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mercoledì 6 febbraio 2019

I ventagli: vere opere d’arte


 


LINDA BENNATI DE DOMINICIS


E I SUOI STUPENDI ESEMPLARI



Trovò il primo flabello su una

bancarella e scoprì, studiandolo,

che era del ‘700. Si rivelò così il

suo amore per questi oggetti, che

hanno origine antica.





(I ventagli pubblicitari provengono dalla collezione di Gianfranco Radice)




Franco Presicci

Come si sa, a volte basta una parola per accendere una lampadina. La mia m’illuminò durante una cena di compleanno in una vecchia trattoria pugliese in periferia: sorta probabilmente con il nome di “trani”, uno di quei locali a suo tempo aperti da immigrati provenienti dalla città pugliese (che “ha la campagna più fertile e ricca d’uva” e una cattedrale famosa, scriveva Guido Piovene). Eravamo una ventina: un misto di “terroni” e “polentoni”; e come in quasi tutte le comitive c’era una varietà di tipi: mentre io gustavo rigatoni alla crudaiola confezionati a regola d’arte, il mio dirimpettaio, dopo aver divorato un cumulo di spaghetti con il sugo, s’impegnò nella scarpetta, scandalizzando il vicino fedele di Monsignor Della Casa. Passò il cameriere, basso e magro, una salvietta a mo’ di manipolo sul braccio sinistro e il tronco come foderato con stecche di balena, e gli chiese: “Che cosa mi porta per secondo?”. “Una frittura di pesce? O delle melanzane ripiene, oppure il polpettone…”. “Mi va bene la seconda proposta”, e gli elencò un paio di malattie che gli impedivano di scegliere la prima e la terza. Tra un boccone e l’altro due signore che avevo già incontrato in un’altra occasione, Elvira, giovane, elegante, carina, di pelo rossastro; ed Elisabetta, copia conforme dell’attrice Giuliana Del Rio, parlavano di bastoni da passeggio e di ventagli.
Valsecchi e Morosetti. Milano. Ventaglio pubblicitario. Lozione Kino-Petrolea. Anni '20
“In un museo, non ricordo quale, ho visto quello di Toulouse-Lautrec Nell’Ottocento furono oggetto di un collezionismo diffuso.”. “Ho una decina di flabelli – seguì Elisabetta -, ma di quelli che le donne agitano per darsi fresco sulla spiaggia dopo il bagno. Gli esemplari che ho visto al Museo Poldi Pezzoli e al Castello Sforzesco sono un’altra cosa. Lo sai che dalla Cina arrivavano sino a noi ventagli in madreperla e avorio? Belli anche quelli che servivano come mezzi pubblicitari, per esempio delle case di profumi.

Balenciaga. Paris. Ventaglio pubblicitario. Profumo Xia Xiang. Anni '60
Dal Settecento i nostri cugini francesi producono la maggiore quantità di ventagli e di una qualità eccezionale… L’uso fu portato da Caterina de’ Medici che andava a nozze con Enrico II. Ah, in Egitto, le raffigurazioni di re sui muri delle tombe sono accompagnati da schiavi che issano flabelli…?. Ne sapevano, di cose, su quegli argomenti. E io stavo ad ascoltarle con autentico interesse. Tanto da non lasciarmi distrarre dal festeggiato che mi indicava le mensole sparse nella sala con “capase”, “vummile” ed altri oggetti in terracotta acquistati a Grottaglie. Nei giorni successivi pensai a lungo ai ventagli: un’idea fissa. E cercai l’indirizzo di un fabbricante. Al giornale Luisella Seveso, collega molto brava e informata, non seppe darmi una risposta; e neppure Nino Gorio, che seguiva il Palazzo di Giustizia, ma senza darlo a vedere conosceva le tribù degli indiani d’America, le bellezze nascoste del paesaggio europeo (lasciò il giornale per girare il mondo per riviste di turismo), tutti i particolari delle “tournèe” del circo di Buffalo Bill a Milano e in altre città europee nel 1889…. “Ti soccorro io”, mi soffiò all’orecchio sorridendo Adelaide Murgia, che si occupava di eventi culturali con uno stile esemplare, e in una mezza giornata scuciva sì e no quattro parole e solo con chi le stava simpatico.
Altro ventaglio
Mi scrisse su un biglietto il nome e l’indirizzo della “Regina dei ventagli” e me lo consegnò. “Non la conosco personalmente, ma so che fa veri capolavori. E’ Linda Bennati De Dominicis, aquilana”. E così eccomi in via Contardo Ferrini 11, a Porta Romana, di fronte a questa signora dolce, bassina, asciutta, i capelli innevati, in un salone inondato di luce che immetteva in un altro e in un altro ancora. Ventagli ovunque, alcuni incorniciati su una parete, altri appoggiati su una base di “plexiglass”, in una teca, su una sorta di credenza... Era il dicembre del 2006. La signora, quasi ottantenne, dopo avermi accolto con grande cortesia mi illustrò i vari pezzi, mentre la figlia Paola discuteva con una cliente. Parlava volentieri, con eleganza, e quando la sollecitai cominciò a sfogliare la sua biografia.
Roberts Firenze. Ventaglio pubblicitario. Bagnante con sfondo marino. Anni '30
Roberts Firenze. Ventaglio pubblicitario. Garofani. Anni '30
                                   
A farle scoprire l’amore per il ventaglio fu uno di questi aggeggi custodito in una “campana” su una bancarella in un mercatino rionale. Era un po’ sciupato ed ebbe l’impressione che fosse antico. Notò che nella guardia (la prima stecca) era inserito una bella figura di bambino in miniatura. Il prezzo la spaventò. Dopo due anni trovò lo stesso ventaglio in un’esposizione sul Naviglio Grande (forse il mercatone dell’antiquariato). Pioveva; e alla titolare, quella del primo incontro, disse che l’umidità rovina questi oggetti così delicati e insistette perché glielo vendesse. La donna si convinse e Linda se lo portò via, facendo un affare, perché dai suoi studi risultò essere del ‘700. “Allora cominciai a smontarlo per restaurarlo con colori a guazzo”. “Era pratica di pittura?”. “Mio padre, ebanista, toscano (mia mamma meneghina), aveva intuito le mie doti artistiche e mi aveva mandato a lezioni di pittura dal professor Bizzoni, all’Aquila, dove dopo qualche tempo i frati di San Bernardino istituirono una fabbrica di ceramiche assumendo un maestro di Castelli di nome Grue, e io fui l’unica donna ad essere impiegata nella pittura degli oggetti…”. A vent’anni si trasferì a Milano e andò a lavorare dall’argentiere Finzi, che aveva il negozio in via Manzoni e il laboratorio di porcellane in piazza Santa Maria Valle. “Loro avevano bisogno di una pittrice su porcellana e io ero pratica di pittura su ceramica, completamente diversa dalla prima, quindi provai imbarazzo. Ma superai la prova su un vaso e mi sciolsi. Dopo tre o quattro anni passai al Mediolanum in via Piranesi, al Palazzo del Ghiaccio. Quindi, il matrimonio, due figli e l’apertura con mio marito di un laboratorio nostro di dipinti su porcellana a terzo fuoco”. La seguivo con piacere, osservando il ventaglio a ricami che teneva in mano. “Alla morte di mio marito, mia figlia Paola lasciò gli studi di lettere antiche ed entrò nel laboratorio dando una mano con la tavolozza. Fece gli esami e divenne antiquaria…”. Ecco così un duo formidabile: le De Dominicis, che intrapresero anche la via delle mostre dell’antiquariato. La prima, a Cortona, in Toscana, nel ’95. Intanto Linda restaurava ventagli per l’Accademia etrusca di Cortona, di Modena e per il Castello Sforzesco, al quale donò 27 ventagli, e 70, dal ‘700 al ‘900, al Castello cinquecentesco dell’Aquila. Linda Bennati De Dominicis affascinava. Sarei rimasto lì fra tutte quelle preziosità per ore e ore a interrogarla.
Bivet Paris. Etichetta ''Parfum d'Eventail''. Gradevole composizione grafica. Anni '20
Si raccontava con calma, senza enfasi. “Il ventaglio, che proviene dall’antico Egitto, dove veniva usato nelle cerimonie solenni, è cultura, perché contiene storia, religione, geografia... Esistono ventagli romantici, da fidanzamento, da matrimonio, da teatro, da ballo, da lutto, a banderuola, a coccarda in tela pieghettata con montatura in madreperla, lillipuziani, detti così perché più piccoli…”. A Bruges – continuò – si producono ventagli di pizzo, stampati e ritoccati a mano. “Per eseguire la pagina (la parte più grande) le ricamatrici impiegavano anche otto mesi, lavorando negli scantinati, occorrendo una certa umidità per evitare che il filo si rompesse… e con il lume a petrolio…”. Mi riempiva di notizie; e dire che io conoscevo i ventagli adoperati durante la calura estiva. Ne posseggo tre o quattro come quasi tutte le famiglie. Altro che i “Grand Tours”, che i nobili francesi e inglesi - parole di Linda Bennati – tornando in patria portavano alle spose come “souvenirs”: nella pagina contenevano le riproduzioni dipinte dei monumenti di Paestum, Pompei, della tomba di Cecilia Metella, figlia di Q. Metello Cretico, sulla via Appia. Linda Bennati De Dominicis m’introdusse in un mondo meraviglioso, che ti cattura e non ti lascia andare facilmente. Almeno questa fu la sensazione che mi colse. Quando la salutai mi sentii più ricco. Mi promisi che sarei venuto nuovamente a farle visita; ma la vita, soprattutto quella di un cronista, porta ogni giorno su strade diverse. “Un giorno per noi non è mai uguale all’altro”, diceva Ruggero Orlando. E teneva lo “smoking” in ufficio perché all’improvviso si poteva presentare l’occasione per indossarlo. Dopo un paio di mesi in una libreria del centro sorpresi Elisabetta, la signora che alla cena di compleanno in trattoria aveva accennato ai ventagli. Stava consultando un paio di libri d’antiquariato, indecisa su quale comperare. Le parlai del mio incontro con Linda Bennati De Dominicis e mi rispose che la conosceva già. 

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