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mercoledì 27 ottobre 2021

IL VIAGGIO IN VOLO AFFASCINA / In calce: ‘A COZZA TARANDINE di Franco Presicci - UNA PROPOSTA PER TARANTO

 

IL SINDACO DI SAN FRANCISCO

SORVOLO’ MILANO IN DIRIGIBILE

 

Balcone in cielo
La signora Dianne Feinstein e il suo

seguito godettero la vista della città

dall’alto, un panorama splendido,

ammirando i merletti architettonici

del Duomo, il Naviglio Grande, che

scorre silenzioso e placido, le ville

patrizie della Brianza, i castelli…

Da aggiungere la gioia del volo, del

treno, del mare, testimoniata nel

museo di Ranco, oggi di Volandia,

creato da un Mito: Francesco Ogliari.


Franco Presicci



Doveva essere settembre dell’81, quando un dirigibile sorvolò il Duomo, i navigli, le cascine, San Siro... Si portava in pancia il sindaco di San Francisco, la signora Dianne Feinstein, il suo collega meneghino Carlo Tognoli e altre autorità. Si sollevò dall’aeroporto civile di Bresso, collocato fra Cinisello Balsamo e Sesto San Giovanni, fra cui s’incastona il Parco Nord.

Pronti al via

Il dirigibile rimase fermo sul piazzale per qualche ora, in attesa di completare il carico, e qualcuno tra il manipolo di cronisti ansiosi di prendere il volo anche loro, tra cui il solito furbo che cercava di sgattaiolare lasciando i colleghi con tanto di naso, accennò a una storia sommaria di questo aeroporto, sorto ai tempi della prima guerra mondiale, quando la Breda estese la sua attività agli aerei militari, dopo che nel ’77 aveva iniziato il suo servizio civile, utilizzando aerei da turismo. Già nel ‘60 aveva accolto l’Aereo Club Milano, creato nel 1926, con una scuola di volo. Negli anni lo spazio dello scalo si è ridotto, ingoiato da un grosso polmone di verde. Per la cronaca, dolorosa, nel marzo del ’72 vi trovò la morte Roberto Crippa, pittore e scultore (nel ’50 aveva firmato il terzo manifesto dello spazialismo), precipitando con un velivolo. Feci di tutto, quel giorno, per intrufolarmi fra gli “aviatori”; e non riuscendovi, evitai di essere fatto a pezzi dalla concorrenza. Mi limitai ad osservare con invidia l’aerostato a forma di fuso della nonna alzarsi e cominciare a navigare, fino a scomparire oltre i palazzi.

Si va verso i monti

Un signore che stava vicino al proprio velivolo spalancò gli occhi quando gli chiesi di prendermi a bordo, in cambio del pagamento del carburante, e seguire il dirigibile.

Catalogo del museo

 
Al giornale il capocronista Enzo Catania era convinto che sarei riuscito a spiazzare gli altri, e quando mi vide rientrare, subito, dalla faccia che avevo, capì che non ce l’avevo fatta. Mi aveva fatto interrompere un giorno di ferie e addirittura riservato un ampio spazio sul giornale, che non fece fatica a riempire. Non potevo proprio infilarmi tra assessori comunali, vicesindaco e alcuni sconosciuti, probabilmente dello “staff” del primo cittadino Usa. L’aerostato – dissi quasi scusandomi - dotato di timoni e propulsori, non è un treno, e ha quindi una capienza limitata. Catania si mise l’animo in pace e buonanotte ai suonatori. Rimasi a terra anche il 2 giugno dell’84, alla festa del Naviglio Grande. Per ricordare l’introduzione del gas metano in città e il primo decollo italiano che Paolo Andreani aveva compiuto il 13 marzo del 1784 levandosi da Moncucco su un mezzo di 23 metri di diametro, fatto costruire a proprie spese, era stata programmata una competizione fra 12 palloni con partenza appunto dal Ticinello. Ma poco prima dell’ascesa nuvole minacciose s’addensarono, oscurando il cielo, e fu grazie agli ombrelli che molti si erano portati appresso se le sponde del canale non rimasero deserte, quando la pioggia cominciò a cadere furiosamente.


Si entra nella cesta.A destra Presicci

Dopo l’acqua impetuosa, la nebbia, che non scoraggiò uno dei comandanti, noto per le sue imprese ardite: in un attimo entrò nella navicella, con un operatore della Rai, e mollò l’ormeggio, incurante dei bollettini prudenziali forniti da Linate. Anche quella volta seguii malinconicamente con lo sguardo il pallone che andava sempre più in alto per finire inghiottito dalla foschia, mentre un paio di scafi, orfani dell’esibizione non competitiva di fuoribordo, solcarono l’acqua, dando prova di grande bravura. Alle 9 si era svolto il XII Rally dei Navigli, organizzato dal Touring Club e dall’Associazione Marinai d’Italia, con kajak, gommoni, bagnarole, zatteroni spinti da pale a ruota.

 

Vigili del fuoco all'opera


 

 

Il pubblico si rimpicciolisce

 

 

 

 

 

 

La vittoria andò al Gruppo Milano Canoa: quattro ragazzi in gamba, elogiati dal sindaco Tognoli (mesi fa ucciso dal Covid), accolto dalla banda di Gaggiano, con gli assessori Gianstefano Milani, Guido Aghina, Angelo Capone e la madrina della manifestazione Oriella Dorella. Nel chiosco del Comune, quell’anno allestito in darsena, alle 17, quelli che non avevano voluto darla vinta a Giove Pluvio tornando a casa, uscirono allo scoperto, come le patelle dopo un rovescio: alcuni dagli studi dei pittori di vicolo dei Lavandai, altri dalle botteghe, dai ristoranti dell’alzaia, e ripresero a passeggiare, ammirando la mostra “Montmartre e i suoi cortili”.

   
 
Tanti personaggi l’avevano abitata: il “Bagattin”, che rappezzava le tomaie con una tale abilità da far sembrare nuove le scarpe; il “Trombetta”, che aiutava il proprio udito infilandosi nell’orecchio un corno di bue; l’artista Guido Bertuzzi, che da giovane aveva giocato nel Milan ed era amico di Bearzot e del campione della pedata Giovanni Lodetti; Aldo Cortina, che era stato allievo di De Pisis. Su questa via liquida per secoli andarono silenziosamente i barconi in ferro con il loro carico di sabbia, carne e altre merci, come il marmo di Candoglia destinato alla Fabbrica del Duomo. L’ultimo viaggio, il 31 marzo del ’79. Storia lunga, con qualche pagina nera, che un papà, sul Pont de Prèja, raccontava al suo ragazzo, compreso l’episodio del 1257, quando per decisione del podestà Beno da Gozzano, si volle portare il Naviglio Grande da Abbiategrasso a Milano, ricorrendo a nuove tasse.
 
Una mongolfiera
Ma venne coinvolto nel pagamento anche il clero, fino ad allora esente da ogni imposizione, e tonache e sai si allearono con il popolo, sorsero tumulti, il podestà fu ucciso e gettato nel Ticinello. Qualcuno poi giurò di aver visto da qualche parte il suo fantasma. Sotto la tettoia di vicolo dei Lavandai un cantastorie avrebbe fatto rivivere la vicenda, se non fosse stato zittito dai tuoni e dai fulmini, che cancellarono anche un albero della cuccagna in versione acquatica e un numero di sci nautico. Anche qui i racconti si sprecavano: una volta sulle acque del Naviglio Grande navigava il “barchett de Boffalora”, uno scafo sgangherato e lento entrato in servizio nel 1777. L’ultimo titolare volle dargli un po’ di energia e per renderlo un tantino più puntuale, rincarò troppo il costo del biglietto, scoraggiando così gran parte degli utenti. Allora per evitare di fare una figuraccia, pregò amici, conoscenti e familiari di occupare i posti lasciati vuoti. Nel 1879 il “barchett”, descritto in modo icastico da Paolo Valera e da altri, venne sostituito dal “Gamba de legn”, che sbuffando filava sulla strada a una velocità per quei tempi sostenuta.
 
Gara di aerostati
Tornando sui nostri passi, il nobiluomo Paolo Andreani, nato nel 1764, fu un antesignano del volo. Quando era giovanissimo, a un anno di distanza da quella dei fratelli Mongolfier, organizzò un’ascensione in aerostato: ne fece costruire uno di 23 metri di diametro e entrò nella cesta nel giardino della sua vila di Moncucco, nei pressi di Brugherio, con due falegnami con il compito di governare il braciere, atto a produrre aria calda che teneva gonfio il pallone. Raggiunse i 1800 metri di altezza, rimase in aria 25 minuti, tenendo con il fiato sospeso amici, parenti e una folla di persone. L’avvenimento, straordinario, del 13 Marzo del 1784 non ebbe seguito e il conte dirottò sul turismo, scrivendo un “Diario di viaggio di un gentiluomo milanese”. Morì a Nizza nel 1824. Dopo di lui, toccò a Celestino Usuelli che, nel 1910, costruì il suo primo dirigibile, poi compì molte ascensioni, delle quali una indimenticabile in pallone, che partita da Milano, attraversò le Alpi. Nel 1928 si levòì da Baggio il dirigibile “Italia” per la seconda trasvolata polare di Umberto Nobile. Il volo era nel cuore dei milanesi: nel 1877 Enrico Forlanini fece salire una macchina a motore dopo che per tre anni si era dato da fare per la costruzione di dirigibili. Nel 1913, utilizzando una sottoscrizione di cittadini meneghini, fabbricò il dirigibile “Città di Milano”. Forlanini, a cui è intitolato l’aeroporto di Linate, è considerato un mito. Sperimentò sul lago Maggiore un idroplano e progettò anche un elicottero a vapore. 
Elicottero polizia. Al centro Presicci
Francesco Ogliari, grande esperto dei trasporti, ha lasciato scritto in uno delle sue centinaia di volumi, che è “lecito affermare che, oltre ai tanti primati nazionali detenuti, Milano può anche vantare un contributo concreto e decisivo alla storia del volo umano. Non solo con i suoi ‘cervelli’, ma anche mettendo a disposizione degli sperimentatori il suolo e le sue strutture”. Tra quei cervelli bisogna aggiungere Gianni Caproni, di Massone di Arco di Trento, che faceva volare i suoi aerei nella prima guerra mondiale. Francesco Ogliari, a cui si deve fra l’altro il Museo Europeo dei mezzi di trasporto di Ranco (poi trasferito a Volandia) è ricordato anche da Francesco Alberoni: “Ogni anno ho il privilegio e la gioia di vivere, per un po’ di tempo, in un mondo dove i prodigi della scienza e della tecnica arricchiscono la società umana fondamentalmente stabile nei costumi e nei suoi valori. E questo lo devo all’amico Francesco Ogliari, grande umanista del nostro secolo”. Anni fa uscii arricchito da un incontro con Ogliari. Mi ricevette abbracciandomi e con lo stesso gesto mi salutò. Mi regalò l’Enciclopedia dei Trasporti (un centinaio di volumi), che mi fu molto utile, quando, dovendo scrivere la cronaca di una notte tempestosa sul “Concordia” in navigazione sul lago di Como, per la prefazione di un libro di Emilio Tadini, “La lunga notte”, sulle pagine di Ogliari trovai tutte le notizie necessarie su quella nave, che aveva avuto a bordo anche regnanti italiani e stranieri.
 
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 DALLA VOCE DELL'AUTORE:
                                 


'A cozze tarandine di Franco Presicci
                      

 

‘A COZZA TARANDINE 

di Franco PRESICCI

UNA PROPOSTA PER TARANTO

 

 

 

A còzza tarandìne jè bbèdda assèje

a vìte sus’a ‘nu bànghe d’a marìne

e te ‘’nnamuère

po’ l’àpre, t’a mànge e jè ‘nu decrìje

jè averamènd’òre d’u paravìse ca jè Tàrde

ce dìce ca no’nge ’a canòsce jè ‘nu busciàrde

o vo cu fàce sulamènde ‘na lùffe

Indr’a tùtt‘u mùnne sàpene ‘u sapòre

l’addòre de ‘stu besciù

tu’ arrìve ‘nzìcca-‘nzìcche a ‘na lambàre

o ‘ngàt’a duàne e ‘nu giuvenòtte ‘nzìste

lùcchele: “Na, assàggele, sta delìzzie”

e tu se no l’assàgge t’a cumbessàre

So’ ‘nguraddàte,’ ste còzze,

uàrdele, lìscele, attaccàt’angor’a zòche

sus’a ‘nu pundìle de Màre Pìcce

M’hàgghi’abbuffàte de còzze quànne stàve a Tàrde

Ògne mercrudìe scève a via Garebbàlde

apprìesse a ‘n’amiche pressòre de tagliàne

e da lundàne sendève ggià ‘a vòsce de Memime Micoli

“’A vuè pruvà’ ‘na còzze? Mène, ca te prìesce ‘a vòcche”

e ‘u furastìere facève sìne cu ‘a càpe, surredènne

Je e l’amìche ca se mundevàve Mandrille

no’nge ne facèveme prià’

Memine le teneve indr’a ‘nu gruèsse piàtte cuppùte, de crète

nu mundòne, c’addacquàve

le pegghiàve, l’aprève e allungàv’a màne

decènne: “Sìende ce amòre ca te dè’ ‘sta còzze”

mìenze chile appedùne, cu ‘nguàrche spuènze

na decìne de còzze pelòse, ddò’ nùce

tret’o quàtte vònghele, ‘nu pàre de rìcce

e ‘nu cannelìcchie

Mandrille le scè spizzecàve pùre sott’u spetàle vècchie

ca stàv’a le spàdde de via D’Aquine

A còzza tarandìne jè ‘nu tresòre

pùr’u nòme, còzze, m’ènghie ‘u còre

arruccàte accùme stòche

indr’a ‘na cetàte ca no’nge jè a mèje

e no’nge ve cònde ‘u spiùle ca m’avène

Mò m’addumànne, mangupàte

Hònne fàtte ‘u munumènd‘o cavàdde, ‘o ciùcce, o càne

peffin‘a sègge

peccè no’nge ‘u vo’ cu fàcene pur’a còzze

ca jè ‘u capetàle de Tàrde?

Mettìmele ‘na ‘zegne a ‘ngòrchie vànne

macàre mmìenz’a Rotònne

mbàcce ‘o palàzze d’u Guvèrne.

                                              

UN MONUMENTO DELLA COZZA TARANTINA A TARANTO

UNA PROPOSTA DA ACCOGLIERE SIMILMENTE ALL’INIZIATIVA DEL COMUNE MODENESE

Castelfranco Emilia dedica un monumento al ‘tortellino’

Castelfranco Emilia, lungo la via Emilia fra Modena e Bologna, è la ‘patria’ del tortellino: nonostante le eterne rivalità fra le Due Torri e la Ghirlandina, la leggenda racconta che qui nacque la pasta che è emblema dell’Emilia. E proprio per celebrare questa sua lunga tradizione culinaria, la città di Castelfranco ha dedicato un monumento al tortellino tradizionale, in piazza Aldo Moro. 

L’opera è firmata dallo scultore Giovanni Ferrari di Pavullo.  

Nel bronzo è stata rappresentata la ‘famosa’ scena della genesi del tortellino, celebrata anche dal poeta Alessandro Tassoni: si narra infatti che il tortellino sia stato ideato all’osteria Corona di Castelfranco, dall’oste che aveva spiato l’ombelico di una bella signora, ospite della sua locanda. Il monumento raffigura quindi il curioso gestore dell’osteria che sbircia, attraverso un ideale buco della serratura, la bella dama che si sta spogliando: al centro sta il tortellino, re della tavola di Castelfranco e di tutta la regione. Le sculture sono incastonate in una fontana.



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