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mercoledì 6 giugno 2018

Un ricordo cordiale di Fulvio Nardis


ARCHITETTO SAPIENTE E ATTENTO


INNAMORATO DEL SUO ABRUZZO


Fulvio Nardis



Aveva un castello a Ocre e intendeva

restaurarlo. Sperava che il nipotino

un giorno desse voce alla campana 

del torrione, muta da tempo.

A Milano curava Palazzo Clerici, dove

aveva lo studio.






Franco Presicci


Ce l’aveva con i “dèpliant” pubblicitari, Fulvio Nardis, pittore, scultore, restauratore di monumenti, edifici, chiese, e di Palazzo Clerici, a Milano, che dal 1908 ospita la sede del Circolo Filologico (fondato a Torino nel 1872); aquilano, “soprattutto abruzzese”, come amava dire. “Quei pieghevoli continuano ad affollare l’Abruzzo di pastori. Ce ne sono, come no. A Tagliacozzo, ad Avezzano, a Celano. In modo limitato anche i pastori transumanti ci sono, nonostante siano scomparse le vie armentizie; e questi smaltiscono l’inverno nelle bassure della Puglia, del Lazio. Fa anche piacere vederli: tra l’altro suscitano nostalgia. Ci sono anche gli zampognari che, inguainati in pelli di capra, rendono più suggestivo il Natale. Ma non è il caso, secondo il mio parere, che i promotori turistici s’intestardiscano ad impaginare greggi nelle “brochure”, trascurando i vigneti che ricamano le terrazze e le falde dei monti; i caratteristici centri accoccolati su sproni e poggi; le chiese, tutte belle, ereditate dal Medioevo, epoca in cui ce n’erano molte di più; o la grandiosità della montagna abruzzese; o il paese di Ocre”, dove lui aveva acquistato un castello e diceva che quel borgo era il più bello del mondo. E, dicendolo, gustava il pesce al cartoccio nel solito ristorante di Foro Bonaparte, avendomi come commensale attento e curioso.
Graffito per Alda Merini
Non si scaldava, non si inalberava, non usava espressioni fuori delle righe. Era risentito. Avrei potuto obiettare, ma era così simpatico, che farlo mi dispiaceva. “Mi piaci, tu sai ascoltare, capire le ragioni degli altri”. Parlava con semplicità, a volte inventando immagini che avrebbero divertito anche il professor Francesco Sabatini, che la domenica mattina scioglie su Rai1 i rompicapo della nostra lingua. Era il luglio del ’72, quando si lasciò andare con me a questi sfoghi. Aveva cinquant’anni, i baffetti alla Oliver Hardy, e si definiva pigro, aggiungendo che non gli andava di agitarsi, che voleva starsene tranquillo come le pecore negli stazzi, “solo che quelle bevono l’aria frizzante della nostra terra, sempre incantevole, una terra che come diceva Guido Piovene ha una qualità quasi insulare, ’il motivo del suo forte colore e della sua diversità’”.
Corso Venezia

Il lavoro che faceva ogni giorno era documentato dalle tele allineate e dai disegni sparsi nel suo studio in questo importante palazzo vicino alla Scala; dalle sculture, dai progetti di restauro ammonticchiati su quella scrivania rustica che veniva da Castel del Monte, come la sedia su cui stava seduto. Era quella sedia che agevolava i suoi ricordi abruzzesi. “Ottimo questo branzino, devo fare i complimenti allo ‘chef’; delizioso anche il vino”. Una delle sue improvvise digressioni. “Ti esprimo il mio grande amore per l’Abruzzo e per Ocre, che fu danneggiata dal terremoto dell’Aquila nel 1703; per il castello che ho preso qualche anno fa”. Il maniero echeggiava delle voci e dei suoni che quest’uomo nato prigro alimentava ogni estate.
Il Castello di Ocre

  
“E’ in rovina, mi duole: sulle sue pietre di travertino sono incise le vittorie dei Gualtieri; e ho intenzione di restituirgli dignità con un intervento di restauro, che si fermerà al punto in cui un tocco in più impedirebbe al rudere di parlare”. Fulvio Nardis, scomparso da parecchi anni, parlava senza mai alzare la voce. “Sono uno del popolo, che parla sano e vero; e sono a mio agio tra le persone che non hanno galloni”. Il suo migliore amico era Giovanni Ricci, il contadino filosofo di Ocre. “Quello che quando guarda il cielo dice: ‘Tranquillo, professore, domani non piove’. E non pioveva davvero.
Corso Vittorio Emanuele
A Milano Nardis era importante; conosceva persone importanti: ebbe un premio da un sindaco e una medaglia da un altro, che era Aldo Aniasi. Qualcuno gli chiese che cosa si potesse fare per manifestare la gratitudine di Milano per l’impegno da lui svolto e rispose che il suo desiderio era quello di vedere una grande pubblicità dell’Abruzzo in piazza Duomo al posto di quella della Coca Cola, sulla facciata dell’edificio di fronte alla Cattedrale. Fu accontentato. E la sera, lasciando lo studio di via Clerici, l’uomo pigro s’incamminava verso la piazza e dal sagrato si gustava l’insegna che faceva onore alla sua regione. “E’ un po’ come ritrovare le luci di casa”. Davanti a quell’insegna pensava all’entusiasmo speso per organizzare appena dopo la guerra il circolo artisti aquilani, con annessa la società dei concerti; e alla sua lotta per impedire che quelle iniziative imboccassero strade diverse. ”Grazie alla bravura organizzativa dell’avvocato Carloni il sodalizio si affermò, e al primo concerto, diretto da Bogiankino, feci una fatica indescrivibile per trasportare il pianoforte avuto in prestito dal professor Stefanini, che allora era primario all’Aquila”. Il suo pensiero correva spesso a Ocre, un paesino di pochi abitanti, e al suo castello. Intendeva allestirvi alcune sale per esperienze culturali, artistiche, musicali, per far rivivere il luogo. E qualcosa aveva già fatto, organizzando la festa di San Salvatore, il santo del castello, “con fuochi di Giuseppe Basilio Garibaldi”.










DISEGNI di NARDIS









Aveva molto da raccontare, Fulvio Nardis, e lo faceva senza retorica. Con lui non ci si annoiava mai. Era schietto, rispettoso anche quando diceva pane al pane e vino al vino. Aveva un nipotino, che amava fare il “cow boy” e gli aveva “costruito un ‘saloon’, nella speranza che un giorno potesse fare il castellano e dare voce alla campana sul torrione, muta da tempo e sporgere il capo dalle feritoie attraverso le quali sibila il vento”. Mi confidò che era difficile riordinare le ossa del castello. “Io non sono ricco: lavoro per quel che mi serve; se mi serve di più, lavoro di più; il resto del tempo lo trascorro stando seduto su quella sedia con la quale hai già stabilito un po’ di empatia. E’ stata realizzata dal vecchio Giuliani di Castel del Monte e da me portata a Milano per un’esposizione alla Triennale. Da allora non si è mossa più”. Quali sono i restauri più rilevanti che hai operato in Lombardia? “A Milano la chiesa di Sant’Eustorgio… Adesso sto lavorando per Palazzo Clerici. Ho restaurato la Ca’ Granda; una casa che era stata rifatta non in modo adeguato nel ‘700 e nell’800… Ci sono cose che ho fatto bene e cose che ho fatto male, ma queste ultime non te le dico.
Tuttavia credo che quelle fatte bene sono parecchie. Anche perché al restauro mi dedico con passione, tenendo presente che in architettura esistono rapporti ben precisi, geometrici, al di là dei quali ogni intervento deturpa l’opera. Il restauro è il servo, non il comandante”. E tornava all’amore per l’Abruzzo. “Sulla strada che da L’Aquila va ad Ocre c’è un paesino che si fa annunciare da una scritta: “La piccola Svizzera”. M’infastidisce, perché l’Abruzzo è l’Abruzzo, la Svizzera non c’entra: è un’altra cosa”. Mentre Nardis parlava, guardavo le tele schierate lungo i muri. Su un tavolo troneggiava un multiplo eseguito nella bottega storica del suo pupillo Giuseppe Rossicone, anche lui abruzzese, di Scanno. Era un volto di donna dall’aspetto angosciato. Si accorse che il mio sguardo indugiava su un grande nudo femminile. Si alzò, lo staccò dal muro e me lo regalò. “Devi venire a Ocre, e ti porterò all’Aquila, città gaia - secondo Piovene – ‘che facilita il respiro’. Città‘ cordiale, sincera, ospitale. Ricordo un’altra frase dello scrittore: ‘Negli edifici sono scritte le vicende agitate non soltanto dell’arte, ma della storia dell’Abruzzo’. L’ho letta e riletta fino a quando non mi si è stampata nella mente”. Personaggio memorabile, Fulvio Nardis, come gli altri che finora abbiamo ricordato (Porzio, Alto, Carrieri, Strippoli, Miani…). Spesso ho pensato a lui, al suo modo schietto di trattare le persone. Parlava con affetto degli amici che aveva laggiù come se l’interlocutore li conoscesse. “Il direttore della… che sta all’Aquila, bravissimo professionista e ottima persona, sta infuriato, devono avergli fatto un torto grave. Quando lo vedrò mi farò dire che cosa gli è successo”.


1 commento:

  1. Grande professionista, indimenticabile uomo, per simpatia ed umanità. E' stato il mio padrino di battesimo.

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