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lunedì 24 aprile 2023

Autore di “Innamorati a Milano”

 

MEMO REMIGI SI RACCONTA IN

“SAPESSI COM’E’ STRANO”

La sua vita, la sua carriera, i momenti

belli e quelli brutti, gli incontri, gli amici,

i colleghi, le esibizioni sulla Raffaello e

sulla Michelangelo, il Festival, il grande

dolore per la perdita dell’amata Lucia, i

successi, le canzoni…


 

 

Franco Presicci

Mi ha chiesto: “Ti è piaciuto il mio libro? Io non sono uno scrittore”. Non solo mi è piaciuto, ma mi ha anche coinvolto, per lo stile, scorrevole, senza enfasi, con qualche punta di ironia; e per la sincerità del contenuto.

Remigi al centro

Memo Remigi, 84 anni, è così nel libro come è nella vita: giocoso spiritoso, divertente, un tantino goliardico. E’ rimasto un po’ bambino, come dice lui? Chi può giurare di non tenersi dentro un po’ del bimbo che è stato, nonostante le sberle date dal papà e a volte anche qualche calcio nel sedere. Il padre di Memo, Ercole, “era un uomo tutto d’un pezzo, severo e giusto, pretendeva il rispetto e l’educazione. A volte mi arrivava una sculacciata o addirittura qualche sberla, e allora ci pensava mamma Maria, dolcissima come il suo nome, che si metteva di mezzo per difendermi”. Il padre, aggiunge, non ce l’ha fatta a raddrizzarlo, ma lui ringrazia lo stesso. “Sono trasparente e leggero come il cristallo, ma non mi sono mai frantumato, pur passando anche da vicende anche traumatiche”, come quelle della guerra, quando su una collina di Montevecchia, “profonda Brianza”, assieme al padre, vedeva arrivare gi aerei inglesi sgravarsi delle bombe sganciandole su Milano per poi scomparire, “mitragliando tutto ciò che si muoveva, soldati o civili che fossero.

Il giornalista Gianni Spartà

Per un bambino anche la guerra può diventare un gioco”, e per lui le fiamme provocate dagli ordigni che massacravano Milano erano grandiosi fuochi d’artificio e invece erano “una catastrofe immane”. E il gioco si trasformava in terrore. Quei rombi, quelle vedute, quei tuoni, il gracchiare delle mitragliatrici se li porta “ancora nelle orecchie e anche nell’anima”. Memo è nato in una famiglia benestante, proprietaria di una ditta florida, la “Ritorcitura filati Remigi”, con tre fabbriche, che lavorava soprattutto per la Snia Viscosa, la prima società italiana ad essere quotata nelle Borse di Londra e New York. Abitavano in una villa sontuosa a Torricelli, e tutti i giorni il padre macinava quasi quaranta chilometri in bicicletta, andata e ritorno, per andare in fabbrica. 
Remigi e una giovane del pubblico

Quando volle smettere quelle pedalate si trasferirono ad Alzate Brianza. La domenica, nonni, genitori e figli andavano ad occupare il posto fisso al “Ristorante Negri” in riva al lago di Pusiano. Insomma agiatezza, quiete ed allegria hanno caratterizzato i suoi anni verdi. Lo sport faceva parte della famiglia: Ercole asso del golf, dirigente del Como Calcio e uno dei primi soci del Club Villa d’Este di Montorfano, frequentato esclusivamente da imprenditori noti e rispettati di quei tempi. “In quell’atmosfera estremamente raffinata e colta, direi aristocratica, ho imparato le buone maniere”. E ha conosciuto divi dello spettacolo internazionale come Clark Gable e Bing Crosby, che alloggiavano al Grand Hotel di Cernobbio e frequentavano i campi da golf nei pressi. Ercole suonava la fisarmonica per diletto e Remo l’accompagnava al pianoforte. Il loro pezzo forte era “Rosamunda”; la madre pilotava con abilità la sua Lania Appia color verde pisello: le piacevano la velocità e la competizione. Da bambino Memo mostrava le sue virtù musicali, captate da Giovanni D’Anzi, che rivelò quel talento al padre: “Sa armonizzare senza conoscere la musica”, e lo esortò a mandarglielo a Milano. Ma Ercole pensava alla “fabbrichetta da seguire”. Intervenne la mamma, e gli fece cambiare idea. E Memo divenne artista di successo, il Memo Remigi che tutti conoscono non soltanto nel nostro Paese.

Remigi canta fra il pubblico
Se non avesse imboccato quella strada, avrebbe praticato lo sport. “E comunque il Memo Remigi artista deve molto ai precetti delle discipline agonistiche: l’impegno, il rigore, la perseveranza, la lealtà, il desiderio di migliorarsi costantemente e di tracciare limiti sempre più in là, l’istinto di gareggiare e, a tutti i costi, di vincere, dote trasmessagli dalla madre. Memo racconta con piacevolezza, in modo spontaneo, senza fronzoli, delle scuole medie frequentate al Pontificio Collegio Gallo dei padri somaschi, corso di ragioneria, con molto spazio alla squadra di ginnastica artistica, in cui ottenne risultati di cui andare orgogliosi, visto che la selezione per essere ammessi era rigorosa; e anche l’impegno, la tenacia imposti, “tra salti mortali, cavallo, anelli e altre acrobazie”, che gli hanno insegnato “l’arte del sacrificio e del confronto, oltre ad irrobustire il suo fisico. Da lì al calcio e allo stadio Senigaglia, dove la folla incitava le pedate con il grido “Forza Italia”. 
 
Remigi e Presicci

Ho letto volentieri, questo libro, “Sapessi com’è strano”, he fa venire subito in mente il suo bellissimo brano: “Sapessi com’e strano sentirsi innamorati a Milano”, dello stesso Memo,che ancora oggi tutti cantano, giovani compresi. Mi ha calamitato la sua passione per il calcio. Quando prendeva lezioni private di musica sotto il vestito indossava la maglia della squadra ed era impaziente di correre al campo dei somaschi. ”A quindici anni il medico mi comunico il divieto di continuare con quello sport” e lui allora si riversò nel gioco del golf, riportando ottimi risultati, che mantenne sino a quarant’anni”. Un giorno nel ’57, “mentre stavo per colpire la pallina”, vide materializzarsi ”un uomo molto distinto in cardigan, panama Borsalino calato sulla testa e pipa Savinelli infilata in bocca: era Bing Crosby”. Memo gli regalò un suo 45 giri, ricambiato dal mito, con dedica. Si incontrarono ancora, Memo, felice e orgoglioso, gli sviscerò tutta l’ammirazione che nutriva per lui. Da un campo all’altro, tra soddisfazioni e consensi, fino alla notorietà, al trionfo nella canzone. Artista gentiluomo lo ha definito Maria Volpe sul “Corriere della Sera”, “dall’eterna professionalità, dotato di classe, eleganza, ironia”, anche se lui si ritiene solo un uomo contento, fortunato, riconoscente, “con ricordi meravigliosi e anche drammatici, con una voglia di vivere che anziché attenuarsi diventa sempre più travolgente”. Il dilemma sport e musica fra emozionanti trasferte all’estero con i suoi compagni di squadra, golfisti di valore, e le avventurose evasioni notturne dalle finestre dell’hotel per fare bisboccia in giro per la città, viene risolto dalla moglie Lucia. Anziché con l’ugola d’oro avrebbe potuto primeggiare nel golf, “ma è andata così”. La biografia da snocciolare è ancora lunga. E Remigi continua, senza reticenze, con cura del dettaglio. Il figlio Stefano lo paragona a Bud Spencer, perché tutti e due hanno preso l’avvio dallo sport: Spencer nuotando, lui giocando a golf, portandosi dietro “la purezza della competizione e quella capacità leggera di vivere anche le situazioni più impegnative e dolorose, cominciando sempre da capo, come fosse una nuova partita…”. E ora una nuova sfida, quella dello scrivere, riuscita anche questa. “Sapessi com’è strano” è un bel libro che contiene tutte le tappe, le buche della vita e della carriera di Remigi. 

Remigi al pianoforte
Anche il servizio militare in fanteria alle Casermette di Casale Monferrato e alla Casa del Soldato a Torino, dove poi arrivò Celentano, del quale diventò amico. Misero su un’orchestrina con il “Molleggiato” alla chitarra e lui al pianoforte. Si confessa, Memo (in verità il nome vero è Emidio), e non poteva trascurare Lucia, “l’unica donna che ho amato davvero nella mia vita. Se n’è andata - era il 12 gennaio 2021, sembra ieri o una vita fa, non so, è come se mi avesse lasciato in eredità un’energia nuova e insieme ancestrale, qualcosa di dirompente e inconfessabile…”. Il bambino che è in lui è stato costretto a crescere, con un dolore mai provato prima, inconfessabile…”. Le pagine si fanno struggenti. E seguono tutta la sua storia con Lucia e quella di “Innamorati a Milano”. Il senso di gratitudine di Memo emerge con l’omaggio a D’Anzi, morto nel 1974, fatto radunando i nostri migliori artisti per interpretare i suoi brani più celebri. Poi tocca al figlio Stefano, la sua ragione di vita. Poi padre e figlio si esibiscono insieme nella canzone che lui ha dedicato a Lucia, la cantano ovunque, l’hanno cantata anche in “Quelli della notte” di Arbore. Sono pagine allettanti, queste, qua e là commoventi. C’è tutto Remigi: la prima apparizione in Rai, 1968, “Settevoci”, “dominus” Pippo Baudo; gli amici che lo sostenevano, come Giovanni D’Anzi e Marcello Marchesi; la conduzione del programma “Per un gradino in più”; l’imitazione di Topo Gigio; la partecipazione come autore allo “Zecchino d’oro”; le “tournèe” ; i complessi musicali da lui allestiti; l’impegno in teatro con la regia di Arnolfo Foà; i concert; gli applausi; la carriera che lievitava; ”Ballando con le stelle”, i “coup de foudre” per donne stupende, anche se Lucia, che ora lo protegge dal cielo, era la sua stella luminosa, che gli ha lasciato un dolore profondo; l’incontro con Silvio Berlusconi, che gli chiese di cantare per lui “Innamorati a Milano”, le esibizioni sulla Michelangelo e sulla Raffaello e su altri transatlantici con il grande “chansonnier” Enrico Simonetti; gli amici, come Alberto Castagna; i colleghi; le esibizioni nelle case di riposo e altro ancora; il figlio Stefano, di cui è stato il migliore compagno di giochi; il Festival…”Tv Sorrisi e Canzoni” del maggio 2021, che gli fece il ritratto: “…sorridente e spensierato, dall’aria quasi sbarazzina, con le mani perennemente sul pianoforte e lo sguardo che si posa divertito sul mondo, Sempre gentile, Mai una parola sopra le righe..”. Il libro si apre con l’episodio in tivù, nella trasmissione “Oggi è un altro giorno”: “un gesto fatto senza malizia nei confronti di una giovane collega che considero alla stregua di una nipote, grazie alla nostra amicizia e confidenza”. Io gli credo e gli auguro che la Rai riveda la sua decisione, tenendo conto “dell’umiliazione, del dolore al corpo e all’anima” che il clamore ha procurato a Remigi per un atto scherzoso, senza secondi fini. Intanto Gianni Spartà, già caporedattore del quotidiano “La Prealpina” di Varese”, bravissimo giornalista, ciclista, presidente della Fondazione “Il Circolo della Bontà Onlus”, mi parla del nuovo pianoforte donato dalla stessa Fondazione e battezzato proprio da Memo Remigi nella hall della struttura. Oggi a quello strumento si avvicendano decine di persone che suonano per gli ammalati.






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