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mercoledì 28 settembre 2022

Bruno Zecchi collezionista bolognese

Bruno Zecchi
DA UNA VITA RACCOGLIE

MACCHINE PER SCRIVERE


Conosce tutti i mercatini della città

felsinea. Li ha visitati tante volte e

continua ancora oggi. E’ entusiasta

della Lettera 22, con la quale

scriveva Indro Montanelli. 

Possiede dai 250 ai 300 esemplari,

tutti ben conservati.

 

 

Franco Presicci

Bruno Zecchi nel laboratorio
Fino ai primi anni 80 al “Giorno” usavamo la macchina per scrivere. A casa avevo una Remington e una lettera 22, che fu un grande successo della Olivetti nel ’50 e riscosse riconoscimenti ovunque nel mondo, oltre che in Italia.
 
Gruppo di macchine per scrivere

La “Lettera 22” era lo strumento che usava Indro Montanelli per compilare i suoi articoli. Una foto storica lo immortala mentre batte su quei tasti. Quando arrivarono i computer, che con il loro ingombro occupavano tutti i nostri tavoli in redazione, ci invase la nostalgia come per l’odore del petrolio in tipografia. Personalmente feci molta fatica a star dietro al nuovo mezzo tecnologico, e fatico ancora oggi pur avendo frequentato un corso all’IBM. Appartengo a un’altra generazione, a quella in cui, facendo scorrere le dita su altre tastiere, si immaginava di generare musica. Poi, a poco a poco, i miei gioielli sono rimasti inscatolati nel box a testimoniare un’epoca. Purtroppo un giorno la Lettera 22 mi scappò di mano, cadde a terra e si ammaccò; e io, pur di non vederla in quello stato, la regalai. Adesso la rimpiango. Una sera, vedendo uno sceneggiato televisivo su Adriano Olivetti, in cui la Lettera 22 era regina, lo confesso, non riuscii a trattenere le lacrime.

Una Mignon
Avevo imparato a scrivere a macchina nello studio di un anziano commercialista a Taranto (vivevo i miei diciotto anni); poi mi “arruolarono” in un ufficio del Cral Arsenale, dove quando era libera una macchina me la mettevano a disposizione. Collaboravo con un giornale romano, “Il Timone”, dove tra gli altri pubblicai un articolo sul pescecane a due teste conservato in un vaso di aldeide formica all’Istituto talassografico, allora diretto dal professor Parenzan, da cui seppi che quello era un raro fenomeno di teratogenesi marina.
 
Continental

La commozione ha serpeggiato dentro di me quando ho intervistato un collezionista di macchine per scrivere di Bologna, Bruno Zecchi, 71 anni, che di modelli Lettera 22 ne ha una decina, protette come le altre da fogli di cellophan su varie mensole di un suo magazzino vicino a casa. Bruno Zecchi l’ho scovato mentre ero in campagna a Martina Franca: osservavo la gigantesca quercia secolare che svetta a due passi dal nostro trullo, quando mio cognato Eugenio, tarantino trasformatosi in bolognese nei modi e nell’accento, senza dimenticare i due mari, vedendomi assorto, mi ha chiesto, celiando: “Stai pregando?”. “No. Sto pensando al prossimo articolo da preparare per ‘Minerva new”. “Io a Bologna conosco un collezionista di macchine per scrivere. Ne avrà 300, compresa una per tradurre simultaneamente i discorsi stenografici”. Faceva al caso mio. Eugenio mi ha scodellato nome, cognome e numero di telefono: e nel pomeriggio il mio cellulare si è affollato di foto di Olivetti, Remington e ogni altro pezzo d’arte dalle forme a me sconosciute. E fra tutte campeggiava il protagonista, faccia paffuta, bonaria, gioviale, paciosa. Ho telefonato e mi ha risposto una bella voce calda, rassicurante, amichevole.

Sammond
E abbiamo fissato l’intervista per il giorno dopo il mio ritorno dalla villeggiatura, inebriato com’ero dai colori, dai profumi, dai sapori della campagna, disseminata di ulivi, fichi, ciliegi, spate di fichidindia con “pomi” policromi, vigne gravide di grappoli prossime al parto… Adorabile Martina. Dove non stavo mai con le mani in mano: impegnavo ore a scrivere, a leggere, a spogliare gli alberi di nocciole e amarene. Per indagare sulla collezione di Bruno volevo trovare il momento giusto, che è arrivato la settimana scorsa. Bruno mi ha risposto subito e subito si è aperto: “Ho cominciato a riparare macchine per scrivere; ma se si voleva diventare bravi bisognava seguire dei corsi, organizzati allora soltanto dall’Olivetti a Ivrea, che garantiva l’assistenza soprattutto tecnica per le sue macchine. Non potendo parteciparvi anche perché la ditta da cui dipendevo vendeva macchine di tutte le marche e i titolari, prima Lazzari, poi Bortolotti, mi comunicarono che non avevano questa possibilità. Allora mi licenziai e scelsi di guidare la corriera, sulle tratte Bologna-Viviciatico; Bologna-Monghidoro; Bologna-Zocca; Bologna-Castiglione; Bologna-San Benedetto-Val di Sambro … A 50 anni sono andato in pensione e mi è venuto il desiderio di curiosare fra i mercatini, dove, quando trovavo macchine per scrivere “a prezzo quasi da regalo”, mettevo mani al portafoglio.
 
Rofa

Un giorno sfogliai un giornale, “L’Occasione”, e lessi un articolo che diceva: “Vendo macchine per scrivere “Rofa”, “Smith-Premier, “Underwood”. Io conoscevo soltanto l’Olivetti, la Remington, la Facit… Ho telefonato e ho chiesto: “Ma che macchine vende lei? Io ho fatto il venditore e il riparatore e non le conosco”. Decidemmo di incontraci e andai a vederle. Questo signore si chiama Bruno come me e sta a Novi di Modena. Quando sono arrivato, le macchine erano tutte allineate su un bancone: la più giovane era del 1914. Troppo vecchia, non potevo averla sentita nominare. Ci accordammo e acquistai tutto: 20 pezzi. Da lì è nata la mia collezione, che oggi ne ha dai 250 ai 300”. Bruno continua ad andare per mercatini, a Crespellano di Bologna; a San Lazzaro; a Mercatopoli, “dove si vende di tutto, e ovunque ci sia una macchina la faccio mia. Ne trovo anche a 50 euro; una l’ho avuta addirittura in dono. Capita che qualche amico, al corrente della mia passione, scorga una preziosità su una bancarella da qualche parte, mi avverta e io corro”.

Alcune macchine di Zecchi
E, avendo un’officina a Casalecchio, nei pressi di casa, se c’è da mettere a posto qualcosa, da riordinare un meccanismo provvede. Comunque tutte le macchine che possiede a una a una le ha smontate, pulite e rimontate. Ha molta dimestichezza con quelle prodotte nel dopoguerra, un’esperienza tecnica elevata, ma non disdegna di consultarsi, se occorre, con qualcuno più abile di lui. “La Lettera 22 è una grossa macchina – riprende - Meccanicamente parlando. E’ molto robusta. Presente al Museo di New York e in altri. Io ne ho trovata una nel bidone della spazzatura e l’ho rimessa a nuovo. Un giorno fui invitato a una trasmissione televisiva su Raiuno condotta da Amadeus e mi chiesero di portare dieci macchine. Una era stata costruita per invalidi e mutilati e mi fecero presente che non era adatta per i bambini. La lasciai fuori”. Bruno Zecchi è nato in una frazione di Bologna, Monte San Pietro, che ha 3 mila abitanti; Casalecchio, dove risiede, ne ha 30 mila. E’ una persona socievole, amante delle batture di spirito e non si dà arie.
 
“Quando conducevo le corriere, scherzavo con i passeggeri, li tenevo allegri, rendevo loro piacevole il tragitto. Amo scherzare. Lo scherzo fa bene alla salute. Al circolo sportivo Barca, che frequento, mi trovo a mio agio, sono sempre di buon umore, gioco a carte, converso. Se mi coinvolgono in una discussione politica e l’interlocutore pretende di avere ragione a tutt’i costi, lascio perdere, anche se sono tentato di affrontare l’argomento in modo più acceso, dicendo pane al pane e vino al vino”. Gli domando qualche altro particolare della sua vita e non si sottrae: “Ho passato dieci anni in collegio, da quando avevo un anno e mezzo. Papà era ammalato, in casa mia, oltre alla mamma, c’erano 3 figli…”. E’ sposato e ha un figlio, Nicola, 38 anni, direttore tecnico della squadra di calcio giovanile “Zola Predosa”.
Bruno Zecchi al lavoro

Ritorniamo al binario originario, sul quale Bruno non va come un treno, perché io gli richiedo diverse fermate. Parla chiaro, voce bassa dicendo cose interessanti. Dopo tanti anni di collezionismo, migliaia di passi compiuti da un mercatino all’altro, ricerche, consultazione di documenti, può rendere ricca una discussione. Colpiscono le sue doti di riparatore. Se gli si affida una “tastiera” vecchia, arrugginita, sgangherata, lui è il mago adatto a farla rinascere.

Bennett
E’ l’uomo che sarebbe piaciuto ad Adriano Olivetti, che era un genio, nato nel 1868. Arrivò Balle macchine per scrivere dopo tante esperienze e dopo un viaggio negli Stati Uniti nel ‘25. Con una pattuglia di tecnici e di artisti dette una nuova immagine all’azienda, mirando sempre alla perfezione stilistica del manufatto. Ebbe molti interessi, fondò una casa editrice… Un personaggio rispettato, riverito, ammirato. Per Zecchi, un mito. Almeno così mi è sembrato. Se posso aggiungere una piccola vicenda personale, appena arrivai a Milano nel ’62, pur sospirando il mestiere di giornalista, feci varie domande di assunzione, in attesa di poter entrare in una redazione. Lessi un articolo su Adriano Olivetti pubblicato dalla “Domenica del Corriere” e decisi di scrivergli una lettera. Dopo qualche giorno mi rispose che era pronto ad assumermi come venditore. “Tutti i nostri dipendenti cominciano da lì”. Avevo avuto già due delusioni in quel mestiere e mi scusai confessando che non me la sentivo perché quella del venditore è un’arte e io non ero neppure un garzone. Mi sentii però orgoglioso e mostrai la lettera a mio cognato Dino, che mi aveva anticipato i soldi per acquistare la gloriosa “Lettera 22”.







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