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mercoledì 19 gennaio 2022

La vita professionale di un pilastro del giornalismo

VITTORIO MONTI, INVIATO SPECIALE

DEL QUOTIDIANO DI VIA SOLFERINO

Il libro di Vittorio Monti

Ha scritto un libro bellissimo e molto

interessante: “Un panda estinto”, che

si legge con grandissimo piacere.

Monti racconta, con uno stile nobile, senza

Fronzoli, le difficoltà, i sacrifici, le partenze

improvvise, gli imprevisti, i problemi spesso

affrontati per mandare l’articolo in redazione.

Inviato di grande prestigio, ha informato i

lettori di quello che negli anni è successo nel

mondo,da un colpo di Stato a un’alluvione, a un

sisma.


Franco Presicci

L’inviato speciale è un vagabondo curioso con una gran voglia di conoscere luoghi e persone, peccati e virtù di chi abita nei luoghi più lontani e a volte sconosciuti. Quando gli capita di fermarsi scalpita, perchè il suo tetto è il mondo. La sua casa anagrafica resta in piedi perché ha una moglie eroica, e se non lo è il castello corre il rischio di crollare. 

L'insegna del Corriere

L’inviato ha le valigie sempre pronte vicino all’ingresso ed è pronto a scattare alla telefonata che può arrivare anche in piena notte: con il mezzo più rapido deve trovarsi sulla scena di un avvenimento clamoroso, cercare testimoni, investigatori, ascoltarli con prudenza, analizzare, trarre conclusioni meditate, cercare di snidare l’invisibile o la verità nascosta. Qualcuno ha detto che somiglia a un commesso viaggiatore. Non è vero: l’inviato scatta quando riceve la chiamata del comandante della nave, vive ore febbrili, e quando ha tutto bene ordinato in testa o sul taccuino, deve scrivere il pezzo e farlo avere al giornale nel più breve tempo possibile. Il suo non è un viaggio turistico, ma un lavoro di grande responsabilità soprattutto verso il lettore, che giudica severamente. Con tutte le cose che accadono a Dubai o a New York, nel Nord o nel Mezzogiorno del nostro stivale, dovrebbe avere il dono dell’ubiquità: qui un colpo di Stato, lì una sommossa, altrove un ‘alluvione, un terremoto, un atto di terrorismo, un incendio che incenerisce un grattacielo. 

Il ristorante Rigolo

Vittorio Monti, bolognese, inviato speciale de “Il Corriere della Sera”, di galoppate ne ha fatte tantissime. Il l giornale ha i suoi ritmi; e per realizzare un servizio occorre la velocità di Alberto Cova. Monti non ha mai mancato un appuntamento, non è mai arrivato in ritardo, con l’occhio dell’aquila ha visto la preda da lontano e quando si è messo davanti alla macchina per scrivere ha ricostruito i fatti con un notevole pregio narrativo, senza mai inzuccherare la notizia, taroccarla, enfatizzarla. L’ha irrorata, nel senso che l’ha arricchita di ogni particolare. Da quello che scrive dipende la sua attendibilità. Il lettore non perdona, ma per sua coscienza il giornalista non lascia spazio alla fantasia: e per colmare un vuoto che non è riuscito a strappare alla trama, per colmarlo ha cercato di entrare di più nel fatto, nei personaggi, nell’ambiente, immedesimandosi. Come ogni cronista che si rispetti ha saputo emozionare il lettore, catturare subito la sua attenzione, in modo che restasse fedele al giornale e anche alla sua firma, che sta sotto l’etichetta “dal nostro inviato speciale”. 

Franco Di Bella e il sindaco Carlo Tognoli
Un paio di volte l’ho avuto come compagno di viaggio, Monti, autore del libro ”Un panda estinto”, pubblicato da Giraldi editore, 138 pagine dense di immagini e di situazioni. L’ho visto quindi all’opera e l’ho subito stimato. Si muove senza far rumore, prende i suoi contatti con garbo, coglie subito ciò che gli interessa con quei suoi occhi penetranti e la sua grande capacità d’intuizione. Se acchiappa uno “scoop” non si esalta, non se ne vanta, non si mette la medaglia sul petto. E il concorrente prende e porta a casa il fallimento, magari congratulandosi con il fuoriclasse che l’ha battuto sul campo. Una delle volte che l’ho incontrato è stato a Tunisi, in occasione dell’arresto dell’autore del delitto del catamarano, nel luglio dell’88.
 
 
Gabriele Cagliari
Prendemmo lo stesso taxi, guidato da Mustafà, che per tutto il tragitto si lamentò per l’impossibilità di acquistare il montone per la festa del Sacrificio, mentre il concorrente che lo stava sorpassando, avendo due mogli, ne doveva e poteva acquistarne due; e chiedeva notizie della Carrà e di Pippo Baudo, perché in quel Paese si vedeva solo Rai Uno. Eravamo diretti alla spiaggia di Gar el Mel, dove il killer e la compagna minorenne e un terzo, ignaro di tutto, erano sbarcati. Dal prefisso di Ancona (la vittima era stata scoperta da alcuni pescatori a strascico nelle acque di Mazzocca di Senigaglia), che sbirciava da una vela attorcigliata ricavammo la certezza che quella era l’imbarcazione che cercavamo. Rientrati in albergo, lui venne a sapere che l’assassino e gli altri erano stati presi sulla via per Djerba, a cavallo. L’autore del delitto, che come il francese Vidocq (morto nel 1857), riuscirà ad evadere più volte, era stato tradito da una telefonata fatta alla mamma a Milano, perché le tasche gli si erano prosciugate. Monti lo ritrovai a Ferrara tra i giornalisti assiepati attorno al presidente dell’Eni, Gabriele Cagliari, per la tragedia di un elicottero caduto con a bordo cinque specialisti dell’Eni.

Guglielmo Zucconi
 
Quando ho preso in mano questo libro e ho cominciato a leggerlo, ho dimenticato che era pronto in tavola. Non riuscivo a staccarmi dalle pagine scritte con uno stile agile, brillante, senza fronzoli, e sono andato avanti steso sulla sdraio senza perdere una parola. Monti in queste pagine preziose racconta il suo mestiere, svolto con passione, entusiasmo, con gioia; racconta il sogno fatto fin dall’età di dieci anni di fare il giornalista, e lo ha fatto con on saggezza, senza mai tirarsi indietro, prima dei social e del gsm, che hanno fatto una rivoluzione nella carta stampata. Usava la lettera 22, come quella su cui ha lasciato la sua impronta Indro Montanelli, che in una foto storica lo si vede seduto su un marciapiede a battere i tasti di quella gloriosa Olivetti. Chissà quante volte anche lui, Vittorio, ha dovuto scrivere, magari non accosciato a terra, ma su una panchina o al tavolo di un bar. Anche lui sembra innamorato dell’epoca del piombo e dell’odore del petrolio in tipografia. Anche se dice che non intende fare un elogio del tempo in cui fra le linotype e i banconi ci si sporcava d’inchiostro “e gli articoli venivano scritti calcolando a spanne la lunghezza”. Sente ancora la voce del proto che dovendo accorciare un testo sul bozzone sibilava di tagliare in fondo. Vittorio prende l’avvio dagli anni Sessanta, quando riuscii a piazzare piccole collaborazioni su un giornale glorioso come l’”Avvenire d’Italia”, diretto da Raniero La Valle. Erano gli anni in cui nella città felsinea il capo della Curia era il cardinale Giacomo Lercaro. Monti capì subito come funzionava il meccanismo: “Se ti chiedono di scrivere un articolo devi farlo, tutti i mezzi per riuscirsi sono buoni. L’importante è che la cronaca sia verosimile Non dico vera, perché la verità assoluta non esiste”. Semina granelli di esperienza un po’ qua e un po’ là. Se i neofiti del mestiere li raccolgono bene, se non si arrangiano. E continua: “Oggi tutte le cronache sono simili se non uguali. Quando invece erano pezzi d’autore il gusto della lettura cresceva dal confronto delle varie testate” A guardar bene, il percorso di Vittorio Monti comincia da più lontano, in un nuovo settimanale illustrato diretto da Emilio De Martino, dopo aver fatto tanti passi, anche in clandestinità. 

La targa di via Solferino

A farlo progredire fu un gol, sparato durante una partita su un campo parrocchiale. Poi con Piero Ottone, la conquista del “Corriere della Sera”. E il suo nome ha cominciato a fare il giro del mondo. Sempre sotto la scritta “dal nostro inviato speciale”. Un inviato infaticabile, attento, abituato a scavare, indagare, creare il mosaico andando oltre i verbali, le voci ufficiali, i banditori, senza cedere alle lusinghe, alle adulazioni del potere, che usa ogni strumento per catturare un giornalista. Ma di fronte ai pesci grossi lui è stato sempre con la schiena dritta e la testa alta, avendo come solo padrone il lettore. Ha tutte le carte in regola per parlare del giornalismo estinto, avendolo percorso in lungo e in largo per molti anni. E lo rispolvera dicendo pane al pane e vino al vino, senza offendere nessuno. Racconta anche le difficoltà che allora l’inviato incontrava per fare arrivare il pezzo in redazione: non c’erano i telefoni e i computer (“Il Giorno” fu il primo a introdurre le innovazioni tecnologiche, dotando l’inviato prima di un M10 e poi di un Toshiba, chiudendo l’epoca della dettatura al dimafonista, che poteva presentare pericolo d’intoppi e di incomprensioni). Posso stendere un’esperienza personale? Sull’autostrada Taranto-Milano ci fu un terribile incidente, con morti e feriti. Il giornale mi mandò; sulla via Emilia trovai un anaconda di auto, la radio di bordo era ammutolita, scesi e mi misi a correre alla ricerca di un telefono, suonai al campanello di una villa, per il buio non vidi un grosso cane lupo che si avventava con rabbia (per fortuna tra me e lui c’era un cancello). Risalii in macchina, che intanto mi aveva raggiunto, svirgolando su strade di campagna, alla fine arrivai alla caserma della polizia stradale. 

Via Solferino
Sandro Pertini
Un poliziotto mi raccontò l’accaduto, il numero delle vittime, i particolari più agghiaccianti …
Dovevo spedire il pezzo a braccio ed entrai in un bar affollatissimo e chiassoso. Per guadagnare il silenzio alzai le bracciai e supplicai, gli avventori tacquero a dall’altra parte il collega Vicoli gridò “Dove sei finito, da ore non rispondi alle chiamate, ti credevamo morto”. Chiedo scusa a Vittorio se gli ho tolto la parola, ma lo so indulgente. Riallaccio il filo. L’autore, e che autore, dà anche consigli ai giovani su come costruire un articolo e sul modo di condurre un’intervista seria. L’intervista è un duello, l’interlocutore va studiato, occorre piazzargli le domande giuste, scomode, incalzarlo, denudarlo delle bugie; se vacilla, intensificare il “pressing”, come fa un giocatore di calcio per strappare il pallone all’avversario. Le domande programmate sono un’offesa al lettore e al telespettatore. Ma Monti non lo dice salendo in cattedra. Non è il tipo. E’ uno che ha adorato, e adora, il mestiere più vecchio del mondo (“da non confondere con quell’altro, che è più lucroso”). Raccontare il tempo che è volato via lo mette a disagio. “Ma chiudere gli occhi sul passato non aiuta a vedere meglio il presente”.
Un giorno si scriverà la storia del giornalismo divisa in due parti: prima e dopo l’avvento del cellulare. Qualcuno, magari lo stesso Monti, ci penserà. Ha un bagaglio pieno oltre l’inverosimile, per affrontare la fatica. Tra l’altro ha conosciuto le più alte personalità e le presenta con tratti brevi e succosi: Sandro Pertini, per esempio. Lo incontrò nel ’79 a Genova per il centenario del “Lavoro”, giornale di cui il Presidente era stato direttore. Giovanni Spadolini, che essendo stato sulla plancia del “Corriere”, dai giornalisti amava essere chiamato Direttore, con l’iniziale maiuscola. Romano Prodi. Durante un viaggio in pullman un giornalista ha necessità di fare un … servizio idraulico e non può usare il bagno perché la porta è ostruita dai bagagli. Prodi si accorge del problema e al viaggiatore “infortunato” suggerisce di camminare, per tenere chiuso il rubinetto. Allora un collega beve tutto d’un fiato una bottiglia di acqua minerale e porge all’incontinente il vuoto. Verso le ultime pagine, tutte godibili, ritroviamo Susanna Agnelli, Cicciolina, Giovanni Leone…Piero Ottone, che lo assunse al “Corriere” senza averlo visto mai in faccia, fidandosi di Franco Di Bella, “il più grande capo-macchina di un giornale”, destinato al ponte di comando. Vita professionale esemplare, quella di Monti, fatta anche d’inchieste memorabili: sulle carceri, sulle comunità di povera gente. Gli fu offerto il cavalierato e rifiutò. Vinse il Premio Saint Vincent, il più ambito dalla categoria, e ha avuto molti riconoscimenti non pelosi. Niente di quello che ha inserito in questo racconto è stato attinto dall’archivio. Ha riversato in queste pagine tutto quello che una fonte inesauribile, la memoria, ha fatto scorrere: dai suoi inizi come abusivo in una redazione alla gloria di inviato speciale di un quotidiano autorevole.







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