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mercoledì 21 novembre 2018

Indimenticabile Gianni Brera


INVENTORE DI UNO STILE INIMITABILE
FU UN VERO MAESTRO TRA I FORNELLI
 
Lavorò per anni al “Giorno”, dirigendo la 
redazione sportiva. Poi il “figlio del Po”,
il “padano di riva e di golena” passò da un
giornale all’altro. Era un mito. La sua prosa
è stata anche argomento di tesi di laurea.
Affibbiava etichette ai giocatori: Rivera era
l’abatino”. Scrisse anche libri di successo,
tra i quali “Il corpo della ragassa”. Giocò tra
i ragazzi del Milan. Nessuno ha raccontato
il calcio come lui.


                                                  Franco Presicci
Tra la macchina per scrivere e il piatto di spaghetti con il pomodoro la distanza non era lunga. Bastava attraversare i binari della ferrovia che portano alla stazione Centrale e oltrepassare la soglia del Cral del “Giorno”. Il quotidiano si spopolava all’1,30, lasciando all’opera gli speditori, e chi non aveva voglia di andare a letto, giornalisti e poligrafici, poteva andare in quel salone per farsi una partita al biliardo. Alle 5 del mattino il custode metteva la pentola sul fuoco e quando l’acqua bolliva calava giù la pasta.
Marangi e Marchesi
Tra una forchettata e l’altra ognuno esprimeva il suo giudizio, come oggi si fa in certe trasmissioni culinarie, e il voto non era mai al disotto del 9, perché il cuoco, senza la prosopopea di certi “chef” del piccolo schermo, era eccellente, pur non essendo Gualtieri Marchesi. I palati fini, che potevano anche distribuire lezioni, non andavano al dopolavoro, di cui non sapevano neppure l’esistenza. Frequentavano i ristoranti più accreditati o accendevano i fornelli di casa, invitando gli amici o i colleghi in grado di apprezzare. Erano le due o le tre di notte, poco importava. Gianni Brera, geniale inventore di uno stile, che pescava in altre lingue e nel dialetto lombardo per creare un’immagine, per trasmettere ai lettori le sue emozioni, e di etichette per i giocatori più famosi (Gigi Riva, “Rombo di tuono”; Roberto Boninsegna “Bonimba”; Walter Zenga “Deltaplano”; Giovanni Lodetti “Basietta”; Gianni Rivera l”abatino”…), autore di libri godibili come “Il corpo della ragassa”, che Alberto Lattuada convertì in pellicola cinematografica era un asso anche in cucina, raccontano i colleghi che gli erano più vicini. Impareggiabile nel confezionare le linguine con olio e peperoncino, il Sivori del linguaggio, il “padano di riva e di golena… di boschi e di sabbioni…cresciuto brado o quasi tra boschi e mollenti… figlio legittimo del Po”, come egli stesso si definiva.
Il cronista Giancarlo Rizza
Ci metteva una tale cura, ispirata ad un amore indiscutibile, da meritare l’ammirazione, se non proprio di Escoffier, il “cuoco di lusso” (se non fosse deceduto nel ’35), di Edoardo Raspelli, critico gastronomico che non ha mai guardato in faccia a nessuno. “Quando faceva il sugo con il pomodoro – mi raccontò nel novembre 2011 uno che lo conosceva molto bene, il figlio Franco, giornalista e musicista, che per il padre aveva un sacro rispetto - ci metteva aglio e cipolla e non doveva mancare quel re indiscusso della gastronomia di ogni Paese, il peperoncino, non necessariamente tra i più incendiari. L’aglio doveva essere dosato in ragione di uno spicchio a testa. Per quanto riguardava l’insalata preferiva la cicoria che cresceva nel suo orto e doveva essere ben tagliata. Il ’roast-beaf’ lo faceva in due modi: saltato in padella in blocchi grossi come spezzatino oppure trinciato molto sottile come carpaccio e buttato nell’olio bollente senza distenderlo. Perché cuocesse in modo diseguale, abbrustolito in certi angoli, al sangue in certe pieghe. Accompagnava i piatti con il Nebiolo, che acquistava a Barbaresco, comune di quasi 700 abitanti, da Giovanni Giordano. “Ci andava spesso con gli amici Ronzoni, pubblicitario, e Mauri, dirigente industriale. Dopo essersi rifornito si sedeva al tavolo di una trattoria e gustava le specialità della casa”. Nell’Oltrepò Brera - continuò Franco - contava molti amici, che lo accoglievano a braccia aperte quando andava a prendere il Barbacarlo da Lino Maga o la Bonarda croatina da Carmine Saviotti. 
Al Giorno si brinda
“E che dire delle adunate del giovedì al ristorante Riccione – mi ricordò nello stesso periodo Pilade del Buono (fratello di Oreste, esperto di gialli, sport, cinema, traduttore di Flaubert, Gogol, Proust, ‘editor’ in case editrici importanti, autore per la Rai delle “interviste impossibili”…), che per 13 anni, fin dalla nascita in via Settala, aveva lavorato nella redazione sportiva del “Giorno”, fianco a fianco con Giulio Signori e Nando Pensa e altri colossi della critica delle pedate, del “ring”, del nuoto…, fino a quando, nel ’68, fece fagotto e si trasferì in via Solferino, al “Corriere della Sera”. “A quei convegni partecipavano anche le signore, ma solo il giovedì prima di Natale.
Brera, secondo a destra, nella libreria Partipilo
Quando notava che le nostre postazioni erano vuote, Gino Metalli, uno dei tre fratelli che gestivano il locale, veniva in via Settala (dove nacque il quotidiano di Enrico di Mattei (“illo tempore” diretto da Gaetano Baldacci) con un pentolone fumante e cenavamo tra gli squilli del telefono”. Del Buono rispolverava quei giorni con orgoglio e nostalgia. Il grande Gioan, che tra l’altro aveva giocato nei ragazzi del Milan, fu accolto festosamente anche al Circolo Italsider di Taranto (guidato con saggezza da Peppino Francobandiera, uomo colto, scrittore efficace, lucano emigrato nella bimare), dove tenne una seguitissima e acclamata conferenza, al termine della quale gli fu servito un piatto di orecchiette con le cime di rapa, che apprezzò moltissimo. La stessa festa gli fecero a Milano alla Taverna del Gran Sasso, di Barracca, titolare anche di un altro notissimo ristorante, “L’osteria del vecchio canneto” (vi si mangiava indossando un grembiule), a pochi passi dal primo. Sullo schienale di una sedia scrissero il suo nome.
La sede del Giorno in via Fava
Dall'Ara, a sinistra, con un collega




















Al “Giorno” c’erano parecchi altri amanti della cucina. Uno di questi, Giangaspare Basile, detto affettuosamente Pipino, capo redattore dinamico e appassionato. Mi disse che “fino al ’95 a fare l’unità d’Italia è stato anche il baccalà”. E spiegò la sua teoria con un pizzico d’ironia e dovizia di particolari: “All’inizio del Seicento i belgi pescavano il merluzzo e, non potendo fare come gli svedesi, che lo appendevano a grandissime rastrelliere per farlo essiccare, lo stipavano sotto sale in barilotti che trasportavano via mare nei Paesi del Mediterraneo. In Italia scaricavano sulla costa e il merluzzo sotto sale veniva consumato sul posto, mentre quello essiccato mandato a Bologna, a Milano, alla Serenissima, dove ognuno lo cucinava alla sua maniera, fritto o in umido e in altri modi, ma sempre merluzzo era”. Basile, che vanta diverse ricette, è conosciuto per la sua esperienza, tanto che Cipriani lo aveva invitato nel proprio ristorante, il Danieli, a Venezia, il locale, sorto nel 1822 - alloggiato in un palazzo trecentesco  e passato alla storia come tempio dell’amore, dell’ospitalità, meta di personaggi celebri, tra cui Gabriele d’Annunzio ed Eleonora Duse.Oltre a Basile, Giancarlo Fusco, un fuoriclasse che era anche attore e scrittore estroso, di profonda cultura, affabulatore affascinante, autore de “Le rose del ventennio”, “Duri a Marsiglia”,” Quando l’Italia tollerava”… volumi di notevole valore, per i quali non si dava arie.
Luigi Veronelli
E Renzo Dall’Ara, un mantovano prestato a Milano, al “Giorno” come capo delle pagine dei Fatti della Vita e poi vice capocronista. Ha scritto libri di cucina (“Cucinare e mangiar bene alla mantovana”, “Petronilla e le altre”, che comprende la storia della donna che fu una delle prime laureate in medicina in Italia e curò per la “Domenica del Corriere” le rubriche La parola del medico” e “Tra i fornelli”, firmandosi Amalia e appunto Petronilla) e andava matto per la focaccia con le cipolle. Non da meno neppure Romeo Giovannini, titolista formidabile, lucchese garbatamente mordace, letterato, traduttore dal latino, passione perle opere antiche. Giancarlo Rizza, valoroso nerista e campione di bridge, esaltava il piatto fatto a dovere, non soltanto quello preparato da lui. Lo stesso Italo Pietra, che dopo Baldacci assunse le redini del giornale, varie volte dette ad un virtuoso giornalista, Vittorio Emiliani, in seguito direttore del “Messaggero”, l’incarico di occuparsi dei prodotti tipici come il salame di Varzi, allora senza alcuna tutela. Da non dimenticare Luigi Veronelli, milanese nato nel quartiere Isola Garibaldi, filosofo, giornalista, critico temutissimo che sul “Giorno” si occupava di vino e architetture culinarie con stile poetico e provocatorio. Una volta gli telefonai per chiedergli un’informazione e lui, dopo aver soddisfatto la mia domanda, mi invitò a Città Alta, a Bergamo, dove viveva, per visitare la sua fornitissima cantina. Durante la chiacchierata il discorso prese un’altra piega e mi informò che Edoardo Raspelli, oggi pellegrino tra cascine e produzioni agricole per Canale 5 da cronista sapiente e scrupoloso (lo è stato per anni al “Corriere d’Informazione”, quotidiano del pomeriggio di via Solferino), ha inventato la critica gastronomica. Ricordo infatti i dispiaceri che ha dato a molti ristoratori: si sedeva ai tavolo come un cliente qualsiasi e annotava i vari difetti e la qualità dei piatti.

***SU "NOTIZIE ED EVENTI ASSOCIAZIONE" (sito Minerva) "CENTENARIO PRIMA GUERRA MONDIALE - "PAGINE DI STORIA".


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