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sabato 10 novembre 2018

Le imprese della “banda del buco”

Enzo Caracciolo in un disegno di Lotito

USAVANO LO STETOSCOPIO

E LA FIAMMA OSSIDRICA

Oggi la consorteria criminale è più
dotata e agguerrita.                        

Fatto un colpo scompare, per poi ripresentarsi a distanza di tempo.     

Le sue azioni sono il frutto di un attento studio anche dei minimi particolari. 






Franco Presicci 
 
Da qualche parte nei giorni scorsi la banda del buco ha colpito ancora. E’ una compagine criminale che somiglia alla coda della lucertola: più la si taglia e più cresce, magari più forte. Ci fu un tempo che finiva spesso nelle pagine di cronaca, ispirando titoli a piena pagina, perché le sue imprese facevano scalpore; e poi si metteva a riposo.
Antonio Fariello
Ci si interrogava sulla sua fine, tirando un sospiro di sollievo; e gli stessi investigatori non avevano risposta. Soltanto ipotesi. E le ipotesi possono sciogliersi come una candela al calore dello stoppino. La risposta la dava la stessa consorteria di malviventi, che irrompeva sulla scena magari con qualche attore diverso o in più o in meno. Fatto il colpo, rientrava nel buio. E in quel lasso di tempo pensava a piazzare i preziosi al ricettatore a un quarto del loro valore. Era talmente nota, che nel ’60 fornì lo spunto per un film diretto da Mario Amendola, con Claudio Villa, Elio Crovetto, Mario Carotenuto… Hanno subito i suoi “raid”, oltre al capoluogo lombardo, Napoli, San Benedetto del Tronto, Foggia… Gente determinata e bene allenata. Oggi come ieri programma a dovere il colpo, fa sopralluoghi prima dell’azione, studia il via vai nella zona e individua il punto preciso da attaccare; e ha mezzi più efficaci forniti dalla tecnologia. Una volta il “crick” e lo stetoscopio. Sì, proprio l’attrezzo a mo’ di tromba che serve ai medici per captare i rumori del torace. Nelle perquisizioni spesso non si recupera il tesoro, ma si trovano aggeggi sofisticati e potenti radio che captano le comunicazioni tra le Volanti e la centrale operativa, facendoli sentire più sicuri: se c’è un pericolo lo avvertono subito.
Operazione di polizia
Tanti anni fa, quando ero in pista nella veste di cronista di nera e seguivo tutte le vicende che turbavano Milano, si sapeva che nella esecuzione dell’operazione i banditi si appostavano in un locale attiguo a quello in cui alloggiava la cassaforte e lo auscultavano: se le voci captate arrivavano attenuate, voleva dire che la parete era resistente: non fatta di materiale vulnerabile, e quindi sceglievano un altro obiettivo. Se invece la prova risultava soddisfacente passavano alla fase successiva. Tornavano sul campo, l’incaricato impugnava il crick, lo appoggiava a un sostegno sicuro e azionava l’apposita manovella come si fa per sollevare l’auto rimasta azzoppata. Nel muro si apriva un oblò che consentiva il passaggio ad una persona sottile, che poteva essere un ragazzo in fase di rodaggio.
Antonio Pagnozzi
Non si contano gli orefici, nel centro e nella periferia milanese, che aprendo il negozio il mattino alle 9 hanno rischiato l’infarto nel vederlo svuotato, senza che i vicini avessero sentito il minimo calpestio. Come non se ne accorgevano quando gli “orchestrali” o “boccia”, batteria di ladri, non avendo ancora avuto l’intuizione del “crick”, si calavano attraverso un’apertura praticata nel pavimento soprastante. Né quando, attaccando il muro con la fiamma ossidrica (antenata del crick in queste malefatte,) da una stanza confinante, prendevano la cassaforte alle spalle. Le batterie studiavano, come oggi, il piano nei dettagli e quindi conoscevano il punto preciso su cui agire. E non sbagliavano mai.
Mario Jovine
La notizia arrivava alla polizia o ai carabinieri dopo molte ore, quando ormai i malviventi erano tranquilli nel loro covo e stavano facendo i conti per spartire il malloppo, raccomandandosi di non spenderlo subito per non suscitare sospetti. Qualche volta infatti gli investigatori hanno smascherato i “cubisti” o ladri di grande destrezza proprio per il fatto che uno di loro scialava. Nel mondo della malavita – detto per fare onore alla cronaca - agivano figure marginali che campavano vendendo i “crick”. E facevano lauti guadagni. A Porta Genova nei pressi della darsena e quindi del Naviglio Grande c’era anche chi vendeva le chiavi false ai “gatti”, i ladri d’appartamento. La “madama”, avvertita da un “canarino”, bussò alla porta di uno di questi personaggi e rinvenne oltre duemila pezzi, fra ”babie” e “bambine”, chiavi false e duplicate. Il padrone di casa fece naturalmente una sceneggiata, sostenendo di non saperne niente, che qualcuno, per danneggiarlo, poteva avergliene messe a sua insaputa, giurò e spergiurò, ma senza convincere chi lo interrogava. Gli vennero chiesti i nomi dei suoi abituali clienti e lui fece i l “bis”, aumentando i toni. Fu portato al “gabbio” come il gergo definisce il carcere a Roma. Nel ’64 i vari commando hanno rastrellato in negozi di ogni tipo un bel mucchio di soldi: due miliardi e mezzo di lire, costando alle assicurazioni solo a Milano 140 miliardi per risarcire le vittime.
Ferdinando Oscuri indaga
Il maresciallo detto di ferro, Ferdinando Oscuri, di origine pugliese, uno dei pilastri della questura di via Fatebenefratelli, che collaborò con i Poirot più famosi, da Mario Nardone a Vito Plantone; da Mario Jovine ad Antonio Fariello, da Francesco Colucci ad Antonio Pagnozzi, a Enzo Caracciolo, e conosceva molto bene le pellacce, i covi, le abitazioni, i metodi adottati, le frequentazioni… mi fece un po’ la storia della banda del buco. “Prima del ‘crick’, negli anni ’70, utilizzava la lancia termica e le bande che operavano tra Milano e Roma con quello strumento erano quattro. Collaudatissime, con un organico almeno di dieci membri, ciascuno con un incarico apposito. Agivano nei ‘week end’, certi degli orari di titolari e impiegati.E di rado cadevano in un errore”. Lo fece la banda che, entrata in un istituto di credito, dopo aver razziato miliardi di lire dal caveau e da 200 cassette di sicurezza, per uscire senza dare nell’occhio si cambiò d’abito, lasciando sul posto quello indossato durante l’operazione. E così da un’etichetta della lavanderia appiccicata su un ‘jeans’ (gli indumenti pescati nell’Olona consentì di risalire alla banda di via Osoppo) il sottufficiale pescò chi li aveva usati e dopo di lui gli altri membri della “scopola”.
Francesco Colucci
Mario Nardone
Quando la categoria stava lontana dalla scena per un lungo periodo, Francesco Colucci, lo stesso Oscuri e gli altri “mastini” di via Fatebenefratelli pensavano che si fosse riciclata in altre specializzazioni criminose; e invece verosimilmente si godeva la bella vita tra night club, donne conturbanti e champagne. Poi, nel dicembre del 2001, ecco riaccendersi le luci della ribalta con un atto sbalorditivo. Titoli del quotidiani: “E’ tornata la banda del buco”, “Colpo grosso della banda del buco”… ”Strilli” anche sulle locandine esposte nelle edicole. Mario Nardone, “il gatto”, ebbe l’ispirazione giusta e la combriccola finì a San Vittore. Il poliziotto napoletano, che aveva il fiuto del cane da tartufi, riportò tanti successi. Per esempio individuò gli elementi della cosiddetta banda della gomma a terra, dall’abilità decisamente sconcertante. Uno di loro si appostava in una banca, adocchiava il cliente che prelevava più “farfalle”, lo seguiva e dalla soglia lo indicava ai complici appostati all’esterno. Il “dannato”, la vittima, deponeva la borsa sul sedile del passeggero o sul divanetto posteriore e mentre stava per accendere il motore la sorpresa: una “scarpa” della vettura era fuori uso.
Enzo Caracciolo e Vito Plantone
Prelevava la ruota di scorta dal portabagagli, si accingeva a sostituirla con l’altra e in quel momento il “carlo”, il denaro, prendeva il volo.
All’epoca molti ladri si muovevano di notte, quando tutti dormivano, le vie erano deserte e i metronotte passavano in bicicletta per controllare, puntando la torcia, se tutto andava bene, lasciando il biglietto per far sapere che lui era passato, ignaro di essere stato seguito. Quando voltava l’angolo, i furfanti s’impossessavano del negozio. Altri entravano, ed entrano, in azione di giorno, realizzando il colpo nella pausa pranzo; e anche di giorno si danno da fare i “topi” d’appartamento, affrontando qualunque altezza. “Anche loro fanno riunioni, annotano tutto, comprese le abitudini dei proprietari, dei vicini, razziando durante le vacanze, brevi o lunghe, e di sera soprammobili smerciabili mentre marito e moglie sono davanti alla televisione”, aggiunse Oscuri -, che aveva trascorso la vita a cercare lestofanti, come nei primi del Novecento il mitico “el Dondina”, capo della squadra volante e terrore della “ligera” di Porta Genova. “Il colpo più ardito? Nel ’52 in via Dante a Milano”: assaltarono una gioielleria sotto gli occhi di centinaia di passanti. Non era ovviamente la “banda del buco”. Non esisteva, e non esiste, soltanto quella.


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