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mercoledì 5 ottobre 2022

I trent’anni dalla morte di un pugliese doc

Mostra di Alto a Cisternino nel '60
IL GRANDE PITTORE FILIPPO ALTO

DIPINSE LA PUGLIA CON AMORE


Viveva a Milano e trascorreva le

vacanze a Figazzano, a un tiro di

schioppo da Cisternino, Martina

e Locorotondo. Faceva mostre in

ogni parte d’Italia e all’estero. Era

amato e stimato; piaceva ai critici

più consacrati, da De Micheli a 

De Grada.

 

Franco Presicci

“Ti racconto - dopo quasi una vita – perché una domenica ti trascinai dalla città a vedere com’era fatto il mio paese. Tu ora lo dipingi. Iolo riscopro nella tua pittura. E mi è chiedo qual è il senso dell’immediato sortilegio, e per quali ragioni interiori alla ‘bugia’ dell’arte rinasce sempre viva l’emozione di trovare nell’aria le case pulite, le ‘commerse’ nel cielo issate, come stendardi, le strade tagliate dal vento, insomma quella forma ‘oggettiva’ che va sotto il nome di Locorotondo e che anch’io cerco di disegnare: come, con le parole”.

Figazzano

Filippo Alto
E’ l’inizio di tre pagine che Giuseppe Giacovazzo, giornalista e scrittore scrisse in occasione della pubblicazione di una cartella di litografie di Filippo Alto, il pittore barese con studio a Milano, che scendeva spesso in Puglia per ritrarre la bellezza dei suoi paesi, da Martina Franca a Cisternino: le case con il tetto a cappuccio, i trulli, le viti, gli ulivi dai tronchi scultorei, la terra rossa della città del Festival della Valle d’Itria. E quando la musica inondava il magico paesaggio di Martina qui Filippo era sempre presente: passeggiava nei tratturi, fra l’intrico di vie del centro storico, alcune solitarie, altre affollate, con le vecchiette a sferruzzare sulla soglia di casa, e s’inebriava.
 
Un'opera di Alto
 
Colucci,Caracciolo,Muscau
Qualche giorno prima della mia partenza per Martina, in treno perché da Bari in giù volevo godere dal finestrino le meraviglie che scorrevano con la velocità del convoglio, è venuto a trovarmi un amico e da una borsa ha estratto una “brochure” contenente appunto “Paese vivrai” di Giacovazzo. Rilessi le righe che ho riportato all’inizio e gli dissi che lo sapevo a memoria. “Bene, ma vogliamo dimenticare questo pugliese che prima nella sua casa di via Calamatta, che era di un altro eminente pugliese, Guglielmo Miani; e poi in quella di via Porro Lambertenghi raccontava la puglia nelle sue opere e le proponeva ai milanesi che avevano la Puglia nel cuore? Gli si dovrebbe dedicare una grande serata nel più bel luogo di Milano, magari a Palazzo Reale o in corso Venezia (non al Circolo della Stampa, perchè quello ormai non c’è più: ha lasciato nel ricordo la sua storia gloriosa).

Perché non istituire un Premio alla sua memoria. Lui ha creato vari Premi con te, tu ora dovresti crearne uno in suo nome”. Sono prossimo ai novanta, ma per Filippo riuscirei a tirar fuori le energie necessarie per una iniziativa del genere per una “formica di Puglia” che ha fatto conoscere a tanti i tesori della sua “culla”: la Cattedrale di Trani, i balconi spanciati di Martina, un pezzo di masseria di Noci affiancato a un campanile di Massafra, tutto “legato” da un ramo d’ulivo o da un tralcio di vite o da un frammento di strada.

Nome sulla ringhiera
 
“La strada è incontro”, ha scritto Giacovazzo. E’ spesso sulla strada che ritrovi un amico non vedi da tanti anni, ripercorri la sua storia trascorsa insieme e vuoi conoscere quella che da lì è andata avanti. Sono state tante le strade attraversate da Filippo, uomo generoso, colto, intelligente, artista autentico, dai discorsi essenziali, consapevole del significato delle parole. Un uomo che amava ascoltare e meditare. E non parlava mai di sé. Mai chiedergli un commento sui suoi quadri. “Sei tu che devi dire a me. Io dipingo e lascio giudicare a chi osserva”.

Enzo Caracciolo colto da Piero Lotito

 

Rispose così al questore Enzo Caracciolo, che a casa mia si soffermava su un quadro di Filippo appeso nel soggiorno. Non amava quelli che si autocelebravano. Quelli con il tempo si spengono e lasciano tracce della loro pochezza. La casa delle vacanze di Filippo è a Figazzano (lui non c’è più dal ’92, ma ci vanno la moglie Ada, i figli Giorgio e Diego con le mogli e i rampolli). E Figazzano, quando c’era lui, era un pellegrinaggio di amici che arrivavano da ogni parte. Una sera v’incontrai Mario Mazzarino, già sottosegretario alle Finanze, con il quale frequentai l’oratorio del Sacro Cuore nella via parallela alla mia; un’altra sera il ministro Vernola; e poi il famoso critico d’arte Raffaele De Grada, il poeta Egidio Pane.

Don Oronzo, il contadino narratore
Chechele

E conobbi don Oronzo, un contadino di 80 anni, che gli domandava come mai tra viti, ulivi, querce, pioppi non si delineasse la figura di un uomo, magari con il cappello di paglia in testa come lui. Filippo sorrideva. E una volta, in una serata piena di gente, gli consegnò il microfono per fargli raccontare la vita della campagna. Nei panni di Silvio Noto, l’attore, presentatore, cantante barese, don Oronzo si trovò a suo agio e parlò di vendemmie, raccolte di olive, di canzoni, di dialoghi e d’innamoramenti tra le “ceppune”. Un successo, Il pubblico, applaudendo, si alzò in piedi. Per do Oronzo Filippo era “’u prufessòre”, un mito. Era simpatico, un po’ brusco, ma buono, don Oronzo. Un po’ curvo per le tante fatiche affrontate, basso, magro, occhi vispi, battagliero, ballò con Raffaele De Grada, ospite di Filippo, e poi mi condusse nel suo trullo, attaccato alla casa di Filippo, mi offrì un bicchiere di vino e una bottiglia. Gli scrissi un lungo articolo e mi disse semplicemente grazie. Filippo sapeva trattare bene le persone.

Vito Plantone

Aveva una lunga schiera di amici e di estimatori, a Milano (Giacomo Lezoche, Sebastiano Grasso, critico de “Il Corriere”, Vito Plantone, Costantino Muscau, invito dello stesso quotidiano di via Solferino,…) a Bari, Macerata… Leonardo Mancino, direttore didattico e scrittore, su di lui scrisse un lungo saggio, che conservo come una reliquia.
Conoscevo la scrittura felice di Mancino. Avevo letto le sue poesie, le avevo recensite sul “Giorno” e avevo letto la sua storia dei fischietti in terracotta su un catalogo di una mostra nell’atrio del palazzo comunale di Ostuni. La pittura di Filippo apre un libro pubblicato dalle Edizioni del Rosone, di Franco Marasca, che da Milano si era trasferito nella sua Foggia.
Discutevo spesso con Filippo, a casa sua, nella mia, al Circolo della Stampa, da Chechele e Nennella… “Urgono le visioni di Puglia – mi disse a un tavolo de “La Porta Rossa”, di Chechele, dove sedeva anche Mario Azzella, giornalista e documentarista della tivù, durante una delle manifestazioni che l’uomo di Apricena improvvisava - più vissute con il passare degli anni. Le radici anziché rinsecchire si ispessiscono. Non è il periodo del ritorno, ma quello della maturazione, di una maggiore consapevolezza di ciò che perduto, il desiderio di far diventare universale il paesaggio che mi porto dentro”. E seguiva con gli interni spagnoleggianti della Sicilia”. Morto Filippo, dopo diversi anni Ada gli volle allestire una mostra in una sala di Cisternino. Siccome era agosto non riusciva a trovare nessuno degli amici per la presentazione dell’artista e delle sue opere. Erano tutti in vacanza, chi emigrato al mare a Peschici; chi in montagna chi non aveva lasciato recapiti.
 
Ibrahim Kodra
Chiamò me, rifugiato come sempre nella mia campagna di Martina, all’ombra di un ombrello dalle foglie lobate dotate di un grande picciolo: il fico che nasconde i suoi anni e raccoglie qualche volta i miei pensieri. Le dissi subito di sì e mi ritrovai, una delle poche volta, seduto al tavolo dei relatori, a spiegare la personalità di Filippo Alto, amico, confessore, consigliere, sostenitore, sempre presente nelle giurie e nell’organizzazione dei Premi, e dei suoi lavori allineati sulle pareti. E feci appena in tempo a concludere l’ultima frase contenendo la commozione. Confesso che parlando lo cercavo nel pubblico, convinto che mi ascoltasse, come aveva fatto tante volte. Vorrei sapere dove si trovi adesso, in quale parte del cielo. Ah, il fico. Ricordo l’elogio che fece Giacovazzo in un’altra cartella di litografie di Filippo dedicata agli alberi di Puglia: la quercia, l’ulivo, il fico. Quel fico cresce anche sulle pareti dei sentieri e non ha bisogno d’acqua per svilupparsi e dare frutti. Un albero di grande dignità. Il mio no, ha tanto spazio intorno e allunga i suoi rami fino ad un confratello, che gli resiste, non si ribella, anche se è “fascianèse” e potrebbe perdere la pazienza.

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