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mercoledì 3 novembre 2021

ENZO VALLI, ATTORE NOBILE E PRESENTATORE / In calce: ‘U SUE’NNE(filastrocca sulla cozza tarantina) di Franco Presicci - UNA PROPOSTA PER TARANTO

Enzo Valli
RIDETTE VITA AL PERIODICO 

‘”U PANARIJDDE” FONDATO NEL 1902 DA

VINCENZO LEGGIERI

 

Lo storico giornale aveva avuto tra i

direttori Alfredo Lucifero Petrosillo,

commediografo e poeta, autore pure

d’“’U travàgghie d’u màre” Valli, al

secolo Vincenzo Murgolo, era un

figlio d’arte, noto e stimato non solo 

nella Bimare.

 

 

Franco Presicci

Una mattina degli anni 80, fra lo stupore dei cittadini più anziani, nelle edicole di Taranto ricomparve “’U Panarijdde”, il periodico satirico umoristico fondato nel 1902 da Vincenzo Leggieri, dialettologo e tipografo.

Non era stato preceduto da suoni di tromba o da grancasse pubblicitarie; e ai meno attenti era sfuggito. A dirigerlo era Enzo Valli, al secolo Vincenzo Murgolo, che aveva seguito le orme del papà, maresciallo dei vigili urbani, sui palcoscenici della Bimare e non solo, dimostrando il suo talento di attore. Partecipò tra l’altro come protagonista e regista in tante commedie, in lingua e in vernacolo, del Teatro stabile “Emanuele Murgolo”, intitolato al padre. Lo conobbi personalmente quando avevo vent’anni: un eccellente giovanotto, con un chiosco di alimentari in piazza Marconi, mercato che in seguito venne trasferito in piazza Fadini. Era alto, generoso, disponibile, cortese. Erano i tempi di interpreti come Mirabile, Casavola, Murianni…, tutti bravi anche nella vita. 

Diego Marturano
Quando ci incontravamo, l’argomento preferito di Enzo erano le opere dei nostri poeti, scrittori, commediografi, da Diego Marturano ad Alfredo Nunziato Majorano, a Bino Gargano, ad Alfredo Lucifero Petrosillo … Avevo l’impressione che sapesse quasi a memoria alcuni dialoghi di ’U cuèrne de Marije ‘a canzìrre” di Marturano, autore fra l’altro di quella commovente, elevata poesia “’U relògge d’a chiazze” e di altre. Ricordava anche “’A stutàte” di Majorano, che tanto piacque a Rizzo, il direttore de “La Voce del Popolo”, tranne la battuta finale del padre che scopre la figlia e il fidanzato nell’atto di scambiarsi un bacio. Avrebbe dovuto, per Rizzo, valente critico teatrale, esprimere perplessità senza profferire parola. 

Il Ponte girevole
 

Nella sala del cinema Dopolavoro Ferroviario, quella sera, c’era anche Saverio Nasole, che ha lasciato versi deliziosi, ancora oggi recitati. Taranto ha una ricchezza di poeti. Un ceramista della città vecchia, Santoro, mi regalò in fotocopia una quindicina di pagine del 1959, titolo “Le nuove canzoni tarantine” del Complesso folkloristico “Armonie dei due mari” diretto da Saverio Nasole, in cui, fra disegni di Ila Vincenzo Greco, leggo “’’U cucchière”, versi e musica di Saverio Nasole; “’A ferbaròle”, musica di Saverio Nasole”; “Ci ‘a pìtte ‘sta cìttà”, musica di Nasole e versi di Carmelo Tommaso Imperio, che negli ’60 fu direttore dell’Enal, con la passione per il teatro. 

Piero Mandrillo
Assistetti con Piero Mandrillo al Circolo Sottuffuciali alla commedia “Trenta secondi d’amore” della filodrammatica dell’Ente, che aveva la sede in via Di Palma, sul Teatro Odeon. Enzo Valli era sostenitore del vernacolo. Nel 2000, ripescandolo, diresse “Uelìne ‘u panarijdde”, dove rendeva omaggio anche all’ispirazione di Carmen Adamo. Lo ammiravo e gli volevo bene. Era dinamico, pieno di idee, legatissimo alla città. Dette la sua collaborazione a una tv privata che valorizzava il vernacolo, svolgendovi vari ruoli, e ottenne molti consensi anche al di fuori dei confini della Bimare. Lo incontrai un giorno, dopo tantissimo tempo (ero già a Milano), sotto casa sua. Mi venne incontro e mi abbracciò calorosamente. Mi fece tante domande e io ne feci a lui. E andammo indietro nel tempo, quando Enzo era un attor giovane con una strada già aperta a una carriera brillante. 
Mar Piccolo
Mi parlò di Taranto, ricordò la figura di Falcone, altro noto attore e regista ben collaudato, che provava al circolo dell’Arsenale, con attori di ottimo livello, fra cui Murianni, che lavorava non ricordo se all’Arsenale o al Cantiere Tosi, personaggio che dominava il palcoscenico anche per la sua statura. Notevole sulle scene anche D’Andria, persona cortese e rispettosa. Questi i nomi rimasti nella mia memoria, ma ce n’erano molti altri. La signora Casavola mi fece l’onore di recitare nella commedia di Majorano “’A Sànda Mòneche”, al Circolo dei Marinai, nel corso di una festa della matricola, fra gli applausi del pubblico e dell’autore, che poi scrisse su “La Voce del Popolo” un commento lusinghiero, augurandosi che noi mettessimo in piedi il teatro universitario a Taranto come quello di Bari, che venne a recitare alla grande fra i due mari un testo di Jean Anohuil.
 
Lungomare
Eravamo infatuati del teatro. Fra gli studenti, soprattutto il simpaticissimo Minguccio Montrone, che poi divenne direttore delle Poste, se non sbaglio a Varese, e Ninì Vanacore, che, mi riferirono, si guadagnò un rispettabile successo nell’ambito dello spettacolo. Enzo Valli continuava la sua strada, mietendo consensi, anche autorevoli. Ne aveva accumulati sin dal giorno del suo esordio, nel ’46, c on il nel Teatro Stabile di Taranto, con il quale nel ’48 apparve alla ribalta del Teatro Orfeo con “I figli di nessuno”. Successivamente fece un giro per l’Italia nella veste di presentatore in una compagnia di avanspettacolo, arricchendo la sua esperienza e incrementando la sua popolarità. Ma il primo amore non si scorda mai, e rieccolo in teatro a Roma. E poi ancora presentatore in manifestazioni canore con Mario Merola, Sergio Bruni, Miranda Martini… E ancora presentatore alle semifinali di Miss Italia. Vinse premi, collaborò con Enzo Tortora, fu amico di Walter Chiari… Insomma un bel “curriculum”, vissuto anche su scala nazionale. 
 
Alfredo Nunziato Majorano

Nel gennaio del 2007, trovandomi tra le mani “Uelìne ‘u panarijdde” (ca no tène pìle sus’a lènghe) edito da lui, ebbi il piacere di leggere “’U sfòghe de Memème ‘a frusckelòne”, “Strìtte ca ère… càvete ca facève” e una splendida poesia di Claudio De Cuia, poeta consacrato oggi ultravovantenne, del quale avevo da poco riletto “Arie de Pasche”, pubblicato da Mandese. Mi tornarono alla mente a valanga i miei anni giovanili, i miei contatti con Tommaso Carmelo Imperio, di cui presentai un libro di poesie, “Contrasti”, nella sala di rappresentanza dell’Amministrazione provinciale, presenti, fra gli altri, la poetessa Anna Tancorra e il vicequestore Barbalucca. Accennai anche a Vincenzo Leggeri, che aveva fondato il primigenio “’U Panarijdde” nel 1906 nella sua tipografia alle spalle dell’Ospedale Santissima Annunziata, dove era primario traumatologo il professor Michele Pierri, grande poeta in lingua, che nel 1948 ebbe una rilevante segnalazione al Premio St. Vincent di poesia e Giuseppe Ungaretti lesse in pubblico alcuni suoi versi. Il dialetto è musica per me. 

La Concattredale

Sono cresciuto “c’u Panarijdde”, che aveva avuto sulla plancia anche Alfredo LuciferoPetrosillo, autore prolifico e amabile. All’epoca di Leggieri moltissimi leggevano “’U panarijdde”, che poi passava di mano in mano. E quando tornò in vita con Enzo Valli tanti anziani si dissero felici, come lo erano stati quando prendevano il progenitore. I giovani non ne avevano sentito mai parlare ed erano meno interessati alla parlata del popolo, che Majorano andava ad ascoltare “abbasci’a marìne”. A portarmi una copia del periodico era stato un mio parente, lo sfogliai subito e telefonai a Enzo congratulandomi per l’dea che aveva avuto. Lui torno a rispolverare gli anni giovanili, ricordando che era stato il padre, attore nobile, a cooptarlo nel 46 per una parte in “Eva in vetrina” di Guglielmo Giannini. Enzo dimostrò di avere talento e fu spronato. 

Poi venne il cinema ed eccolo protagonista nel film “Vedova del trullo”, con Rosa Fumetto, Renzo Montagnani…. Quanti ricordi, quanti successi: la vittoria al Festival nazionale di prosa di Pesaro con “In nome del padre” di Cesare Giulio Viola, l’autore drammatico che nel ’24 aveva ispirato a De Sica, con il suo “Pricò”, “l bambini ci guardano”. Di Viola vidi al Teatro Orfeo “Venerdì Santo” con Emma Gramatica ed Elsa Merlini. Se non sbaglio, c’era anche Paolo Carlini. Non mi limitai a telefonare a Enzo. Scrissi anche un articolo, che lo commosse. Mi capitò di parlare tra amici di Enzo a Milano in occasione di una serata per la Bit al circolo dell’Unione del Commercio, dove mi aveva invitato Dino Abbascià. 

Via Dante
Sentii un gruppetto di ospiti, che, seduti a un tavolo vicino a quello occupato da me, dal professore Francesco Lenoci e da altri, parlare di Taranto, della Mostra d’arte contemporanea, svoltasi nel ’51, del teatro amatoriale e non, delle cozze tarantine, che erano l’oro della città e tesi le orecchie. Lenoci, sempre curioso, mi interrogò su quegli argomenti, soprattutto sulla rassegna artistica, sulla quale avevo scritto un articolo pubblicato da “L’Unità”. E concludendo sul teatro, accennai ad Enzo Valli e in breve alla sua carriera. Mentre il gruppetto i tarantini a tratti usavano il dialetto e ci arrivavano vocaboli come “splennòre”, “grand’ome”, “’mennelècchie” “lippe”… Li usavano con gradevolezza, incastonandoli nelle loro conversazioni. Mi vennero in mente le commedie a cui avevo assistito o che avevo soltanto letto e i vari interpreti. Poi volò la parola furbòne. Ce ne davamo tanti da ragazzi, incrociando le dita, soffiando aria nel palmo delle mani tenute a coppa e colpendo sulla nuca i compagni di gioco. Lenoci tornò a chiedermi di Enzo Valli, e subito dopo mi accorsi della presenza di Costa, presidente dell’Ente per il turismo di Taranto, e andai a salutarlo. Enzo aveva visto la luce il 7 ottobre del ’31. Ed è morto all’età di 88 anni nel gennaio del 2020. L’ho saputo tardi e per caso, intrattenendomi con un amico sui vecchi tempi tarantini, così lontani e così presenti in ogni momento.

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2021 - Pescheria via Galeso - Taranto

 

U SUE’NNE

di Franco PRESICCI

(2^ "filastrocca" sulla cozza tarantina. La 1^ è stata pubblicata sul precedente articolo "Il viaggio in volo affascina").



 

 

 

 

DALLA VOCE DELL'AUTORE:

 

 

DAL TELEFONINO:  'U suenne


U SUE’NNE


Je no’nge vòche ssèmb’o mercàte d’u quartìere

camenànne pòzze pùre scunecchiàre

e ‘u bastòne no’nge avàst’a fàrme stà’ ’mbìede

Na matìne, ère ‘nu splennòre de sciurnàte

sènze mànghe ‘na jatàte de vìende

accumbagnàte d’a segnòre

lemme-lemme hàgghi’azzardàte

e passànne da ‘nu bànghe a l’òtre

mere ‘nnànde, mère rète

a mmàna dritte e a mmàna tòrta

hàgghie sendùte ‘na vòsce da trumbòne

ca candàve: “Accattàte ‘ste gàmmare, ste pùrpe

uardàte quànd’e jè bbèdde ‘stu dentàte

zùmbe angòre, accùm’a ‘n’angelìedde

e le calamàre, le sècce, le sàreche

le sàrde le dòche a sùle quàtt’eure

e le còzze, po’, so ‘na raretàte

pròpete bbòne so’, m’avìta crèrere

mduvenàte d’addò me l’hànne mannàte

da Tàrde, ‘u paìse d’addò avègne pur’je

le canuscìte le còzze tarandìne?

Accùme le vulìte cucenà’? V’u ‘mbàr’je

a racanàte, ‘a puppetègne, ‘a scapèce

o ‘a marenàre.

A fàcce d’u culòre d’a castàgne, màzze e jrte

le capìdde mìenze viànghe e mìenze gnùre

facèv’a mòsse de sunà’ ‘u viulìne

e repegghiàve ‘nzurdescènne.

Tòtte ‘na vòte ‘nu vecetàre ‘n’accattò’ ddò chìle

e se ne scì’ cundènde, cu tànde de surrìse

ndramènd’a mmè’ me ferfèv’u sànghe

secùre ca chìdde còzze

no’ng’èrene d’u sciardìne d’u Mare Peccerìdde

U pesciauèle, pe’ capacetàr’a ggènde

fòrs’avève ‘nzeccàte indr’a mamòrie

nguàrche cìgghie d’a parlàta nòstre

e l’ausàve pe’ vandà’ mègghie ’a mercanzìe

A mmè’ no’nge me dè’ prescièzze

mettèrm’a descòrrere cu ceccessije

ma ‘o pesciauèle m’avenève da dìcere

Cumbà’, ’a còzza tarandine jè ‘n’òtra còse

na meravìgghie, ’na reggìne, ‘nu capetàle

n’‘accellènze, mèrete respètte, anòre

mbàcce ‘a jèdde accòrr’ascenucchiàrse

le còzze ca stònne arruccàte sus’a ‘stu bànghe

no’nge dìche ca no sso’ bbòne

ma no sso’ de Màre Pìcce

na vòte t’hàgghie dàte adènzie

peccè da tànda tìembe tenèv’u spiùle

e ‘u sapòre no’ng’ère quìdde ca sacc’je”

Ma s’je aprèv’a vòcche e pretecàve

Attìend’a a no’nge fa’ sendè’ ‘a fòdde

putève sciucà’ ‘na brùtta càrte

ggià ‘u pesciauèle parèv’appezzecalìte

Accussì cangève stràte penzànne

ca s’addà defènner’a còzze ca n’appartène

ce dìce ca jè l’òre d’a cetàte dìce ggiùste

sarà ‘u màre, ’a maistrìe, ‘u ggènie de le sciardenìere

a còzze ca nàsce abbascie ‘a Marine

no se po’ ‘mbarendà’ cu l’òtre

no’nge l’assemègghie.

Po’… ‘nghiùmma-‘nghiumme m’hàgghie descetàte.


                                                                   Franco Presicci

     

                               

UN MONUMENTO ALLA COZZA TARANTINA A TARANTO

UNA PROPOSTA DA ACCOGLIERE SIMILMENTE ALL’INIZIATIVA DEL COMUNE MODENESE

Castelfranco Emilia dedica un monumento al ‘tortellino’

Castelfranco Emilia, lungo la via Emilia fra Modena e Bologna, è la ‘patria’ del tortellino: nonostante le eterne rivalità fra le Due Torri e la Ghirlandina, la leggenda racconta che qui nacque la pasta che è emblema dell’Emilia. E proprio per celebrare questa sua lunga tradizione culinaria, la città di Castelfranco ha dedicato un monumento al tortellino tradizionale, in piazza Aldo Moro. 

L’opera è firmata dallo scultore Giovanni Ferrari di Pavullo.  

Nel bronzo è stata rappresentata la ‘famosa’ scena della genesi del tortellino, celebrata anche dal poeta Alessandro Tassoni: si narra infatti che il tortellino sia stato ideato all’osteria Corona di Castelfranco, dall’oste che aveva spiato l’ombelico di una bella signora, ospite della sua locanda. Il monumento raffigura quindi il curioso gestore dell’osteria che sbircia, attraverso un ideale buco della serratura, la bella dama che si sta spogliando: al centro sta il tortellino, re della tavola di Castelfranco e di tutta la regione. Le sculture sono incastonate in una fontana.











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