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giovedì 5 luglio 2018

La pediatra milanese Anna Bruno

La dottoressa Anna Bruno cura un bimbo
 
A MALINDI PER AMORE
E SOLIDARIETA’ UMANA

La dottoressa ci va ogni
anno per curare con gioia i 350 bambini del Centro Tabazanu, dotato di ogni attrezzatura: laboratorio di analisi, scuola, campo sportivo, una chiesa spoglia, con una bellissima "via crucis" di rame.






Franco Presicci
La dottoressa Bruno( prima a sinistra) parla ai bimbi
Malindi, come si sa, è una delle mete ambite per le sue meraviglie. Si trova in Kenya a 120 chilometri da Mombasa, nella contea di Kilifi. Dei suoi primi anni non si hanno informazioni e i reperti archeologici indicano la presenza dal IX secolo della gente bantu, che circa 3000 anni fa si sparse in varie zone, avviando il popolamento dell’Africa. I turisti innamorati di Malindi, che tra l’altro ha spiagge bianche lunghe chilometri salvaguardate da una barriera corallina, colori inebrianti, un mare splendido, tante curiosità da ammirare, come il “Falcony Center”, ricco di uccelli da preda abili nella caccia. Gli appassionati del “surf” vi hanno davvero di che sbizzarrirsi. Una specie di paradiso, dunque... Malindi però non ha soltanto tutto questo.
Anna Bruno(la seconda a sinistra)
La dottoressa Anna Bruno, pediatra, una signora dolce, ironica, comunicativa, colta, intelligente, non la frequenta per trascorrervi un periodo di “rekax”; una vacanza da sogno da raccontare al ritorno agli amici. Ci va per esercitare gratuitamente, addossandosi interamente il soggiorno, per curare i bambini del Centro Tabasanu, che sorge a 25 chilometri da questa sorta di eden, in cui sono presenti molti stranieri, tra cui primeggiano gli italiani. Come ti è venuta l’idea di intraprendere questo cammino, ho chiesto sere fa alla dottoressa Bruno mentre avevamo davanti un piatto di orecchiette con il sugo e squisite polpette, che ricordavano i piatti della nonna.
I bimbi si offrono all'obiettivo
E’ presto detto: “L’ultimo anno del mio lavoro lessi su un giornale un articolo in cui si diceva che per aiutare i bimbi del Nepal e del Tibet bisognava prendere accordo con un centro di Katmandu. Mentre ero in viaggio di piacere sono andata a vedere questo centro e sono rimasta entusiasta per le attività che svolgevano in favore dei bimbi. L’anno successivo sono tornata per lavorarci”. Visitava i bambini scolarizzati, e anche qui tutto a sue spese. Ci è andata per sei anni, rimanendovi a febbraio e marzo. Poi le cose sono mutate, c’è stato il cambio del governo e l’aria che vi si respirava non era più gradita. Così Anna ha deciso di spostarsi in Africa, preferendo Malindi. “Dove mi sono sempre trovata a mio agio sin dal primo giorno, tanto che ci torno da sette anni”. Il Centro Tabasanu, in cui la Bruno presta la sua opera, ospita 350 bambini ed è ottimamente attrezzato. Ha una scuola primaria, un dispensario, gestito da una suora maltese, suor Beatrice, che ha tre consorelle: una con il compito d’infermiera, suor Giustina, e le altre sono insegnanti. Il Centro in questi anni è stato notevolmente modificato, aumentando la sua potenzialità con un laboratorio di analisi seguito da una delle suore e un centro di ostetricia (che non è ancora attivo perché aspettano un’ostetrica), dove le partorienti usufruiranno di un paio di giorni di degenza dopo la nascita del piccolo. Inoltre è in costruzione un reparto di fisiochinesiterapia, che sarà ultimato quanto prima.
A tavola
Mentre è attivo un refettorio, che quest’anno verrà ampliato per dare un pasto caldo a tutti i bimbi, mentre adesso viene dato solo ai più piccoli. C’è anche la chiesa, spoglia dotata di una bellissima “via crucis” in rame, dove vanno a seguire i riti sacri anche persone appartenenti a religioni diverse. La dottoressa Anna Bruno non si stanca di descrivere l’ambiente che pratica con impegno professionale e gioia. “Non ti ho detto dell’impianto sportivo: un campo da calcio e da pallacanestro, in cui si riversano i ragazzi, addestrati da uno dei tanti volontari incaricato di insegnare a dare pedate al pallone e a mirare al canestro. Non è trascurata la cultura, alla quale è dedicata una sala-conferenze e dibattiti. E’ aperta a tutti, e in ogni manifestazione affluisce tanta gente che arriva dai villaggi vicini.
Il pranzo è pronto
Sino all’anno scorso il vescovo, che vedeva di buon occhio questi incontri, prenotava dei mezzi di trasporto per prelevare rigagnoli di ragazzi nei villaggi più lontani, ma anche gli adulti, per dare loro la possibilità di partecipare alle attività. Poi il prelato è passato purtroppo a miglior vita, ma il flusso non si è fermato. “Le aule sono affollate di bimbi scolarizzati”. Tu come passi le ore? “Visitando i bambini ammessi alla scuola, curandoli, quando è necessario. E’ stupendo il rapporto che ho con questi miei pazienti. Quando sono seduti in sala di attesa sono tristi, preoccupati, intimiditi, sospettosi; poi bastano una caramella e una carezza sincera accompagnata da un sorriso per tranquillizzarli. Ne avvertono il bisogno; e li vedi poi contenti, riacquistare fiducia”. Come è nato questo Centro? “Prima di tutto devo dirti che è in mezzo alla foresta, circondato da villaggi molto poveri… E’ nato per volontà di Marisa, una fisioterapista che purtroppo è morta quattro anni fa dopo aver governato la struttura per anni. Il marito, Claudio, architetto, si è sostituito a lei per continuare la sua opera e migliorarla.
L'ora del gioco
Tra i suoi progetti quello di intensificare il numero dei bimbi fino a 500. E ne siamo tutti felici. Questi bimbi vengono a scuola dai vari villaggi anche a piedi alle 10 ed escono alle 16.30. Le classi vanno dalla prima alla sesta, poi gli scolari si cercano un lavoro, che varia a seconda dell’inclinazione e del corso che hanno seguito (computer, idraulica…). In tutte le classi viene insegnato l’inglese. Questi bambini – aggiunge la dottoressa Bruno - sono volenterosi, bravissimi, in buona salute e quando lei arriva (alle 10, dopo un percorso alquanto accidentato assieme a Claudio e a due amici, che sono del Lago di Garda) l’accolgono sempre cantando. Sono sereni. Tra loro c’è armonia e trascorrono la ricreazione tra suoni e canti. Dopo aver mangiato, con le mani, si lavano i piatti da sé in un recipiente appena fuori del refettorio. Alcuni indossano le scarpe; tutti hanno una divisa, che viene lavata due volte la settimana. 
Bambini giocano
Nelle ore libere giocano con i copertoni delle auto, con i sassi, con la terra. Giochi elementari, improvvisati come quelli che dopo la seconda guerra mondiale facevate voi maschietti: la palla di pezza confezionata da voi stessi con stracci legati con la corda e calciata tra due porte erette con mucchi di pietre. I più grandi rincorrono la sfera sul campo, incoraggiati dal volontario, i cui colleghi ci danno una mano per altre incombenze". Quando è nato questo Centro? L’alimentazione comprende fagioli, granturco, patate. Ai piccoli per colazione viene dato il “porrige” (farina più acqua). " Quando sono a Milano non vedo l’ora di prendere l’aereo e partire. Con il volo diretto arrivo a Mombasa e dopo altre 3 ore di auto sono quasi a destinazione. Una bella tirata, che però non mi pesa". Altri particolari? “Nel Centro ci sono i guardiani, le suore abitano nel complesso, ognuna nella sua stanza. La suora infermiera, oltre al normale funzionamento del dispensario, ogni mercoledì preleva il sangue per accertamenti diagnostici (epatite, malaria…) a tutti coloro che provengono dai vari villaggi, adulti compresi”. Insomma l’Africa chiama e chi ha cuore risponde all’appello. La dottoressa Anna Bruno ha trascorso gran parte della sua vita a curare i marmocchi. Rimasta vedova 21 anni fa (il marito, Martino Colafemmina, ingegnere, uomo generoso, disponibile, impegnato nell’associazionismo, collezionista di orologi antichi, tra l’altro contitolare di una grande masseria ad Acquaviva delle Fonti, in Puglia, morì in un incidente ferroviario), cominciò a dedicarsi alle opere di solidarietà umana, fino a sbarcare in Tibet e poi a Malindi, che per tanti altri è luogo di divertimento, così irridente, riposante, magico, da ricevere ogni anno sciami di vacanzieri. Nel ’30 attirò anche Ernest Hemingway, che aveva la passione della pesca d’altura; e nei secoli altre personalità, come, nel 1541, il missionario gesuita Francesco Saverio, che vi soggiornò per diversi mesi.








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