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mercoledì 3 ottobre 2018

Aveva una gran mole di esperienze


 
Tanino Gadda

IL GIORNALISTA TANINO GADDA

IL GENTILUOMO DELLA PENNA



Aveva scritto libri, vinto un premio,
sapeva tutto della nera. Se un collega
giovane gli chiedeva aiuto, rispondeva
con frasi brevi ed essenziali. Era dolce,
affabile, generoso, attento, scrupoloso.
Un mito.



Franco Presicci
Il giornale era per me casa e bottega. In occasione di avvenimenti straordinari come la strage di via Palestro, la sera del 27 luglio ’93, passai la notte tra la strada e la scrivania per raccogliere il maggior numero di particolari. La redazione di Cronaca degli anni ’70-80 era galvanizzata. 

Lotito, Gadda, Basso, Presicci
I colleghi, bravissimi, volenterosi, erano sempre pronti all’appello e al sacrificio. Cinque eravamo alla nera: Piero Lotito, Giancarlo Rizza, Giorgio Guaiti, Giovanni Basso. Poi tre presero ognuno un’altra strada: la scuola, la cultura, la confezione delle pagine. Gaetano Gadda, Tanino per gli amici, aveva lasciato da un po’ il giornalismo attivo: dopo aver accumulato una gran mole di esperienze stendeva le notizie che un altro grande, Giancarlo Rizza, trombettiere dalla questura, gli telefonava ogni giorno, e curava una rubrica, “Cani e Gatti”, assegnatagli per il suo amore autentico, senza leziosaggini per gli animali. Aveva fatto parte del gruppo che nel ’56 accompagnò la nascita del “Giorno” in via Settala, dopo una breve parentesi al quotidiano “Stasera”, se non sbaglio diretto da Angelo Rozzoni, mitico vice-direttore del “Giorno” e nemico delle raccomandazioni da qualunque parte provenissero.

Il vecchio palazzo del Giorno in via Fava
Per lui contava il merito. Lo rivedo, Tanino, seduto alla sua scrivania a “L”, di fronte alla mia, dove batteva con velocità i tasti di una vecchia Olivetti (le innovazioni tecnologiche erano alle porte), fermandosi solo per rispondere a qualche domanda di un collega o per fumare una delle sue Kim, tenendo gli occhi dietro gli occhiali a mezzaluna. Ogni tanto si alzava, le mani nelle tasche dei pantaloni, faceva un piccolo giro fra i tavoli guardando oltre la finestra, che si spalancava su un quadro quasi agreste, attraversato dai binari diretti alla stazione Centrale. E stava attento alla radio, che seguiva le pulsazioni della città. L’aggeggio ci segnalava immediatamente un omicidio, una rapina, un sequestro di persona, mobilitandoci: uscivano di corsa con autista e fotografo e giunti a destinazione chiamavamo Tanino per informare il giornale della rilevanza del fatto. Al rientro, dopo aver spigolato a dovere, componevamo l’articolo; e il fotografo, chiuso nel laboratorio al decimo piano, stampava le immagini. Mentre le dita di Tanino, sottili come quelle di un pianista, saltellavano sui tasti, gli altri colleghi mietevano notizie nei territori di loro competenza, le orecchie attaccate al telefono. Ogni tanto irrompeva il capocronista Enzo Catania, capelli, barba, baffi neri che gli nascondevano le labbra, per dare un annuncio, ma Tanino non si lasciava distrarre, neppure per un attimo.


Elena Golino, Gorio, Lotito, Presicci
Consegnato il lavoro, scambiava qualche parola con me o con Lotito, ma mai una chiacchiera. Una volta, letto un articolo sulle bische firmato da un noto e apprezzato segugio del “Corriere”, depose il giornale sul tavolo e commentò: “Niente di nuovo. Da lui mi aspetto ben altro”. Il pezzo era un impasto di ingredienti risaputi. Lesse l’attacco di una cronaca (“Fermi tutti è una rapina!”), e chiese, stupefatto: “Di chi è”? Era stato un giovane praticante, che provò imbarazzo ma ricevette subito l’indulgenza: “Tranquillo, anch’io ho compiuto a suo tempo degli errori”. Tanino aveva scritto anche romanzi gialli, pubblicati da case editrici prestigiose. Ma non ne parlava mai con nessuno. Non era uno che mettesse in piazza le sue glorie. E non si irritava mai, era gentile, disponibile, mite, dolce, affabile. Non accendeva polemiche; se una discussione prendeva una piega sgradita svicolava con eleganza. Era un esempio. Una mattina dell’85, dopo 29 anni al “Giorno”, ci comunicò la sua decisione di andare in pensione; e nel salone “open space” della Cronaca piombò il silenzio, in attesa di una spiegazione. “Avrò più tempo per dedicarmi alla lettura”. Già leggeva molto. In casa non teneva la televisione, per avere più tempo per seguire i suoi autori preferiti.

Il cronista Giancarlo Rizza
Il suo posto rimase vuoto a lungo. Rizza, poi diventato caposervizio, con il suo stile brillante, prese a scriversi le notizie che scovava in via Fatebenefratelli e dal giornale scomparve la figura dell’estensore. A 71 anni Tanino fu colto da un infarto alla fine di una partita a San Siro. Ai funerali, a Lentate sul Seveso, s’incolonnarono i colleghi della sua Cronaca e delle altre redazioni. Nessuno fece l’elogio funebre, in ossequio alla sua riservatezza. Dopo qualche giorno Franco Abruzzo, presidente dell’Ordine dei Giornalisti lombardi, mi telefonò per chiedermi un ricordo del collega scomparso e di ciò che era successo a Milano durante la sua vita al “Giorno”, da pubblicare su “Tabloid”, il periodico della nostra Associazione. “A Piero Lotito – aggiunse - ho affidato un secondo pezzo. Scrivete a volontà, non vi do un limite”. Io ero a Martina e scrissi sul filo della memoria, rispolverando le stragi, come quella di Moncucco, il 2 novembre del ’79, otto morti, fra cui sette perchè testimoni; quella del Lorenteggio, nel novembre ’81, quattro vittime che avevano osato compiere una rapina in una bisca; i sequestri di persona, tra cui quelli di Nasisi, Zamberletti, Lavezzari; i più clamorosi assalti agli istituti di credito, con sparatorie sanguinose; il furto miliardario alla banca nazionale lombarda di piazza Diaz nel maggio dell’84; la rapina al banco di Napoli di largo Zandonai, il 25 settembre ’67, organizzata dalla banda guidata da Pietro Cavallero, che scatenò un mezzogiorno di fuoco con morti e feriti; gli spietati boss di Milano e le loro imprese; le irruzioni nelle sale del gioco d’azzardo per la conquista del monopolio; i massacri delle brigate rosse, come quello del gennaio ’80 in via Schievano, caduti tre poliziotti del commissariato Ticinese: l’appuntato Antonio, Cestari, il vice-brigadiere Rocco Santoro, l’agente Michele Tatulli, che guidava l’auto; l’uccisione dell’orefice Torreggiani , dei giudici Alessandrini, e Galli, docente e studioso di criminologia. E naturalmente raccontai la personalità di Tanino, il suo valore professionale, il lavoro che aveva svolto a suo tempo anche nella sala-stampa di via Fatebenefratelli con colleghi eminenti, come Mario Berticelli, Salvatore Conoscente, Arnaldo Giuliani, Gabriele Benzan, Alfredo Falletta, Mercuri, Max Monti… giovani e già apprezzati quanto lui. In quegli anni aveva conosciuto Mario Nardone, il “Gatto”, allora commissario, noto per le sue imprese ardite e solitarie, tra cui l’arresto di un rapinatore di origini contadine, ma scaltro e veloce come una lepre. Tempi duri, per i cronisti. Per catturare una notizia bisognava sudare le famose sette camicie. Non c’erano ancora le conferenze-stampa e il pane occorreva procurarselo anche tampinando un poliziotto disponibile. 

Mario Jovine nella sua casa di Bologna
Tanino Gadda e Luisella Seveso















Nei corridoi della questura s’incontravano bocche cucite. Oltre a Nardone, Mario Jovine, Vito Plantone, Ferdinando Oscuri, il maresciallo di ferro, che difendevano le indagini con ostinazione. Plantone aveva stima e rispetto del lavoro dei cronisti, ma se scuciva un dettaglio, una nota di colore era per tutti. Niente favoritismi, neppure per gli amici. I cani da tartufo lo aspettavano fuori del portone della questura, lui offriva loro da bere o un panino e parlava dopo essersi accertato che ci fossero tutti. Max Monti, del “Corriere”, fingendo di fare la pipì contro la parete, si appostò sotto la finestra della stanza in cui Mario Nardone stava interrogando Rina Fort, la giovane donna accusata di aver ucciso la moglie del proprio amante e i suoi tre figli. Nel suo splendido articolo Piero Lotito accennò al carattere di Tanino, ai suoi giudizi sul giornalismo (“… è il più bel mestiere se lo fai da cronista semplice senza gradi…”), ai suoi libri… Del ’73, “Il complice del suicidio” che, fatto uscire da Raffaele Crovi con Fabbri, vinse il Premio Gran Giallo di Cattolica. Nel ’72 era apparso in libreria con Pan editrice “Uno dei tanti”. In pensione Tanino aveva resuscitato antichi amori: la poesia, il teatro e minimi appunti storici per “Il Giorno”. ”Aveva anche lavorato, limando e ripensando, a un romanzo su uno dei momenti più neri della storia milanese: l’assassinio del commissario Luigi Calabresi”. Tanino Gadda aveva incontrato tante persone importanti, tra cui Alberto Tedeschi, conoscitore di gialli e di giallisti come pochi. Nel ’74 aveva partecipato a un dibattito sul giallo per “Tuttilibri”, presenti gli stessi Crovi e Tedeschi, Attilio Veraldi, Oreste Del Buono, Carlo Casalegno. In quell’occasione affermò che le sue esperienze di cronista gli avevano insegnato che il delitto perfetto esiste, eccome, e che solamente qualche volta il colpevole viene scoperto magari per caso. Passigli stava per licenziare il suo “Le maschere del mistero”, in cui a Tantino Gadda era dedicato un capitolo intero. Lotito era legato più di tutti a Tanino, con il quale spesso andava in una trattoria vicina alla sede del “Giorno”, un fungo superbo eretto in via Fava. E lì, abusando della tolleranza della sua ulcera, il grande Gadda sceglieva cibi forti per fare onore all’ospite, che vedeva delinearsi la personalità e la storia di questo collega che ha lasciato tracce nel nostro cuore.







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