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mercoledì 1 novembre 2023

La bellezza antica del Chiancaro

Raffaele  Cofano  e Teresa Gentile
 

TERESA GENTILE LA RIPERCORRE

NEI RICORDI DEL MARITO ANGELO


Benvenuto Messia, icona di Martina,

maestro dell’obiettivo fotografico,

figlio d’arte, non mancò di riprendere

la zona. Pubblichiamo quella di ieri,

autore il padre Eugenio.

 

Franco Presicci 

Prima di salutare Martina per rientrare a Milano, torno sul Chiancaro. Faccio capolino ai trulli che furono dello zio canonico e scambio due parole con la nuova proprietaria, Gabriella, una delle mie belle e cortesi nipoti, che sta salvando dal degrado la vecchia struttura, rinforzando muri a secco ed altro.

Il Chiancaro oggi, di Benveuto
Rivedo con piacere questo luogo della mia adolescenza, che mi suscita tanta nostalgia e una valanga di ricordi. Mi sfilano nitidi, questi ricordi, come la sequenza di una pellicola cinematografica. Rivedo lo zio canonico penitenziere che con i suoi occhiali sottili legge il breviario facendo avanti e indietro sul piazzale, sollevando di tanto in tanto lo sguardo per vedere se stavamo combinando qualche marachella. Rivedo mio nonno seduto sotto una pianta rampicante a fumare la pipa e ancora lo zio che ci dice di non prendere le noci dall’albero perché non sono ancora mature e noi che in sua assenza disubbidiamo, nascondendone quattro nel pagliaccetto di Enzo,io, quattro anni, che li scodella alla vista di don Martino, facendo il verso della gallina.
 
La chiesetta
 Sento la voce dello zio che ci punisce, mettendoci le zappe in mano, imponendoci di usarle, per capire la fatica del contadino. Quelle erano giornate di gioia. Spesso Enzo e io andavamo nel bosco di fronte alla campagna dei Romanelli, che era di fianco a quella dello zio, sulla destra, non per cercare funghi, perchè fra l’altro non sapevamo distinguere quelli tossici da quelli commestibili, ma per smuovere con un rametto le foglie sparse, alla ricerca di non so che cosa. Non dimentico il ciliegio che si ergeva superbo e fecondo,  sovrastando tutti gli altri alberi. Quante volte l’ho scalato fino alla cima, da dove ammiravo tutto il panorama ricco di vigneti attorno alle case incappucciate. Un giorno Enzo mi lanciò una pietra mentre ero in contemplazione, non per farmi male, ma per leggerezza, per gioco, e io rischiai di precipitare giù. Allora la mattina successiva, verso le 11,30 lo attirai con una scusa nel palmento, lo chiusi dentro e misi il chiavistello (mi verrebbe di dire “’u varrone”, nel mio dialetto, ah il dialetto). Lui urlava senza essere sentito; lo scoprì la nonna, cercandolo, all’ora di pranzo. Eravamo sempre in movimento. Nel campo di fianco, sulla destra, il proprietario aveva costruito con un intreccio di rami su quattro tronchi, una struttura per l’uccellagione;  io e Enzo lo usavamo come rifugio quando non avevamo altre idee, riscuotendo sempre rimproveri. Il discolo ero io. Enzo aveva il torto di seguirmi. All’occorrenza eravamo disponibili: partecipammo anche a una vendemmia tagliando i grappoli e collocandoli nella cesta. Lo zio Dionigi la portava nel palmento, dove l’uva veniva pestata con i piedi da un contadino. Chi può integrare i miei ricordi della vita sul Chiancaro? Terra adorabile ambita da pittori di paesaggio.
 
50 anni fa bambini zappano
Questo angolo da sogno, che coltiva i miei sogni, ha tutto per quelle tavolozze: la luce, la veduta suggestiva, il verde delle viti inginocchiate, le case a cono di gelato con misteriosi simboli. Che cosa avrebbe pensato Constable di questa bellezza, lui che amava tanto la natura e le scene di vita rustica? Chiamo Teresa Gentile, giornalista e signora deliziosa, già insegnante, colta, autrice di un libro interessante sui cappottari di Martina, poetessa, anima del Salotto Culturale Palazzo Recupero, dove tra l’altro organizza serate frequentate da poeti, scrittori, pittori, oltre che dal bravissimo tenore Gianni Nasti, che ogni tanto soddisfa le richieste facendo tuonare la sua voce. 
Il trullo dello zio oggi
Teresa ha una villa sul Chiancaro vicino alla fontanella ultracentenaria, da cui ancora oggi sgorga acqua fresca e pura. Teresa non si nega e premette: “Ho imparato ad apprezzare la martinesità intesa come sana filosofia dello spirito, costituita da un intreccio di saggezza, operosità, capacità di prendersi cura degli altri, accogliere, essere rispettosi e operosi anche grazie a mio padre Egidio Gentile, a mio nonno Carmelo De Viti e a mio marito Angelo Raffaele Cofano. Mio padre, il maestro Egidio, insegnò a lungo nelle contrade martinesi e alla scuola Marconi e faceva fare la Via Crucis ai ragazzi ogni anno nel periodo pasquale con costumi cuciti da mamme e nonne”. Ascoltare Teresa è un vero piacere. E’ distensiva con quella sua voce bassa e pacata. “Grazie a lui ho conosciuto tante masserie, ho visto le danze che i contadini facevano dopo i raccolti, i rosari recitati tutti insieme al tramonto del sole e ho visto tante persone che sapevano fare molto bene mestieri diversi ed erano felici mentre li esercitavano: fischiettavano, dialogavano, non litigavano mai e negli intervalli suonavano strumenti musicali e recitavano versi”. 
L'entrata del trullo di don Martino
Tutto un mondo si apre con le parole di Teresa, uno scenario che a poco a poco è andato scomparendo. Si commuove parlando del marito Angelo Raffaele Cofano: “Era esperto di agraria, aveva preso il diploma all’Istituto agrario di Locorotondo ed era professore di applicazioni tecniche alla scuola Battaglini; ai ragazzi, quando insegnava nella vicina campagna di Carpari, faceva costruire, ogni Natale, con pietra e bottiglia, interessanti presepi che attiravano i turisti. Grazie a lui gli allievi hanno compreso l’importanza del riciclo creativo. Conosceva tutti i proverbi e i modi dire e sapeva spiegarli. Era uomo di grande fede e durante la sua vita ha sempre seguito i suoi alunni. Anche per queste doti è stato per vent’anni presidente dell’Azione Cattolica del Carmine, ha insegnato volentieri in località rurali martinesi.
 
Il Chiancaro di ieri
Adorava il Chiancaro, amava la campagna. Trovava sempre le persone giuste per fare il lavoro giusto. Una volta le persone erano considerate per la loro bravura nel lavoro e venivano indicate con il nome di battesimo accoppiato alla loro specializzazione: Martino il potatore, Michele il fabbro...

La fontana
 

Un tempo c’erano le botteghe”. La villa di Teresa è sulla punta massima della salita, una volta battuta dai cavalli che dovevano mostrare di essere forti e quindi buoni da acquistare.
"Adesso – continua Teresa – si divorano gli spazi per esigenze diverse, si tagliano gli alberi, si strappano le vigne, che facevano un ottimo vino, il vicino di Martina, a volte con la scusa che non ci sono eredi disposti a continuare ad avere cura dei terreni. Prima si andava a piedi, adesso con le auto; ci sono ristoranti che conservano il gusto della tradizione, la gente appare più triste con meno voglia di stare insieme. E’ preoccupata per il futuro, non ha più speranza, si sta rassegnando a un non futuro.
I contadini non hanno più voglia di cantare, ballare e bere sull’aia, spazio qua e là divorato dall’erba. Sono un sogno ormai quei giardinetti ben curati e pieni di colori in ogni stagione dell’anno o quegli orticelli disseminati di verdura, melanzane, finocchi, basilico, prezzemolo, catalogna, tenuti accanto ai trulli con dovizia anche di garofani, gerani e alberi da frutto. I vitigni giunti dai Greci (che qui portarono anche l’arte del ferro e della ceramica), pur producendo un vino buono per fare spumante e vin cotto… vengono sempre più divelti”.

zio Martino con parte della famiglia
Ciò che più li rattristò fu non riuscire a rintracciare esperti in arte topiaria o nella costruzione di pareti e trulli. Il Chiancaro, un pezzo del mio cuore, scrigno di ricordi. Benvenuto Messia, maestro dell’arte fotografica, sapido poeta dialettale, attore, fine dicitore, instancabile ciclista, che vedrei come modello di Umberto Boccioni o di Mario Sironi, aggiunge: “Sul Chiancaro conoscevo la famiglia Nigri, il cui papà di mestiere faceva il ceragliuolo e quando io mi meravigliavo di questa attività che allora equivaleva all’Enel mi indicava candele e lumi a petrolio, unici oggetti che illuminavano le case, per dire: “Senza di loro la luce chi ce la dava?" Sul Chiancaro Benvenuto conosceva anche il professor Michelangelo Semeraro. “Nella zona c’era anche la casina dei Casavola”. Il Chiancaro a quei tempi - continua Benvenuto – “era una località ‘in’ che quasi si poteva paragonare ai Parioli. Era un posto di villeggiatura per famiglie benestanti; era ed è un’oasi di serenità, di pace, di gioia, di ottimismo”. All’età di 11 anni io non ero in grado di apprezzare quest’oasi di bellezza, lo amavo e basta. Piangevo quando non potevo raggiungerlo. Attraversando il ponte girevole lanciavo sempre lo sguardo in direzione di Martina e mi commuovevo. La sospiravo, Martina. La vagheggiavo. Sono tornato spesso nel tratturo che porta alla campagna di zio Martino e scende verso il tratto che pare non avere sbocchi. Mi ha guidato la nostalgia, l’amore, il bisogno di verificare i ricordi. Ma non c’è nessuno dei personaggi di una volta. E mi vengono in mente i versi di Gabriele d’Annunzio: “… I miei pastori lasciano gli stazzi/ e vanno pel tratturo antico al piano/ quasi per un erbal fiume silente/ su le vestigia degli antichi padri”. Il tratturo, che va a zig zag, con l’erba ai piedi del muro a secco, non più percorso da asini e carretti.











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