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domenica 12 novembre 2023

In una grande serata allo Spazio Urban

Renzo Arbore e il maestro Sante Palumbo

I PUGLIESI DI MILANO SI

SCATENARONO PER

FESTEGGIARE RENZO ARBORE

 

 Allo showman venne consegnato il 

premio Ambasciatore Terre di

Puglia e lui improvvisò un dialogo

molto divertente dal palco con il

maestro Sante Palumbo, seduto in

prima fila.

 

 

 

Franco Presicci

Il premio dell’Associazione regionale pugliesi, una sera dell’aprile 2010, venne consegnato a Renzo Arbore, il “pugliese di fuoco”, come lo definì simpaticamente Alberto Lorenzi ne “I segreti del varietà”, titolo modestamente scelto da me mentre trascrivevo per il volume edito dalla Celip di Nicola Partipilo, barese mai diventato milanese, nonostante il suo amore per questa città, l’intervista a Wanda Osiris che avevo fatto nella sua casa nei pressi di via Montenapoleone proprio per questo libro.

Le prime file

Pugliese di Foggia, Arbore si disse “jazzista della parola”. Un grandissimo artista, divertente, coltissimo, piacevole, comunicatore di gioia, dominatore del mondo musicale, con migliaia di canzoni nella testa. Pur appartenendo alla Capitanata, è innamorato del mondo, dell’Italia, di Napoli, di Milano, città fertile e di buon cuore, alla quale è grato per aver accolto tutti i meridionali scesi negli anni alla stazione Centrale, un ventre di balena in cui i convogli arrivano e partono in continuazione. E quando il sodalizio pugliese si trasferì da piazza Duomo in via Petro Calvi 29, lui accettò l’invito ad essere presente con il ruolo di padrino. Quei pugliesi e milioni di altri non lo hanno mai perso d’occhio, seguendo sempre passo per passo la sua carriera, in cui si inserì anche il Premio “Ambasciatore di terre di Puglia”, le cui precedenti edizioni erano andate, fra gli altri, a Livia Pomodoro e ad Albano. Per l’occasione lo Spazio Urban, che si apre di fronte ai Bastioni di Porta Venezia, fu invaso da una folla incontenibile, debordante. Tra gli altri c’erano il professor Francesco Lenoci, il giornalista David Messina, tra le colonne della “Gazzetta dello Sport”. 

Dino Abbascià

Arbore era seduto tra Dino Abbascià, allora presidente dell’Associazione, che gli diceva: “Quanta fatica per rintracciarti, per averti qui alla cerimonia per la consegna del premio”, e il maestro Palumbo, che da millanta conosceva quel mostro sacro della tivù, del teatro, del cinema. Poi Arbore con un balzo fu sul palcoscenico, snocciolò una serie di battute e un dialogo con Palumbo sulle situazioni, i personaggi, le curiosità vissuti insieme e il pubblico, entusiasta ad ogni momento applaudiva, alzandosi, manifestando ancora una volta tutta la simpatia per il corregionale famoso nel mondo anche come conduttore e regista di tante trasmissioni, come “Quelli della notte”, rimaste nel cuore della gente e nella storia della Rai. La giuria aveva fatto un ottimo lavoro assegnando il Premio a questo pugliese sempre sorridente, cordiale, piacevole, vulcanico, artista tridimensionale, che cantando o recitando o suonando entusiasma le platee e il pubblico inchiodato davanti alla televisione; artista vero, eccellente, rappresentante della Puglia, che “ha portato ovunque un modello artistico e umano tipico della gente del Sud”. Come Alberto Sordi, che nel ’55, a Kansas City aveva addirittura ricevuto le chiavi della città. Renzo Arbore riscosse grande successo in America nel 1988. La Rai Corporation aveva mandato in onda per cinque sere la settimana “Indietro tutta”.

Nicla Pastore al centro
Nella trasmissione Arbore si esibiva in una stravagante divisa da ammiraglio, mentre seducenti ballerine sudamericane danzavano cantando “Cacao Meravigliao”; e Nino Frassica divertiva nei panni di un incredibile conduttore di quiz. Chi non ricorda gli altri elementi del cast, come Catalano e Marenco, che scoprirò essere amico del pittore barese Filippo Alto. Mario Marenco, foggiano, comico, umorista, autore televisivo, architetto e designer, in un’altra trasmissione era mister Ramengo che ad ogni parola strappava le risate. Quando la sede dell’Arp era in piazza Duomo e presidente Bruno Marzo, funzionario regionale, collezionista di francobolli e di giornali leccesi dell’800, mezz’ora prima della trasmissione di Arbore si accendeva il televisore e scrosciavano gli applausi, come gli attori fossero sulla pedana della seconda sala, da dove parlavano i relatori delle presentazioni di libri o in altre manifestazioni culturali. 
 
Il pubblico
Abbascià
Renzo Arbore era ed è adorato dai meridionali di Milano, “in primis” il compianto Abbascià, uomo dinamico, dalle grandi capacità imprenditoriali, intelligente, generoso, sorriso cordiale stampato sul volto. Stimato anche per la sua vicenda personale: da immigrato all’età di tredici anni, una carriera iniziata come garzone in una bottega di frutta e verdura e poi a capo di un’azienda del settore molto fertile e famosa, creata con sacrifici, intelligenza idee e volontà di ferro. “E’ una ‘star’ che ci portiamo nel cuore – dicevano in tanti quella sera allo Spazio Oberdan in via Vittorio Veneto – è il nostro idolo, il nostro mito, il simbolo della Puglia, “il nostro orgoglio”, urlavano rincorrendo un autografo.

Chi voleva parlare con lui non rimaneva deluso: Arbore aveva una parola per tutti, una risposta per le tante domande. Il maestro Palumbo era rimasto seduto al suo posto in prima fila, Lenoci e io ci godevano quello spettacolo; e Abbascià, anche lui ai margini della massa, compiaciuto per il successo della serata, molto più di altri, all’hotel Quark per Carnevale o Natale, dove era lui ad aprire le danze.
Il pubblico quella sera tardava a lasciare il teatro, e Renzo Arbore resisteva, instancabile nel firmare tutti quei pezzettini di carta o fogliinteri o borse da passeggio, sorridendo a tutti.

Nicola Arigliano a sinistra, Presicci a destra
Che serata! David Messina non riusciva a trovare un varco per uscire; io e Lenoci avevamo tempo, potevamo aspettare, osservando la marea che fluttuava attorno alla stella che finalmente brillava a poca distanza. Quando lo avrebbero visto ancora, se non sul piccolo schermo impegnato a cantare un brano di Renato Carosone o di Roberto Murolo, cantante, chitarrista, attore napoletano anche lui. Il pubblico urlava il suo nome e lui salutava a braccia levate, tenendo in mano il foglio su cui raccogliere la sua testimonianza che avrebbero messo in cornice, almeno alcuni dei più fortunati. Un signore dai capelli riccioluti appena argentati, basso e magro, ci tenne a rivelarci di aver visto Renzo Arbore altre volte, ma di non averlo mai potuto avvicinare sempre per assalti della folla. “D’altra parte se li merita, per la simpatia che sprigiona e per la sua arte. E’ il nostro beniamino, a casa ho un suo ritratto in salotto mentre suona il clarinetto, al quale ha dedicato una canzone. Lei lo sa, vero? Certo che lo sa. Del resto l’Associazione ha dato un premio anche a lei”. “A me? - risposi stupito - Non ho fatto nulla per meritare un premio così importante. No, allora mi sbaglio, non è lei. Ma lo hanno dato, per fare un esempio, alle donne del vino di Manduria, delle cantine Soloperto”. Ma qurelle di meriti ne hanno da vendere assieme al nettare che producono”. “Ma lei non è un giornalista?”. Sì, ma un giornalista è un testimone, non un protagonista”.
 
L'attore Gerardo Placido
Un altro, anche lui bassino e imbiancato, con l’aria di chi sa tutto: “Eh, Arbore! ‘Alto gradimento’, ‘L’altra domenica’, ‘Il Pap’occhio’ e via dicendo. Lei lo ha visto ‘Il Pap’occhio’? Io due volte. C’era anche Andy Luotto, oltre a tanti altri’” Anuii. L’interlocutore aveva un tono da saputo e da quella stirpe mi tengo lontano. Poi Arbore prese emozionato la scultura raffigurante il faro di Santa Maria di Leuca, punto di incontro di due mari pugliesi, “vedetta di una terra protesa verso altre terre”, simbolo di amicizia, di fratellanza, e uscì attraverso un varco che gli era stato perto per farlo passare, seguito da Dino Abbascià, che trasudava gioia e soddisfazione. La cerimonia fu condotta brillantemente dalla bella giornalista tarantina Nicla Pastore di “Studio 100”, antenna molto seguita, e da Gerardo Placido, attore prestigioso soprattutto di teatro, che non manca mai agli appuntamenti in cui si respirava aria di Puglia. Quel Premio lo ha anche ricevuto Teo Teocoli, che è di Taranto, dove ha abitato in via Dante fino a quando non si è trasferito a Milano incontrando per primo il ragazzo della via Gluck, Adriano Celentano. Prima che la sala si svuotasse Sante Palumbo rese un omaggio musicale a Nicola Arigliano, altro grande pugliese scomparso giorni prima. Sono ricordi di momenti belli che mi si presentano spesso alla mente e io li colgo per raccontarli con un pizzico di nostalgia.

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