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mercoledì 30 maggio 2018

Da anni impegnati a ”La Stele”



MADONNE E FIGURE DEL PRESEPE

INCREMENTANO LA LORO PASSIONE



La bottega si trova in viale Certosa,
a Milano. I manufatti, da 10 a 180
centimetri, più richiesti: Santa Rita,
San Pio, San Francesco, Sant’Antonio,
San Giuseppe, i Bambinelli grandi come bambole. Molti sono destinati all’estero America Latina, Francia… Gianluca: “Stiamo già lavorando per il prossimo Natale”.





Franco Presicci 
 

Seregni restaura una Madonna
ll secondo nome di Manola Artuso è Maria; quello del marito, Gianluca Seregni, Giuseppe. Entrambi confezionano statuine per il presepe, nel loro laboratorio, “La Stele”, in viale Certosa 91, a Milano, dove, dopo la scuola e i compiti spesso li raggiunge il figlio, il cui terzo nome è Magio Betlemme, per apprendere i rudimenti del mestiere. La mamma, 50 anni, diplomata a Brera in scultura e pittura; il papà, 54, diplomato in restauro e conservazione dei beni culturali, pittore contemporaneo, da sempre nell’artigianato con varie esperienze, soprattutto nella ceramica. Li intervistai anni fa per il volume “Natività e presepi”, della casa editrice Celip, e per il “Il Giorno”, il cui direttore, che arrivava da Firenze, avendo trovato chiuso il negozio di via Montebello, mi chiese notizie di un altro esercente del settore. Gli segnalai “La Stele”, anche bottega storica laboratorio di statue di Madonne ad altezza naturale su matrici antiche. “Sono davvero bravi”. “Allora meritano una pagina”. Fu così che una quindicina di anni or sono visitai Maria e Giuseppe, cordiali, disponibili, dalle mani d’oro, di una ospitalità quasi familiare.

Manola al lavoro
Manola, una bella ragazza non molto alta, mora, un sorriso eloquente, si alternò, nel darmi informazioni, con il marito, che tra l’altro sa tutto della storia del presepe in Lombardia, delle tecniche adottate nel tempo, degli artisti impegnati in quest’arte e degli opifici, che quando nell’Ottocento i presepi, sino ad allora esclusivi dei conventi, delle cappelle e delle case patrizie, ebbero una diffusione popolare si moltiplicarono, grazie anche al basso costo dei materiali. lI più noto era quello dei Panzeri, che sfornarono migliaia di pastori. Gli originali erano in legno intagliato, maestri gardesani e valtellinesi…”. Proprio in questi giorni mi è tornata alla mente “La Stele”, e ho telefonato a Manola. “Sentiamoci stasera alle 6, ci sarà Gianluca”. E Gianluca pronto e instancabile, esauriente: “Da ragazzo mi ha investito questa passione per la scultura e per il restauro; e non si è mai appannata.
Santa Agnese
Mi appassiona modellare Madonne, santi e martiri, Bambinelli grandi come bambole, figure per il presepe”. Che negli anni passati in Lombardia non prevedeva il pizzaiolo, il pescivendolo ambulante e altre figure sempre presenti nelle ”architetture” napoletane. Poi i tempi sono cambiati, grazie anche all’emigrazione; e sono comparsi i forni con la pizza, il carretto con il pesce… accanto allo spazzacamino, allo spaccalegna, all’arrotino, all’ombrellaio, al calderaio…, mestieri in voga una volta, e ad elementi ispirati alla vita quotidiana milanese legati a un periodo storico compreso tra il ‘700 e l’800, di cui la bottega custodisce gli stampi. “I materiali utilizzati per le matrici una volta erano le gomme a base di caucciù, che venivano vulcanizzate; oggi ricorriamo alle gomme siliconiche o ad altro. Per realizzare l’opera, in gesso, adoperiamo impasti con polvere di alabastro (molto pregiato). Anche l’acqua, necessaria nella lavorazione, ha i suoi segreti, con l’aggiunta di sostanze naturali che le conferiscono durezza, lucentezza, candore”. I manufatti esigono molta cura; e altrettanta il restauro, soprattutto degli esemplari antichi. “I committenti, religiosi o privati che siano, sono molto attenti, guardano i minimi particolari; e noi facciamo precedere l’intervento da uno studio: cerchiamo di capire chi ha prodotto l’opera per risalire alle modalità che ha osservato. A volte, se il prodotto è recente, intravvediamo subito la mano del maestro, attraverso una finitura, una pennellata, una doratura”. Che cosa muove il mercato? “La devozione”. C’è chi ci chiede un san Francesco alto un metro e settanta da regalare a una parrocchia, a un ente di beneficenza o da tenere in casa, da collocare in un’edicola rimasta vuota.. I sacerdoti sanno che sistemando in chiesa, per esempio, una Madonna di Lourdes o di Fatima o un’Immacolata i fedeli aumentano”. A Milano si preferisce il presepe o l’albero? “Dal mio punto di vista entrambi, magari l’uno vicino all’atro. Quella dei panorami natalizi, con pianure disseminate d’erba, che si elevano a poco a poco sino a diventare colline, montagne innaffiate di neve, tra scale e scalette, passaggi ripidi, fonti di luce… (un ambiente favoloso, magico) è una tradizione irrinunciabile.

Pastori
Alcuni clienti mi descrivono i loro presepi con entusiasmo: le grotte, gli anfratti, i sentieri che s’intersecano, i canali, i ruscelli, le pecorelle, i Magi fatti in gesso”. C’è chi acquista in negozio anzitempo un guardastelle o un dormiente, una lavandaia, un pecoraio con il gregge…? “Sì. Molti pensano al presepe tutto l’anno e temono di non trovare all’ultimo momento l’asinello con il carico di legna, lo zampognaro, l’attrezzo desiderati. Noi stiamo già lavorando per il prossimo Natale”. Maria e Giuseppe, cioè Manola e Gianluca, uniti dalla fede e da un amore profondo, lavorano con gioia. La passione compie miracoli. Manola si occupa prevalentemente della decorazione e anche, come il marito, del restauro di porcellane, ceramiche, vetri antichi…
San Giuseppe col Bambino



“Abbiamo, oltre a centinaia di stampi, una collezione personale di oltre 300 pezzi che risalgono ai primi dell’800”. E’ riposante trovarsi qui, tra simulacri di varie altezze: dai 10 ai 180 centimetri. “Di ognuna abbiamo il modello originale, anche antico”. Su “La Stele”, che ha origini lontane (come bottega nacque nella metà dell’800 nel quartiere di Brera e successivamente, dopo vari traslochi, si trasferì in viale Certosa), in Giappone è uscito un corposo libro con oltre 100 mila copie in libreria. I nipponici conoscono molto bene il l’indirizzo di viale Certosa. Vi arrivano soprattutto per vedere le varie fasi della lavorazione. E a novembre è attesa la visita di un gruppo di cittadini del Sol Levante che hanno tratto impulso dal libro.Gianluca deve interrompere la conversazione più volte per accogliere i clienti. Nel frattempo ci guardiamo intorno, ammirando il Bambinello a braccia aperte, grande più o meno 30 centimetri, sorridente, con l’incarnato roseo, con l’espressione gaudiosa, la sua bellezza soave. Ha avuto ottimi maestri, Seregni. “Sì, Nardini, Bassi, Vismara. Soprattutto Giancarlo Borroni, che mi ha trasmesso anche valori umani”. Io lo conobbi nell’ottobre del 2007. Aveva 76 anni, un modo di fare discreto, quasi timido.
Giancarlo Borroni
“Ormai sono in pensione - mi disse - vivo solo, vengo in bottega soltanto per ritrovarmi in un luogo a me molto caro. Fra tutte queste Madonne ripercorro a volte gli anni passati, impegnati a farne di gesso, e non di rado di argilla. Ne avrò fatte 50 mila”. Parlava sottovoce, Borroni. ”Cominciai nel ’43. A ‘La Stele’ di corso Garibaldi 40, guida Annibale Cerruti, pittore e scultore molto apprezzato. Nell’agosto di quell’anno il laboratorio venne distrutto dalle bome e noi raccogliemmo quel poco che si poteva raccogliere e con il carro tirato dai cavalli lo portammo in via Candiani, alla Bovisa. Borroni mosse i primi passi come garzone, e con il furgoncino andava a piazzale Loreto, “dove in una ditta prelevavo le casse che ci servivano per spedire i manufatti, i cui modelli erano realizzati in plastilina anche da un altro scultore, Remo Brioschi. Il formatore prendeva l’impronta in gesso, facevamo lo stampo in para cotta a 60-70 gradi per 12 ore, quindi le copie.

Elementi del presepe
A Milano erano parecchi gli artigiani che trattavano il gesso, ottenendo figure anche di un metro e mezzo e statuine del presepe di diversa grandezza. Nel ’50 conobbi Carlo Confalonieri, uno degli artigiani più noti e prestigiosi di allora, con “atelier” in via Copernico 8 (dapprima si serviva del legno; poi mise a punto una pasta di gesso con farina, colle e segatura, che colava in stampi di bronzo). Imparai a fare gli stampi, sia in gesso, sia in para, e a modellare anche la creta, che a quell’epoca di tanto in tanto si usava”. Borroni mi raccontò anche i sacrifici, le fatiche e la paura degli ordigni che piovevano dal cielo, facendo disastri. Quando suonava la sirena correva, se si trovava da quelle parti, al rifugio scavato sotto il piazzale del Cimitero Monumentale, lasciando fuori il furgoncino. “E nessuno si permetteva di rubare le Madonne”. Adesso Manola e Gianluca esprimono molta ammirazione per Borroni (e per il Confalonieri). Lo rivedono di tanto in tanto, il vecchio maestro, e sempre con molto piacere. Ogni suo arrivo è un evento. Si sente che gli sono affezionati per la sua esperienza, la sapienza, le sue qualità umane. Quasi schivo com’è, e poco loquace, non snocciola spesso la propria storia umana e professionale: “Ricordo Milano con poche auto; il tram 10 che prendevo per andare a casa o al lavoro; la città spopolata dopo il tramonto; le distrazioni, chi poteva, al Teatro Olimpia con Wanda Osiris che cantava ‘Vi parlerò d’amor’; o al Nuovo, dove Remigio Paone presentava ‘Una notte al Madera’ con Natalino Otto e il Quartetto Cetra…. Nel laboratorio di Cerruti non si contavano le ore…”. Erano in quattro ad affrontare le richieste che arrivavano tramite i missionari anche da Hong Kong. Manola e Gianluca conoscono quella fatica. E le loro Madonne, i loro martiri, i loro san Francesco, san Pio, sant’Antonio, san Giuseppe, santa Rita… prendono anche la via dell’estero: Francia, America Latina…









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