese alle mani, educati”. Il signor questore parlava e giocava con la penna, scarabocchiava su un foglio, mi fissava con uno sguardo penetrante, incrociava le dita e raccontava. “Il mio primo incarico nell’interpol fu la lotta ai mafiosi espulsi dagli Usa, che in Italia portarono una nuova mentalità: per loro contava soltanto l’organizzazione, la ‘gerarchia’. Fecero del nostro Paese un canale attraverso il quale portare la droga in America. E alle Nazioni Unite ci accusarono di essere portaerei di sostanze stupefacenti”. Fariello aveva fatto la spola tra Londra, Washington, Los Angeles... Aveva frequentato corsi a Scotland Yard, alla Police national di Parigi, aveva avuto rapporti con l’Fbi, e studiato con altre polizie. Conosceva l’inglese, il francese alla perfezione.

I questori Enzo Caracciolo e Mario Nardone-foto del '69
Si era cimentato con l’arabo; aveva partecipato attivamente alla cattura di un evaso dall’Isola d’Elba. Dal ’67 al ’76, come capo della sezione italiana dell’Interpool, aveva preso parte a tutte le operazioni internazionali. Era uno studioso; nel tempo libero, nella sua abitazione in questura, ingresso da via Mombello, divorava libri soprattutto di storia. Gli piaceva giocare a scopone e prendere per il naso il compagno maldestro definendolo, quando incassava una scopa, giocatore d’attacco per non dire che era una schiappa. Le feste del corpo le faceva svolgere sotto l’insegna “Polizia tra la gente”; e non alla caserma “Annarumma”, nascosta in fondo a viale Suzzani, verso Bresso, ma in piazza Duomo. “Noi dobbiamo essere vicini ai cittadini, che devono sentirsi parte di noi, avere fiducia nell’uomo in divisa. 

Insegna della Volante
Le volanti devono pattugliare sistematicamente il territorio, in modo da suscitare senso di protezione e spirito di collaborazione”. Nel giugno del 1986 Antonio Fariello promosse e curò un volume bellissimo: “Milano, una città, una questura “, con presentazioni del sindaco Carlo Tognoli, del prefetto Enzo Vicari. Un libro ricco di immagini e di fatti: la mafia e i colletti bianchi, il terrorismo, i caduti della polizia, la nuova delinquenza, la sede della questura in piazza San Fedele sbriciolata dai bombardamenti del 16 agosto del ’43, i “teddy boys” e la violenza giovanile, gli omicidi dei giudici Alessandrini e Galli, il triplice, barbaro, vile assassinio dei tre poliziotti del commissariato Ticinese, Tatulli, Cestari e Santoro. Nel suo intervento scrisse: “Sono trascorsi 127 anni da quando, nel lontano 1859 , il re Vittorio Emanuele II istituì il primo questore di Milano affidandogli il compito di vegliare e provvedere preventivamente all’ordine e all’osservanza delle leggi nell’interesse sia pubblico che privato…Cinquantadue questori si sono, fino ad oggi, succeduti in via Fatebenefratelli, in circostanze storiche spesso difficili o drammatiche; e anche quando follia e irrazionalità sembravano dilagare, hanno sempre saputo interpretare le giuste aspirazioni della città alla sicurezza e alla civile convivenza…”. Anche quando lasciò la questura di via Fatebenefratelli furono in molti ad esserne addolorati. Consideravano Antonio Fariello un grande poliziotto e un uomo dotato di profonda di umanità.












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