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mercoledì 30 gennaio 2019

La Milano dell’artista Nado Canuti


 
RACCONTAVA LA CITTA’ DI UNA VOLTA

E LA SUA AMATA CASA DI RINGHIERA 


Trasferitosi in via Fanfulla da Lodi, lo scultore realizza opere prestigiose che fanno il giro del mondo.

Con altri nomi diventati come lui famosi, frequentò il bar Giamaica,la latteria delle pie sorelle Pirovini e il locale di mamma Lina, tutti a Brera.

 

Franco Presicci*

Come ho detto un’altra volta su questa pubblicazione di Michele Annese, a me molto cara, delle case di ringhiera m’innamorai nel ’74, visitando per Telemontepenice, un’antenna pavese, quelle di via Borsieri, all’Isola, dove al civico 14 trascorse una notte Garibaldi. Almeno così si diceva. Un busto dell’eroe dei due mondi all’ingresso c’è, ma chi riferisce l’episodio lo fa con molta prudenza.
Canuti nel suo studio
Comunque, in quelle due ore passate in quella strada, che, all’alba del ‘900 e anche prima non godeva di buona fama, nonostante vantasse botteghe di artigiani laboriosi e valenti, oltre ai natali di personaggi come Silvio Berlusconi, Giulio Confalonieri, il re dei frigoriferi Giovanni Borghi…, presi la cotta, colpito dai balconi che corrono lungo le facciate. Era un sabato e da una cucina schizzò una voce: “Abbassa quella radio, per favore”, che è anche il titolo di un libro di Gianni Isola sull’ascolto radiofonico negli anni ’30. Cominciai così un pellegrinaggio per Milano, cominciando da corso San Gottardo, già borgo dei formaggiari, i cui cortili sono vicoli che sboccano in via Alzaia pavese, il naviglio che dalla darsena va a Pavia. Girovagando, mi ritrovai in corso Garibaldi, corso di antica data, tra l’altro noto per una brutale azione dei tedeschi che durante le Cinque Giornate del 1848, con l’appoggio di soldati boemi saccheggiarono un caseggiato di via degli Angioli, uccidendo un accendilampade municipale.
La casa di ringhiera
La casa che cercavo era al numero 89 (se non ricordo male) e mi era stata indicata da Franco Nasi, allora capocronista del “Giorno” che dopo la prima edizione si leggeva tutta la cronaca e con la sua scrittura minuta e ordinata interveniva dove era necessario. “Curioso come sei – mi disse - scriverai un bel pezzo con tutti gli artisti che v’incontrerai”. Sorpresa. Nel primo cortile (ce n’erano tre a zig-zag) m’imbattei in Mario Ligonzo, un tarantino che per anni aveva confezionato la prima pagina del “Corriere del Giorno”, assieme a Livio De Luca (grande abruzzese prestato a Milano, quindi a Taranto), e intanto dipingeva e in via Mignogna aveva una galleria d’arte, che ospitò pittori illustri, fra i quali Francesco Boniello (che suscitò grande ammirazione con un falso dichiarato di un quadro di Caravaggio eseguito da lui, esposto all’ingresso del suo “atelier”, allora in corso Umberto, vicino al ponte girevole). Fu Mario, con il quale ristabilii i rapporti, andandolo a trovare nel residence in cui alloggiava e al “Corriere della Sera”, dove era stato chiamato da Tito Stagno, a indicarmi gli altri pittori: Mario Bardi, che in ogni tela metteva un elemento barocco in omaggio alla sua Sicilia; Bertero;
Edizioni d'arte Severgnini,Comune di Lodi
lo scultore Nado Canuti, che lavorava in uno studio ampio e luminoso con entrata sotto un arco che prendeva aria dal terzo cortile, in fondo al quale signoreggiava un fico prolifico che con i suoi frutti a campana sembrava un albero di Natale fuori stagione. Canuti, appunto. Bussai alla sua porta e mi accolse con l’affabilità di un familiare, facendomi visitare lo studio e le tante opere che conteneva, sino a qualche giorno prima esposte in una personale intitolata “I racconti di padre”. Passando da un bancone ad un altro, Nado mi parlò della sua vita; della bomba che quando aveva 15 anni lo aveva privato di alcune dita; del destino di quella casa di ringhiera, insidiata dalla voglia dei milanesi di cambiare e dalla voracità del cemento armato… Dopo qualche anno le previsioni si avverarono: lo stabile venne spopolato, avvicinandosi la data della sua demolizione, e Nado trasmigrò in zona Loreto in via Fanfulla da Lodi, vicino al centro sociale Leoncavallo, da cui partivano i cortei che scuotevano Milano. Lo avevo perso di vista. Trascorsero gli anni e lo rintracciai per caso nel gennaio del 2006.
Opera di Nado Canuti
Gli telefonai, fissammo un appuntamento, ci riabbracciammo, mi chiese notizie, se ne avevo, della vecchia casa di ringhiera di corso Garibaldi; di quella di fianco, dove a suo tempo andavano a dipingere artisti famosi che venivano anche da Bergamo. Nado si commuoveva spesso quando si parlava dell’amata Milano sparita. “Diamine, ci vivo da più di quarant’anni; come faccio a non essere innamorato di questa città!… Prima ci ero venuto, qualche volta, per incontrarmi con Marco Valsecchi, critico d’arte del quotidiano ‘Il Giorno’… e con Franco Russoli. Frequentavo la galleria ‘Le ore’ di Fumagalli. Avevo già in mente di piantare la baracca a Milano, sollecitato dallo scultore Broggini e dal pittore aquilano Remo Brindisi, che acquistava le mie sculture per il museo della sua villa a Lido di Spina”. “Grande, Remo Brindisi”, lo interruppi. “L’ho intervistato più volte nel suo ‘atelier’ di via Pietro Calvi, anche quando Mimmo Dabbrescia lo inserì con varie foto in uno dei suoi volumi intitolato “Uomini e arte”. Nato a Bettole di Chiana, Canuti stava a Piombino, impiegato all’Ilva. Scolpiva e dipingeva nei momenti liberi, incoraggiato da Mino Maccari e da Pier Carlo Santini. “A Milano avevo un contratto con la Contemporarte, che vendeva porta a porta.
Nado Canuti e il tenore Mario Del Monaco nel '70
Mi ci aveva portato Maccari. In seguito conobbi Ottone Rosai, Orfeo Tamburi, lo scultore Quinto Martini, che cercava di dirottarmi a Firenze. Milano era il mondo degli artisti e vantava un fermento culturale di altissimo livello. Ero entusiasta. Nonostante i sacrifici che dovevo affrontare. Le tasche non languivano sempre”, grazie alla vendita di qualche opera; e quando era a secco c’erano le sorelle Pirovini, con le quali aveva accumulato un conto chilometrico Jbrahim Kodra, a dargli una mano. Erano religiosissime, una di loro insegnava catechismo nella parrocchia di San Marco e quindi non rifiutavano agli artisti il “pagherò domani”. Nado andava anche alla latteria-trattoria della Dina, in via Solferino, la via del “Corriere della Sera”, assieme a Dova, Bonalumi ed altri nomi diventati tutti famosi. Apripista Agenore Fabbri.
Copertina libro di Dabbrescia
Al bar “Giamaica”, la cui titolare era chiamata mamma Lina per il suo carattere autoritario, Canuti s’incontrava con Pietro Bianchi, critico cinematografico, e Giulio Confalonieri, storico della musica, entrambi del “Giorno” (poi il secondo traslocò al “Corriere”); con lo stesso Valsecchi, Salvatore Quasimodo, il musicologo Beniamino Dal Fabbro, il pittore Antonio Recalcati, Emilio Tadini, autore tra l’altro del libro “La lunga notte”. Del Giamaica era assiduo anche Kodra, che al suo arrivo a Milano, richiesto di tenere un discorso alla presenza di Mussolini, non conoscendo la nostra lingua, recitò in albanese i numeri da uno a cento intervallandoli con le parole “duce”, “fascismo”, “Mussolini”, “patria”, “vittoria”, le uniche che conosceva. “Era una Milano – dice Nado – in cui l’arte trovava nutrimento in tutte le avanguardie. Era anche una Milano più generosa. Gli artisti venivano accolti festosamente, facevano una mostra e vendevano tutto. Non perdevamo un ‘vernissage’, anche due o tre al giorno. Vi si offrivano formaggio, olive, salatini, pasticcini. I galleristi avevano un lungo elenco di appassionati sempre presenti, che non si limitavano alla visita: acquistavano anche.
Altra opera di Canuti
Bonalumi
Le inaugurazioni più numerose erano il giovedì e il venerdì. I critici Valsecchi, De Micheli, Russoli… recensivano le mostre… Una volta lasciai lo studio aperto per una settimana e nessuno toccò nulla: Milano era anche una città tranquilla. Ottimi i rapporti umani.Per il poeta Alfonso Gatto, “bella umanità… Milano era ricca di bella gente. C’era la nebbia e faceva freddo… Una città diversa con tante gallerie, tra cui la Boccioni di Nencini, l’Apollinaire di Guido Le Noci…”, alla quale, quando chiuse, Dino Buzzati dedicò un necrologio sul “Corriere d’Informazione”, diretto da Gaetano Afeltra. Buzzati e Le Noci erano amici; amico del gallerista, che andava spesso anche a Parigi ed era noto in tutta l’Europa, era anche Pierre Restany. Poi Canuti, che godeva dell’amicizia e della stima del tenore Mario Del Monaco, tornò al punto dolente: lo studio di corso Garibaldi. “Era enorme e vi faceva un freddo cane. Una mattina, dovendo ricevere una visita di Marco Valsecchi comperai tre stufe. Ma quando il critico uscì mi disse che forse nell’installarle si erano sbagliati: le stufe erano fuori non dentro”. Ha creato opere che sono andate in giro per l’Italia, con mostre prestigiose, che comprendevano monumenti alla Resistenza. Ha esposto in collettive a Palazzo Reale, al Castello Sforzesco, alla Permanente, alla Triennale…”. Di lui hanno scritto critici illustri. E’ un grande artista, Nado. Semplice, buono, ospitale, amante di Milano come pochi. Quando vi sbarcò dominavano gli urlatori, che imitavano i Platters (Tony Dallara, Betty Curtis…); trionfava “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli; al Gerolamo era in cartellone “Milanin Milanon”; la Feltrinelli faceva terno con il “Gattopardo” e il “Dottor Zivago”; Ermanno Olmi girava il film “Il posto”; era da poco apparsa la minigonna, che scandalizzava moltissima gente; il ministro delle Finanze Trabucchi emise una circolare in cui si chiedeva: ”… ma chi sono tutti questi ricchi? Indagare, indagare”. Le signore continuarono a fare avanti e indietro nei “foyer” di via Montenapoleone per farsi invidia a vicenda, tra lampi di macchine fotografiche. Presenti all’esecuzione del “Poliuto” Grace Kelly e il principe di Monaco Ranieri, Onassis ed altri “vip”. Quant’acqua è passata sotto i ponti.

*La Redazione di "Minerva News", insieme agli amici lettori, esprime al giornalista  Franco Presicci un sentito ringraziamento per la Sua preziosa collaborazione al  giornale, assicurata anche in presenza di crisi di salute.
Al dott. Presicci auguriamo tutti un buona guarigione, auspicando di averlo come insostituibile sostenitore, per lunghi anni ancora. 
Il direttore Michele Annese  

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