Pagine

Print Friendly and PDF

mercoledì 13 marzo 2024

Foto ed acquerelli di Salvatrice Renda

 COGLIE LE BELLEZZE DI MILANO CON PASSIONE E INTELLIGENZA





Salvatrice Renda


Preferisce le persone e il paesaggio, 
ma anche le strade del centro storico e della periferia, le facciate dei palazzi, oltre ai cortili interni delle case patrizie.









Franco Presicci



“I quadri, i disegni, le stampe d’epoca con le vedute primaverili della vecchia Milano ci inducono a pensare a quanto dovesse essere piacevole e distensivo fare quattro passi per la città. Con tranquillità e poca gente, come oggi non si riscontra neanche il giorno di Ferragosto…”, ho letto da qualche parte. Beh, non esageriamo. Anche oggi chi lo desideri può scarpinare per la metropoli senza avere fastidi, in piazza Duomo come in Galleria, ai Giardini pubblici come al Parco Sempione.
La Galleria di Milano

Basta avere un po’ di prudenza la sera, non inoltrandosi in strade isolate, perché lì, complice la penombra, si può nascondere il pericolo. Se così non fosse, io sarei da mettere al gabbio, quando suggerisco ai miei vicini pensionati di non starsene seduti su una panchina dei giardini sotto casa ad osservare i passanti con la carrozzina del bambino, ma di spingersi per esempio in piazza Belloveso ed entrare nella chiesa che svetta sulla sinistra e ha tante belle cose da mostrare. E all’occorrenza tirando fuori il telefonino, se non la macchina fotografica per ritrarre, per esempio, la cascina Passerini e qualche casa di ringhiera dei dintorni.
Il mio caro amico dentista Peppino Bruno, da sempre si fa a piedi i suoi percorsi catturando immagini degne di una mostra: edifici storici, i navigli, l’Arena, che apre la memoria sull’esibizione del circo di Buffalo Bill nel 1890, vie importanti, come la Morone con la casa del Manzoni, con affaccio sulla piazza più bella, la Belgioioso.
Peppino mi ha donato un bellissimo ritratto di Domenico Lamantea, il rigattiere di Brera, che si acquartierava all’angolo con via Fiori Chiari, taciturno, severo, immobile come una statua, le braccia incrociate e le gambe accavallate. Lo amavano tutti e quando morì, ai funerali il compianto baritono Giuseppe Zecchillo (200 opere in repertorio cantate nei maggiori teatri del mondo) incaricò un violinista della Scala di suonare l’Ave Maria nella chiesa di San Marco.
Piazza Belloveso

Io Milano l’ho girata in lungo e in largo e non ricordo più quanti forestieri mi sono portato appresso, soprattutto sul Naviglio Grande, mostrando le chiese, i ponti, gli studi dei pittori, il torchio di Gigi Pedroli, grande acquafortista e cantautore in vernacolo, che prima di Natale su un palco improvvisato nel cortile del negozio di abbigliamento militare di Graziana e Paolo Martin sul Ticinello si è esibito in alcune sue divertenti canzoni.
Non mi stancavo mai di girare per Milano, di andare fino a Baggio ad assistere alla corsa degli asini o alla Darsena, che ospitava la fiera di Sinigaglia. Ed esortavo gli altri, amici e parenti a seguirmi. Quante volte ho stimolato Salvatrice Maria Renda, la mia bravissima dottoressa di base, a impugnare la macchina fotografica di fronte alle meraviglie di Milano, come faceva con molta bravura Luisa Motolese, poi diventata presidente della Corte dei Conti.
Salvatrice mi sorprese: “Ma io vado già a scuola di fotografia, a Monza, da Franco Marzio”, che tra l’altro aveva divorato tanta strada per raggiungere Maglie, che vanta una nobile tradizione anche intellettuale per riprendere le grotte di Porto Badisco e, giacché c’era, la casa di Aldo Moro. E mi ha sorpreso ancora una volta quando mi ha rivelato che alla fotografia adesso preferisce gli acquerelli, che espone su un tavolo del soggiorno per mostrarmeli: un vecchio contadino con una catasta di fascine sulle spalle, un muro oltre il quale s’intravede un gruppo di case, un ritratto di giovane donna… Ha una bella mano, Titti: mi congratulo con lei, che non si dà le arie e dice che deve continuare ad andare alla scuola di acquerello, in via Passerini a Niguarda, tenuta da Stefania Favaro. Ma non intende abbandonare la prima passione, quella della fotografia.
Il Naviglio Grande

Salvatrice è siciliana, nata a Sommatino, in provincia di Caltannissetta. Si trasferì a Pavia nel ‘70, per frequentare l’Università; e a Milano nel ‘76. Nel ‘78 iniziò l’attività di medico, per circa 10 anni come assistente volontario alla divisione di cardiologia De Gasperis di Niguarda, diretta dal professor Fausto Rovelli. Ha esercitato come medico di medicina generale nella stessa zona di Niguarda, in via Frugoni e poi in via Grivola. Nel 2020, in pieno covid, “sono stata costretta ad andare in pensione”. Non avrebbe mai lasciato quello studio accogliente, sempre pieno di pazienti, in quella via silenziosa, stretta e corta, che sbocca quasi direttamente in via Ornato, tagliata dai binari del jumbotram.
Salvatrice si confida: “Amo Milano, ma amo anche la mia città. Quando sono a Milano ho nostalgia di Sommatino e viceversa. Quando vado giù mi dico: ‘Che bello. sono a casa! Lo stesso quando torno a Milano”. Fin da piccola mi piaceva disegnare, su qualunque foglio. Poi ho cominciato a suonare il pianoforte. Ho frequentato il liceo classico, mi piacevano in particolare Socrate e Catullo, Orazio e Platone. Continuo?”. “Certo, sono curioso, interessato alla vita degli altri, ascolto volentieri e non mi distraggo mai quando una persona si racconta”. Ho adottato due bambini, che adesso sono grandi: uno colombiano, uno boliviano. In quei Paesi (nell’85 in Bolivia, , nel ‘90 in Colombia), sono rimasta due mesi, colpita dai negozi di bare, soprattutto per bambini. Sono curiosa anch’io e ho impiegato quei giorni a visitare i luoghi, e ho visto la miseria dei poveri e la ricchezza dei notabili. In Bolivia sono stata a La Paz, in Colombia a Bogotà e a Manizales. Avevo già girato l’Europa. Prima di cominciare a lavorare sono stata 4 mesi negli Stati Uniti, visitando la California, l’Arizona… In Pensilvenia ho visitato gli “amish”, che rifiutano la modernità e come mezzo di trasporto usano le carrozzelle…”
Veduta di Renda

Salvatrice parla piano, a voce bassa, qualche sorriso e qualche sguardo alle immagini fotografiche sparse sull’altro lato del tavolo. Non ha bisogno di cercare i ricordi; li snocciola con calma, senza enfasi, come se fosse abituata a quel flusso. L’interlocutore preme, incalza e lei, serena, riprende: “Da bambina maneggiavo giocattoli costruiti da me stessa in legno”.
E’ molto intelligente, colta, le piace stare con gli altri, ama la Puglia, dove qualche anno fa ha fatto un giro tra Martina Franca, Alberobello, Locorotondo e Ostuni, dove è entrata in alcuni negozi, soffermandosi in via Cattedrale in quello di fischietti in terracotta provenienti da Caltagirone, Bassano del Grappa, Grottaglie, Rutigliano. La Puglia, dice, è ricca di fascino; Martina Franca un gioiello, con le sue case incappucciate, i suoi ulivi, le sue vigne, la terra rossa, la Valle d’Itria, il sole, i sapori, i profumi.
Torniamo all’acquarello. “Impiego colori gioiosi, adoro il paesaggio, urbano e rurale. Dipingendo, mi emoziono”. Quel contadino con le fascine sulle spalle emoziona anche me. Mi ricorda il papà del mio amico Peppino, che attraversava ogni giorno il nostro tratturo con zappa e rastrello; altre volte carico di rami e rametti derivanti dalla potatura degli alberi. E mi ricorda mio zio Luigi, che a San Severo ha passato una vita a curare un lenzuolo di terra alla Zamarra per sfamare la famiglia.
Esercizio di Salvatrice Renda

E ricordo un amico di quassù, che lavorava in una cascina, alzandosi all’alba e tornando a casa al tramonto carico di fascine per alimentare il fuoco del camino sotto il paiuolo della polenta: piatto che non nutriva soltanto i cosiddetti polentoni, ma anche noi terroni, soprattutto in tempo di guerra. Ricordo la polenta con le cozze: l’oro di Taranto. “Ah, che buona!”, sospira Salvatrice, che non ha messo da parte la fotografia. Amante dell’arte com’è, quando non deve tenere i nipoti i “quater pass” li fa sempre. Come si fa a non andare in vico dei Lavandai, che il poeta Beonio Brocchieri definì una chiesa di pittori, con gli studi dei mai dimenticati Aldo Cortina, Guido Bertuzzi, Riccardo Saladin, pseudonimo Sarik, Spampinato, Formenti, la galleria di Cottino”? Era, secondo molti, la Montmartre di Milano. Ci girarono anche molte scene del commissario Maigret.
Spesso apro il libro della Celip con le foto di Roiter, il grande fotografo veneziano, e compio un viaggio ideale, spesso con la Viscontea, l’imbarcazione ideata dall’architetto Empio Malara, ammirando le cascine, le ville, i castelli, il viale delle passeggiate.
E’ bella Milano. Seducente, affascinante. Chi dice il contrario non la conosce. Basterebbe andare in via Bigli, dove abitava Eugenio Montale, in via Borgonuovo, in via Spiga, in via Bagutta, dove si svolge la mostra “en plein aire” e aveva lo studio il grande artista Casarotti, più volte alla Biennale di Venezia. Andate in quella via, che sfocia in piazza San Babila, dico. L’ultimo giorno della mostra arrivano tutte le autorità accolti dalla banda musicale. Del comitato fecero parte De Cerce, barbuto e combattivo; Calderini, pacioso e lento; Cortina, concreto e dinamico. Bagutta ricca di colori anche sotto la pioggia.

Nessun commento:

Posta un commento