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mercoledì 5 aprile 2023

Spettacolare la processione dei Misteri

IL CALVARIO DI GESU’ CRISTO

SFILA PER LE VIE DI TARANTO

 

Fra qualche giorno è 

Pasqua una delle feste più

attese dai tarantini e non

solo da loro.

Moltissimi emigranti sono

già tornati per assistere ai

riti della Settimana Santa.

 

 

Le foto sono di Carmine La Fratta

 

 

 

 


Franco Presicci

Un amico spesso mi dice che dovrei ripercorrere chissà quanti anni, spremere chissà quanto la mia mente, per recuperare parte dei ricordi degli anni dell’adolescenza, in cui vedevo scorrere la processione dei Misteri, a Taranto, fino a quando non venivo tentato dal sonno mentre la mano del nonno stringeva la mia per non farmi cedere. Non è come crede lui: grazie a Dio, ho ancora una memoria sveglia, che spesso mi dà risposte lucide e precise. Alla mia età questo archivio, patrimonio che mi viene riconosciuto e magari invidiato da chi mi frequenta, dovrebbe essersi impolverato e invece mi stupisco del suo ordine e della sua freschezza.

Avevo forse tredici anni, quando con mio nonno, m’inserivo fra le ali di popolo schierate lungo i marciapiedi, per osservare i simulacri e le “perdùne” che li seguivano o li precedevano. Tanti mandavano ai Santi baci volanti o sventolavano la mano a mo’ di saluto, s’inchinavano, bisbigliando una preghiera; mentre altri erano distaccati, soltanto incuriositi, almeno in apparenza. Quando meno te lo aspettavi, qualcuno, per poter vedere meglio, tranciava la marea, scatenando le reazioni di quelli che venivano spiazzati. E questo succede anche oggi, secondo lo stesso amico, che per tutto l’anno è in attesa di quel corteo. Mi rivedo in anni meno lontani in prima fila al di qua della transenna, i gomiti appoggiati sulla sbarra superiore e le dita incrociate sotto il mento, nel tratto di via D’Aquino che sfiora delle piazze della Vittoria da un lato e del Carmine dall’altro, ad aspettare che il portale dell’omonima chiesa si apra per far uscire le statue. Sono lì da tre ore, e sbircio gli arrivi frettolosi alla ricerca di un posto buono, la prima fila, appunto come nella platea di un teatro. Voglio godermelo tutto, come da un palco alla Scala, questo rito toccante che attira tantissima gente anche da oltre confine.

Ci tornai una ventina di anni fa. E avvertii un palpito in più del cuore, quando il portale si spalancò per lasciare il passo dondolante ai primi “perdùne” con il bordone, il volto coperto e dietro altri con il cappuccio sollevato e la corona in testa. Accanto a me c’era chi esprimeva meraviglia; io captavo il vocìo dei presenti più vicini, colpiti dalla fede, dalla devozione stampata su tanti volti. Un ragazzo chiese al papà: “Quando è nata questa processione?”. Il papà, rispose che non poteva soddisfarlo appieno, “perché quello che sappiamo ci è pervenuto tramite la tradizione popolare, a voce, secondo la quale la data risale agli inizi dell’Ottocento”. Subito una signora sottile e un po’ snob, vestita elegantemente lo contraddisse: “Macchè, i Misteri c’erano già prima. Non diamo notizie inesatte ai bambini”. Vorrei correre ogni anno a Taranto per assistere a questa replica che non perde mai la sua solennità e il suo fascino. E siccome non è possibile, sfoglio un bellissimo volume di Carmine La Fratta, “Settimana Santa a Taranto”, ricco d’immagini suggestive. La Fratta è un maestro dell’obiettivo fotografico. I suoi scatti coinvolgono, trasmettono emozioni, sbigottiscono, se si guardano bene i volti, le espressioni, gli atteggiamenti. Non c’è una sua foto che lasci indifferenti.
 

Scorrendo queste pagine, pubblicate a suo tempo da Edit@, sogno di essere tra quella folla oceanica, eterogenea e di ascoltare la voce fioca di una vecchietta: “Na, mo’ stè’ pass Gese Criste”, accompagnata dal segno della croce; vedo un uomo dalla faccia abbrustolita che muove le labbra senza emettere parola, le mani congiunte e il capo chino al passaggio di Gesù morto, mentre gracchia la “troccola”, tavoletta con maniglie di metallo. Con qualche intarsio. Di fronte alla statua della Madonna, che la notte prima, uscita dalla chiesa di San Domenico nella città vecchia, è andata per le vie di Taranto a cercare suo figlio, quasi avverto i pensieri di tanti: “Me la fa’ ‘sta gràzie, Marie, je te so devòte”; o “Madònna mèje, capìsche ‘u dulòre ca puèrte gnindre pe’ ‘stu fìgghie benedètte”; “Ce bbèdde ca sì’; accume face a suppurtà’ ‘stu crepiènde”. La processione dei Misteri è molto sentita nella Bimare: ci sono persone che non si limitano a trascorrere notti insonni per godersela: ci sono persone dalle mani d’oro che se la costruiscono in terracotta. Nicola Giudetti, per esempio, personaggio notissimo e apprezzato, nel suo piccolo ”museo” nel borgo antico, ha realizzato i “Misteri” in miniatura, tra le facciate dei palazzi, e li tiene in un angolo a disposizione di chiunque abbia voglia di ammirarlo. E un tempo -informa Giacinto Peluso – sino a pochi anni or sono c’era un calzolaio “nei pressi della piazzetta San Francesco, vicino alla fontanella, prima di imboccare l’ormai murato arco della Madonna del Carmine, che nell’unica stanza al piano terreno, che serviva da abitazione e da bottega, nei giorni di Giovedì e Venerdì Santo trasformava questo abituro in un ambiente carico di soave poesia: riusciva a fare, servendosi di poche cose, che conservava ogni anno con cura particolare, un Sepolcro, limitatissimo nelle sue intenzioni, ma soffuso di tanto misticismo da lasciare turbato l’occasionale visitatore”.

La Settimana Santa sta dentro di noi, fa parte di noi: io purtroppo devo accendere la televisione per sentire i suoni, tristi, struggenti, delle bande; per vedere il pellegrinaggio per le vie di Taranto e la folla; o guardare i video dell’anno prima che amici e parenti mi hanno generosamente mandato, attendendo i nuovi. Così, stando a Milano, respiro “l’arie de Pasche”, che è anche il titolo di un libro di poesie del grande Claudio De Cuia. Certo non è lo stesso che essere lì, tra le vie della Bimare immerso nella massa e vedere “perdune”, cavalieri, carabinieri in alta uniforme, vigili urbani, esploratori impettiti che seguono o affiancano i simulacri, ciascuno dei quali con una sua storia. Da buon tarantino amo dunque questa processione. In famiglia l’amano tutti. Il mio compianto cognato Dino non mancava mai di scendere a Taranto per la festa di San Cataldo e per i Misteri: e al ritorno mi portava tante foto del percorso: via D’Aquino, piazza Maria Immacolata, via Di Palma, via Regina Elena, con sosta nella chiesa di San Francesco, via Anfiteatro, via Massari, piazza Giovanni XXIII. Non so se l’itinerario sia ancora questo, certo è che in ogni punto la gente è colpita da questo “spettacolo d’incomparabile bellezza”, come scrive Nicola Caputo. Ho ancora nelle orecchie il grido: “Furcè!”, che invita i confratelli portatori a trasferire il peso delle statue dalle sdanghe che poggiano sulle loro spalle alle “forcelle”. Solo un attimo di riposo, poi il peso torna nuovamente a chi lo ha scelto. Dev’essere faticoso, questo cammino, soprattutto se fa freddo e si va a piedi scalzi. I ricordi sono come le ciliegie: eccomi lì infreddolito, ma resistente, estasiato di fronte ai simulacri: il Gonfalone, la Croce dei Misteri, Cristo all’Orto, alla Colonna, Ecce Homo, la Cascata, il Crocifisso, la Sacra Sindone, Gesù Morto, l’Addolorata. Ad ogni passaggio un brivido. Dietro di me sento un signore segaligno, infagottato in un cappotto scuro, biondiccio, occhiali da miope, che, con accento inglese, sciorinava elogi per la processione. E sì, questo rito da sempre richiama anche gente dall’estero, oltre che espatriati che tornano all’ovile proprio per questa occasione. 

Nicola Caputo, giornalista e storico scrupoloso, riferisce una cronaca sulla nostra Settimana Santa pubblicata nel 1887 a firma dell’inglese Janet Ross, la quale, sia pure con qualche imprecisione sul percorso e sulla successine dei simulacri, trascurandone qualcuno, prima di assistere al rito, pellegrinò per Taranto alla ricerca d’informazioni, raccogliendole anche dai pescatori e dalle donne della città vecchia. “Fui molto fortunata ad essere a Taranto durante la Settimana Santa e così vidi la processione del Venerdì Santo, che è molto curiosa e fonte di grande orgoglio per i tarantini. La folla era molto ordinata e di buon umore, e ansiosa di spiegare ogni cosa a una straniera. Un piacevole giovane marinaio mi disse che aveva sentito che a Roma, dove sta il Papa, un tempo facevano delle processioni, ma nessuna si poteva paragonare a questa”. Fra qualche giorno è Pasqua. Vorrei esserci, a Taranto, per vedere quella manifestazione, commuovendomi davanti alla Croce dei Misteri, apparsa la prima volta nel 1913 e portata da confratelli a viso scoperto, e Cristo morto, accompagnato da quattro cavalieri che reggono i lacci, cordoni legati alla base del feretro. 

Mi viene ancora, in mente Nicola Caputo (da tempo scomparso), che nei suoi libri racconta la storia, i simboli, i significati del rito, il vestiario dei confratelli, le vicende legate ai simulacri: “C’è chi si meraviglia di tanto clamore. Curiosità, pubblicità, libri, fotografie, film, tv. E interesse, sollievo, coinvolgimento di grosse masse, protagonismo totale. La Settimana Santa a Taranto è tutto questo. Una città si ferma. Dopo aver trascorso in sofferta attesa i giorni della Passione, ecco i secolari riti. Pregni di fede e di devozione, di tradizione e di spettacolo”. Durante la rappresentazione, parlando al microfono trasmetteva con chiarezza e scioltezza tutte le notizie essenziali per la moltitudine di persone che si allungava sui marciapiedi dell’itinerario. Penso anche a “Pater, il romanzo del lume a petrolio”, di Cesare Giulio Viola (1886-1958): “Poi veniva il tempo delle processioni, quando si metteva il Cristo al Sepolcro. In quei giorni i patrizi fraternizzavano con i pescatori, alla Congrega del Carmine, e gli uni e gli altri vestivano il camice di lino e la mozzetta, infilavano lo scapolare e il cappuccio forato, stringevano ai fianchi il cordone, si denudavano i piedi e con il bordone in pugno, il cappello gittato sulle spalle…”. E Giacinto Peluso, che in uno dei tanti suoi libri, “Taranto da un ponte all’altro”, edito da Mandese, ricorda tra l’altro la decisione dell’arcivescovo Bernardi, succeduto a Orazio Mazzella, di rimuovere dai sepolcri nelle chiese ogni forma spettacolare per ridursi alla pura e semplice rievocazione dell’Eucarestia. La città mormorò per qualche tempo, disertò i templi, “ma poi tutto tornò come prima”. Quanta nostalgia. Fede, meditazione, richiamo di masse di popolo, tradizione, emozioni, soprassalto di ricordi, curiosità, spettacolo, ritorno di usanze di una volta e altro ancora. E attesa di quei giorni, della loro atmosfera.



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