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mercoledì 25 gennaio 2023

“Lo zio Aronne somigliava a Jean Gabin”

 

ANCORA IN LIBRERIA PIERO LOTITO

CON UN LIBRO TUTTO DA GODERE

 

Piero Lotito

 

Faceva il cronista, attento,

preparato e stimatissimo, al

“Giorno” di Milano, e scriveva

volumi destinati ad essere premiati.

 

 

 

Franco Presicci


Credevo che “I baffi neri del maestro”, il padre de “Lo zio Aronne somigliava a Jean Gabin", sarebbe andato dritto in libreria. Invece è rimasto nel cassetto per tanto tempo. Ricordo che si apriva con un insetto ucciso per disattenzione, procurando dolore all’autore del libro, Piero Lotito. Leggerlo mi aveva emozionato. Pensai: “Peccato che pagine così belle, tra l’altro scritte con uno stile arioso, delicato, tardi ad andare in vetrna”.

Ma ecco che dopo anni di silenzio, mentre io tornavo più volte ai baffi del maestro, troneggiare sugli scaffali “Lo zio Aronne somigliava a Jean Gabin”, Edizioni Ares: un libro molto più ampio dell’altro, contenente 468 “frammenti di memoria”, che si snodano quasi ritmicamente, captando l’attenzione del lettore. Ogni frammento si apre con un “mi ricordo”. “mi ricordo come in campagna mia madre sceglieva come tenermi buono (”accordarmi”, lei diceva) a seconda delle stagioni. In estate, col fresco e il dolce di una fetta di pane bagnata e spolverata di zucchero. Nei mesi più freddi con il calore di una patata appena lessa, che cercavo di raffreddare passandola da una mano all’altra e soffiandovi sopra a più non posso”. “Mi ricordo che da ”zia” Fiorina avevo comprato un serpente di gomma snodabile che mostravo a sorpresa alle mie sorelle Michele e Antonietta e anche alle loro amiche facendole ogni volta sobbalzare e urlare di spavento”. “Mi ricordo i soliloqui di strategia militare ai quali mi lasciavo andare muovendo i miei “indiani” di celluloide. Per “indiani” s’intendeva negli anni Cinquanta l’intero universo del Far West, pellirosse e visi pallidi messi assieme. Il mio patrimonio di figure era scarno, ma ben caratterizzato: il sioux con la scure, il capo tribù con il diadema di penne, lo stregone, lo stregone, la squaw con la fascia sulla fronte e una sola penna in testa, il trombettiere del 7° Cavalleggeri, il pistolero, l’uomo con il lazo, il fuciliere con i ginocchio a terra. Questo piccolo esercito che il giorno si scontrava in battaglia sul pavimento o sul tavolo, di notte riposava in una scatola di scarpe”. Ricordi netti, dettagliati. I ricordi sono un patrimonio rilevante, a volte gioiosi, a volte deprimenti.
Piero Lotito e Giorgio Guaiti
C’è chi ama rispolverarli e chi respingerli o cercare di rimuoverli. A volte qualcuno devia dall’ambito in cui sono custoditi, si gonfia o si decora. I ricordi di Piero Lotito sono autentici, testimoniati dalla personalità dell’autore, sempre preciso, serio, attento al valore che hanno le parole e le cose. Lotito non ama i ghirigori e le ghirlande, i fronzoli; i discorsi approssimativi, artificiosi. “Mi ricordo che in campagna o a Sant’Agata non mi era consentito uccidere le falene: l’insetto che svolazzava tra soffitto e pareti o annaspava contro i vetri rappresentava l‘anima d’un defunto venuta in visita, e allora bisognava lasciarlo un po’ con noi delicatamente incoraggiarlo a cercare l’aperto. Così mi spostavo di qua e di là a braccia aperte, segnalandogli più che una cacciata il cammino verso la luce. Sicuramente l’autore non condivideva la superstizione, che faceva, e fa, sia pure in tono molto minore, parte dell’esistenza degli anziani, ma la riferisce con delicatezza, dote che segna i suoi comportamenti quotidiani. Le credenze popolari non allignano soltanto nel Sud, dove, per esempio, erano diffusi l’aure”, spirito della casa, il mago della pioggia, i lupo mannaro… “Mi ricordo quando nell’aprire un solco prima che la chimica irrompesse nell’agricoltura con diserbanti e concimi, nei campi era tutto un agitarsi di vita animale e vegetale. Dietro l’aratro comparivano minuscoli topi di campagna che correvano tra le zolle che si frantumavano rivelando una grande varietà di insetti e di lombrichi e anche di buonissimi lampascioni che mia madre cucinava con le uova o lessava bagnandoli con l’aceto.
 
 
Piero Lotito e Giorgio Guaiti-Presicci in 1° piano
In tempo di mietitura, poi, davanti alla falce o alla mietitrice, si levavano nugole di farfalline, grilli e cavallette... E alla carratura, quando si coglievano le gregne (re grègne) portandole sull’aia in vista della trebbiatura, era facile che smantellando i covoni (asiérre) volasse via una quaglia e sotto l’ultima gregna si nascondesse una biscia, che prima si fingeva morta e poi Piero Lotito e Giorgio Guaiti.jpegfilava trar le stoppie”. Oggi, ricordo io, in campagna non si sentono più stridere le cicale, non si vedono più volare le farfalle (era splendido il macaone) e non si possono più raccogliete le lumachine (“ciambrachelle” in dialetto sanseverese). Lotito nei sui ricordi offre dunque anche esempi di vita e di lavoro sulle zolle, quando i contadini erano tanti e gli attrezzi agricoli di altro tipo. Anche per questo è godibile la lettura de “lo zio Aronne somigliava a Jean Gabin”. Godibile e istruttiva.
 
Compleanno in Cronaca
“Mi ricordo gli sparsi racconti di famiglia sull’ultima guerra, costata a Sant’Agata 26 caduti, ventidue dispersi e sette vittime civili. Fra i dispersi anche un fratellastro di mia madre, Michele, partito volontario per il fronte e ritenuto irreperibile dal 1941, quando avrebbe avuto 29 anni. Nel 43, quando l’aviazione alleata si accaniva contro la città di Foggia con bombardamenti continui – dal mese di maggio a tutto agosto – i bambini correvano nella zona di San Rocco, tra le più alte del paese, dicendosi l’un l’altro: “Andiamo a vedere le fiamme di Foggia…”. E ancora: “I giorni che seguirono l’armistizio dell’8 settembre del ’43 furono difficili anche per Sant’Agata.
 
Catania,l'attrice Ottavia Piccolo,Lotito
I tedeschi, incalzati dagli alleati e però favoriti dal clima di paura per possibili rappresaglie, imperversavano nei paesi e nelle campagne pressoché indisturbati: A Sant’Agata s’impossessarono tra l’altro d’un furgone del molino Fredella e del suo carico, forzarono il garage dei pullman di Ascanio Barbato prendendovi alcuni mezzi, presero dal municipio l’elenco delle vetture private requisendone un gran numero, spadroneggiavano nei bar e occupavano masserie…”. Sono molti in Italia - aggiungo ancora una mia considerazione - quelli che hanno dimenticato quelle esperienze drammatiche e tantissimi giovani non ne sanno niente. E dire che corriamo ancora quel pericolo, molto più grave.
 
 
Piero Lotito con Enzo Catania
Conosco Piero Lotito da anni.
Abbiamo lavorato insieme nella Cronaca del Giorno, prima diretta da Enzo Macrì, poi da Enzo Catania, due fuoriclasse. Io mi occupavo di cronaca nera, Lotito lasciò la nera, dove era bravissimo per le capacità intuitive, per passare alla cultura. Scriveva premiati testi teatrali, mandò in stampa “Il pugno immobile”, un libro bellissimo che parla dell’epoca del terrorismo e della paura che avevano i giornalisti, le cui redazioni si rifugiarono nella Torre Velasca; un libro scritto in modo mirabile, che disegnava gli stati d’animo delle persone, le situazioni, gli avvenimenti di quel periodo tormentato. Lotito era dunque molto apprezzato, i suoi articoli seguiti, tanto che ricevette le congratulazioni di Vittorio Sgarbi, allora assessore alla Cultura. A volte siamo intervenuti insieme su eventi gravissimi (omicidi, sequestri non soltanto negli anni di piombo), collaborando in armonia, scambiandoci suggerimenti, dividendoci i compiti senza competizioni di sorta. Ricordo l’assassinio in auto di una coppia nei pressi dell’Ortomercato; l’irruzione di tre banditi il 14 luglio dell’80 in una banca nei pressi di piazza degli Affari, durato dal pomeriggio al mattino alle 10 del giorno dopo, con i dipendenti in ostaggio; un regolamento di conti in un ristorante, dove una delle due vittime rimase con la faccia nel piatto fumante; l’intervista a Silvio Ceccato, lo studioso che più di ogni altro ha contribuito a far conoscere la cibernetica in Italia (uno dei suoi libri “”Ingegneria della Felicità”) all’inizio del ’90.
 
 
Lotito in piazza Cavour
Gli articoli i Piero Lotito erano sempre esemplari, da professionista esperto, di alta caratura, appassionato, sempre impegnato a valutare le ipotesi che gli investigatori fornivano nelle conferenze-stampa. Nelle ore libere si occupava di teatro (una sera con gli altri colleghi andai ad applaudirlo in un locale dalle parti di Rozzano in cui recitava); e per il teatro scriveva testi che ricevettero premi. Nel ’97 ha pubblicato Intervista su Milano”; nel 2000” La notte di Emil Vrana” (premio Città di Scalea) e in Francia “Premier Roman de Chambèry”. E’ stato finalista nei Premi Bagutta, Bergamo, Rhegnum Julii. Nl 2007, Aragno ha dato alle stampe “Il pugno immobile”. E adesso un altro bellissimo libro, in cui ricorda anche avvenimenti internazionali, come l’invasione sovietica dell’Ungheria, le grandi tragedie che hanno sconvolto gli animi e pezzi di vita quotidiana; i cantanti, da Carosone a Peter Van Wood, che cantavano “Tre numeri al lotto”. E perfino il pugno sul naso che assestò a un ripetente ”grande e grosso” che aveva un comportamento vessatorio verso tutti i compagni di scuola. L’ho letto in poche ore questo zio Aronne che somigliava a Jean Gabin; e adesso lo rileggo piano piano, godendolo.










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