VA ALLA RICERCA DELLA TARANTO CHE CON IL TEMPO HA MUTATO FACCIA
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Antonio De Florio |
La sua macchina fotografica è magica: fa emergere angoli spesso trascurati o ignorati; fa risaltare tutta la bellezza di una città apprezzata nel mondo.
FRANCO PRESICCI
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Barche in Mar Piccolo |
E’ un anno che manco dalla mia città. Ci sono stato l’anno scorso per un impegno e non ho avuto tempo nemmeno di fare un salto da Cesarino, sulla strada per San Giorgio, a comperare il pesce. Eppure, avevo l’intenzione di incontrare Antonio De Florio e andare con lui “abbàsce ’a Marìne”, a respirare quell’odore salmastro che mi trascina. Lo considero il mio santo protettore, Antonio, anche perché, quando ho bisogno di una foto introvabile, detto e fatto: l’immagine è già sulla mia scrivania. E quando mi serve qualche informazione sulla ”culla” di cinquant’anni fa e oltre, esperto e studioso com’è di quei tempi, e di quelli che viviamo, lui apre la cassapanca della memoria e trova chicche da inviarmi
Trascorro ore a scrivere di Taranto; e ogni volta mi vengono in mente luoghi e persone, edifici e vie che hanno fatto parte di un pezzo della mia esistenza. San Domenico, per esempio, che io mi ostino a dirla in dialetto, “Saneminghe”, innamorato pazzo come sono di “lanzuèle”, “mustazzuèle”, “nevère”, parole che con tantissime altre uso ancora per sentirmi a casa. Per questo devo essere grato a Claudio De Cuia, che un pomeriggio di 71 anni fa mi tenne quasi un’ora a parlarmi “d’a lènga nostre”, che da allora cominciò a crescere dentro di me, alimentata da una passione inestinguibile. Eravamo nello studio del fotografo-pittore Salinari, luogo d’incontro di Mario Sossi, che fondò “Il Rostro” ed era molto stimato da Palma Bucarelli, direttrice della Galleria d’Arte Moderna a Roma; Raffaele D’Addario, grande paesaggista; Mario Scuro, poeta... Inutile citare gli altri, che pure avevano un peso nel panorama della cultura tarantina.
Già allora mi aggiravo per la città vecchia, infilandomi nei vicoli che s’intersecano; “indr’a quìdde strìttele”, che consentendo il passaggio in fila indiana porta alla Dogana. Ho vissuto momenti emozionanti in quell’isola ricca di voci di artigiani, gente di mare, ristoratori che si esprimono in dialetto urlando con le finali prolungate la freschezza di cefali e saraghi. Brava gente dai volti aggrinziti intenta a risistemare le reti e le nasse.
Quei momenti me li fa rivivere Antonio De Florio, collocando su facebook “quadri” che infiammano il cuore. Non si può neppure immaginare il tempo che dedico a quelle foto: le vedo, le rivedo; chiudo il computer, lo riapro per vederne altre ed è sempre una gioia che ricevo dai colori, a volte sfavillanti, della mia città, che Antonio De Florio sa cogliere con maestria d’artista.
Che cosa resta ad uno spatriato agli arresti domiciliari (da non intendere nel senso giuridico), se resta incantato di fronte a un battello che attraversa il canale navigabile per raggiungere le isole di San Paolo e San Pietro? Anche quel canale mi sommerge di ricordi: il palombaro che si calava in acqua per rastrellare delizie; la passerella fatta di barche, nel ‘51, per sostituire il ponte di ferro, da rimettere in sesto; gli scafi che portavano i turisti al giardino delle cozze offrendo assaggi deliziosi. E corro ai racconti ascoltati dalle labbra screpolate dei vecchi: il nonno, Giovanni, di De Florio che vogando portava altri appassionati della città alla scoperta “de quìdde stuèzze de màre ca mundevàme, p‘amòre. peccernnùdde”.
Sono dunque grato ad Antonio, che comanda su facebook “Foto Taranto com’era”, con migliaia di uomini e donne d’equipaggio.
Ogni sua foto un’emozione; un’occasione per sognare e ridestare la mente: e scorrono come in un film il Premio Taranto; il professor Pietro Parenzan, direttore dell’Istituto Talassografico, che mise in aldeide formica il pescecane a due teste, raro esempio di teratogenesi marina, trovata “indr’u màre peccerjdde”: lo stesso Parenzan che con una specie di batiscafo scendeva nel fondo del Mar Piccolo per studiarlo, ricavando poi tele suggestive, che mise in mostra al Circolo Magistrale Tarentum, in via Di Palma. A volte basta una parola per accendere un’idea, far germogliare un ricordo, far resuscitare un mondo che non c’è più. E io lo rivivo, quel mondo, ad ogni foto o video di Antonio De Florio, eseguiti sempre con grande sensibilità e talento. Quei rettangolini di carta li aspetto con ansia, anche perché mi danno l’impressione di essere lì, in quella strada, tra quei campi, su quel sentiero baciato dal sole, su quella spiaggia, che si chiamava Santa Lucia, dove si bagnavano gli arsenalotti, riposando poi sulla rotonda che a ripensarla richiama la canzone di Fred Buongusto.
Al posto di quello stabilimento balneare oggi hanno innalzato un palazzo; vero Antonio? Anche il sentiero che dai Salesiani portava alla scogliera è stato ingoiato da un fungo di cemento. Neppure Antonio può più riprendere alcuni tratti della città. Sono scomparsi per sempre: tanti tarantini non se li ricordano neppure. La mania di cambiare per migliorare spesso può deturpare. E’ avvenuto tante volte anche a Milano. E’ avvenuto altrove. E’ l’uomo che non è mai contento di quello che ha. E parla di rinascita. C’erano luoghi a Taranto a cui ero molto affezionato: viale Venezia, per esempio, allora tappezzata d’erba selvatica, che appena tagliata profumava; una palazzina (una clinica), massimo due, mai un’auto, al massimo una bici, su quella via lunga come un tratturo della transumanza. Adesso si chiama Viale Magna Grecia, ed è rumorosa, piena di cilindrate con orchestre di “clacson”, affollata e ricca di negozi, di officine, “de lùcchele”.
Quella Taranto l’ho cercata, facendomi pellegrino. L’ho cercata “dalle parti “d’u Pezzòne” e alla Tre Carràre e a viale Virgilio. Niente da fare. Hanno cambiato faccia anche alla chiesa del Sacro Cuore di Gesù, che ebbe come sacerdoti don Giancola, don Musto, don Cipolletta, don Franzoso, don Saracino... A quei tempi avevo 15 anni. Anche la via di fianco a via Nettuno (entrambi confluivano in Dalò Alfieri) ha un altro profilo. Ancora grazie ad Antonio, “fratello” di Nicola Giudetti, e come lui custode e difensore delle nostre tradizioni e di quella Bimare cancellata con colpi di spugna, per l’impegno di ripescare anche cartoline illustrate, in cui risorge piazza Maria Immacolata con il “Cin Cin Bar”, la Standa, la libreria Filippi. La Dregher, il negozio di moto di D’Addario. Salvo foto e cartoline per il bisogno di godere le forme di una volta di piazza Fontana, del ponte di pietra, di un bacino dell’Arsenale… Ed ecco anche l’edicola che stava di fonte all’ingresso dello stesso opificio militare, dirimpettaio anche del suo Cral, dove il sabato e la domenica gli iscritti andavano a ballare o a conversare, molti con “L’Unità!” in una tasca della giacca. C’era anche una filodrammatica, diretta da Falcone, con attori Giovanni Mirabile e la figlia Lina, Conte, D’Andria, Murianni, la signora Casavola... Ogni tanto comparivano il signor Schirano, con il cappello scuro a larghe falde (inviso a qualche scriteriato, che non lo vedeva come ottima persona qual era, ma come ex milite, mestiere esercitato per campare); e Osvaldo Fischetti, a cui mancava un anno per il diploma di ragioniere ma era comunque forte in matematica. Ma guarda quante persone fanno resuscitare le foto di Antonio De Florio, che è stato un pezzo grosso all’Italsider, dove esponeva relazioni ai dirigenti più alti e forse già allora dava sguardi fotografici su Taranto.
Deve aver cominciato presto a maneggiare il magico strumento che immortala uomini e cose; e ha macinato centinaia di chilometri per andare da casa sua a via Duomo, dove ha il suo regno Nicola Giudetti, con tutta una collezione di antichità costruita negli anni con gioia e diletto e quadri usciti dalla sua tavolozza e processioni nate dalla sua capacità di plasmare l’argilla.
Antonio e Nicola sono un binomio indissolubile, idrogeno e ossigeno combinati nella giusta misura: entrambi legati alla nostra città, come l’ulivo alla terra, le valve della paricella, che quando si aprono mostrano un colore perlaceo. Mi emozionano i video di Antonio, alcuni ispirati dai versi di Diego Fedele, Diego Marturano, Alfredo Lucifero Petrosillo, Saverio Nasole… Anche in quei pezzi cinematografici si susseguono immagini stupende: il Galeso, che scorre silenzioso e deserto; Mare Piccolo, che quando è tranquillo accarezza le sagome delle lampare; “’a Duàne”, rimasta senza le voci “de le cuzzarùle” e “de Cìcce ‘u gnùre” e di altri. E’ qui che Alfredo Nunziato Maiorano veniva ad ascoltare il dialetto dei pescatori e scrisse “Tàrde vècchie mije”.
Taranto è adorabile. Sono lontano 10 mesi all’anno, ma un altro suo innamorato me la riporta, facendomi sognare: Antonio De Florio. La bellezza “d’a nàche” mi acceca, mi rapisce. E’ per me una calamita. Mi adescano le immagini che regala Antonio De Florio, che la esplora, la scruta, la penetra, scopre i suoi segreti, i suoi angoli più nascosti, la studia. Va avanti e indietro nelle pagine di Giacinto Peluso, Nicola Caputo, Domenico Ludovico De Vincentiis... pagine avvincenti. Taranto è un gioiello, un besciù. Dà tutto quello che serve allo spirito. E’ una dea. La sua malia è famosa nel mondo. Chiedetelo a De Florio, se dico il vero; chiedetelo a Nicola Giudetti, che è il re del borgo antico, il suo sacerdote. De Florio lo sa, lui, che di Taranto conosce le vicende storiche, beve i tramonti che si accendono sul Castello Aragonese; passeggia nei vicoli, nelle vie più interessanti e in quelle meno note; percorre le scalinate, i mercati, le folle durante le feste, le processioni, dai Misteri a San Cataldo. Conservo gelosamente foto che Antonio ha scattato “indr’a vieremìenze”, al Castello, ai delfini che fanno gli acrobati nel nostro mare, “a renghière”, o “Castìedde”, al ponte che si slaccia per rendere omaggio alle navi con gli alberi più alti... Antonio per me è geniale, ha una cultura vasta e un cuore grande, una pazienza infinita.
Trascorro ore a scrivere di Taranto; e ogni volta mi vengono in mente luoghi e persone, edifici e vie che hanno fatto parte di un pezzo della mia esistenza. San Domenico, per esempio, che io mi ostino a dirla in dialetto, “Saneminghe”, innamorato pazzo come sono di “lanzuèle”, “mustazzuèle”, “nevère”, parole che con tantissime altre uso ancora per sentirmi a casa. Per questo devo essere grato a Claudio De Cuia, che un pomeriggio di 71 anni fa mi tenne quasi un’ora a parlarmi “d’a lènga nostre”, che da allora cominciò a crescere dentro di me, alimentata da una passione inestinguibile. Eravamo nello studio del fotografo-pittore Salinari, luogo d’incontro di Mario Sossi, che fondò “Il Rostro” ed era molto stimato da Palma Bucarelli, direttrice della Galleria d’Arte Moderna a Roma; Raffaele D’Addario, grande paesaggista; Mario Scuro, poeta... Inutile citare gli altri, che pure avevano un peso nel panorama della cultura tarantina.
Già allora mi aggiravo per la città vecchia, infilandomi nei vicoli che s’intersecano; “indr’a quìdde strìttele”, che consentendo il passaggio in fila indiana porta alla Dogana. Ho vissuto momenti emozionanti in quell’isola ricca di voci di artigiani, gente di mare, ristoratori che si esprimono in dialetto urlando con le finali prolungate la freschezza di cefali e saraghi. Brava gente dai volti aggrinziti intenta a risistemare le reti e le nasse.
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la passerella del '51 |
Quei momenti me li fa rivivere Antonio De Florio, collocando su facebook “quadri” che infiammano il cuore. Non si può neppure immaginare il tempo che dedico a quelle foto: le vedo, le rivedo; chiudo il computer, lo riapro per vederne altre ed è sempre una gioia che ricevo dai colori, a volte sfavillanti, della mia città, che Antonio De Florio sa cogliere con maestria d’artista.
Che cosa resta ad uno spatriato agli arresti domiciliari (da non intendere nel senso giuridico), se resta incantato di fronte a un battello che attraversa il canale navigabile per raggiungere le isole di San Paolo e San Pietro? Anche quel canale mi sommerge di ricordi: il palombaro che si calava in acqua per rastrellare delizie; la passerella fatta di barche, nel ‘51, per sostituire il ponte di ferro, da rimettere in sesto; gli scafi che portavano i turisti al giardino delle cozze offrendo assaggi deliziosi. E corro ai racconti ascoltati dalle labbra screpolate dei vecchi: il nonno, Giovanni, di De Florio che vogando portava altri appassionati della città alla scoperta “de quìdde stuèzze de màre ca mundevàme, p‘amòre. peccernnùdde”.
Sono dunque grato ad Antonio, che comanda su facebook “Foto Taranto com’era”, con migliaia di uomini e donne d’equipaggio.
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La dea e il pescatore |
Ogni sua foto un’emozione; un’occasione per sognare e ridestare la mente: e scorrono come in un film il Premio Taranto; il professor Pietro Parenzan, direttore dell’Istituto Talassografico, che mise in aldeide formica il pescecane a due teste, raro esempio di teratogenesi marina, trovata “indr’u màre peccerjdde”: lo stesso Parenzan che con una specie di batiscafo scendeva nel fondo del Mar Piccolo per studiarlo, ricavando poi tele suggestive, che mise in mostra al Circolo Magistrale Tarentum, in via Di Palma. A volte basta una parola per accendere un’idea, far germogliare un ricordo, far resuscitare un mondo che non c’è più. E io lo rivivo, quel mondo, ad ogni foto o video di Antonio De Florio, eseguiti sempre con grande sensibilità e talento. Quei rettangolini di carta li aspetto con ansia, anche perché mi danno l’impressione di essere lì, in quella strada, tra quei campi, su quel sentiero baciato dal sole, su quella spiaggia, che si chiamava Santa Lucia, dove si bagnavano gli arsenalotti, riposando poi sulla rotonda che a ripensarla richiama la canzone di Fred Buongusto.
Al posto di quello stabilimento balneare oggi hanno innalzato un palazzo; vero Antonio? Anche il sentiero che dai Salesiani portava alla scogliera è stato ingoiato da un fungo di cemento. Neppure Antonio può più riprendere alcuni tratti della città. Sono scomparsi per sempre: tanti tarantini non se li ricordano neppure. La mania di cambiare per migliorare spesso può deturpare. E’ avvenuto tante volte anche a Milano. E’ avvenuto altrove. E’ l’uomo che non è mai contento di quello che ha. E parla di rinascita. C’erano luoghi a Taranto a cui ero molto affezionato: viale Venezia, per esempio, allora tappezzata d’erba selvatica, che appena tagliata profumava; una palazzina (una clinica), massimo due, mai un’auto, al massimo una bici, su quella via lunga come un tratturo della transumanza. Adesso si chiama Viale Magna Grecia, ed è rumorosa, piena di cilindrate con orchestre di “clacson”, affollata e ricca di negozi, di officine, “de lùcchele”.
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De Florio all'aeroporto |
Quella Taranto l’ho cercata, facendomi pellegrino. L’ho cercata “dalle parti “d’u Pezzòne” e alla Tre Carràre e a viale Virgilio. Niente da fare. Hanno cambiato faccia anche alla chiesa del Sacro Cuore di Gesù, che ebbe come sacerdoti don Giancola, don Musto, don Cipolletta, don Franzoso, don Saracino... A quei tempi avevo 15 anni. Anche la via di fianco a via Nettuno (entrambi confluivano in Dalò Alfieri) ha un altro profilo. Ancora grazie ad Antonio, “fratello” di Nicola Giudetti, e come lui custode e difensore delle nostre tradizioni e di quella Bimare cancellata con colpi di spugna, per l’impegno di ripescare anche cartoline illustrate, in cui risorge piazza Maria Immacolata con il “Cin Cin Bar”, la Standa, la libreria Filippi. La Dregher, il negozio di moto di D’Addario. Salvo foto e cartoline per il bisogno di godere le forme di una volta di piazza Fontana, del ponte di pietra, di un bacino dell’Arsenale… Ed ecco anche l’edicola che stava di fonte all’ingresso dello stesso opificio militare, dirimpettaio anche del suo Cral, dove il sabato e la domenica gli iscritti andavano a ballare o a conversare, molti con “L’Unità!” in una tasca della giacca. C’era anche una filodrammatica, diretta da Falcone, con attori Giovanni Mirabile e la figlia Lina, Conte, D’Andria, Murianni, la signora Casavola... Ogni tanto comparivano il signor Schirano, con il cappello scuro a larghe falde (inviso a qualche scriteriato, che non lo vedeva come ottima persona qual era, ma come ex milite, mestiere esercitato per campare); e Osvaldo Fischetti, a cui mancava un anno per il diploma di ragioniere ma era comunque forte in matematica. Ma guarda quante persone fanno resuscitare le foto di Antonio De Florio, che è stato un pezzo grosso all’Italsider, dove esponeva relazioni ai dirigenti più alti e forse già allora dava sguardi fotografici su Taranto.
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Nicola Giudetti e Antonio De Florio |
Deve aver cominciato presto a maneggiare il magico strumento che immortala uomini e cose; e ha macinato centinaia di chilometri per andare da casa sua a via Duomo, dove ha il suo regno Nicola Giudetti, con tutta una collezione di antichità costruita negli anni con gioia e diletto e quadri usciti dalla sua tavolozza e processioni nate dalla sua capacità di plasmare l’argilla.
Antonio e Nicola sono un binomio indissolubile, idrogeno e ossigeno combinati nella giusta misura: entrambi legati alla nostra città, come l’ulivo alla terra, le valve della paricella, che quando si aprono mostrano un colore perlaceo. Mi emozionano i video di Antonio, alcuni ispirati dai versi di Diego Fedele, Diego Marturano, Alfredo Lucifero Petrosillo, Saverio Nasole… Anche in quei pezzi cinematografici si susseguono immagini stupende: il Galeso, che scorre silenzioso e deserto; Mare Piccolo, che quando è tranquillo accarezza le sagome delle lampare; “’a Duàne”, rimasta senza le voci “de le cuzzarùle” e “de Cìcce ‘u gnùre” e di altri. E’ qui che Alfredo Nunziato Maiorano veniva ad ascoltare il dialetto dei pescatori e scrisse “Tàrde vècchie mije”.
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Teatro dei burattini in piazza Garibaldi |
Taranto è adorabile. Sono lontano 10 mesi all’anno, ma un altro suo innamorato me la riporta, facendomi sognare: Antonio De Florio. La bellezza “d’a nàche” mi acceca, mi rapisce. E’ per me una calamita. Mi adescano le immagini che regala Antonio De Florio, che la esplora, la scruta, la penetra, scopre i suoi segreti, i suoi angoli più nascosti, la studia. Va avanti e indietro nelle pagine di Giacinto Peluso, Nicola Caputo, Domenico Ludovico De Vincentiis... pagine avvincenti. Taranto è un gioiello, un besciù. Dà tutto quello che serve allo spirito. E’ una dea. La sua malia è famosa nel mondo. Chiedetelo a De Florio, se dico il vero; chiedetelo a Nicola Giudetti, che è il re del borgo antico, il suo sacerdote. De Florio lo sa, lui, che di Taranto conosce le vicende storiche, beve i tramonti che si accendono sul Castello Aragonese; passeggia nei vicoli, nelle vie più interessanti e in quelle meno note; percorre le scalinate, i mercati, le folle durante le feste, le processioni, dai Misteri a San Cataldo. Conservo gelosamente foto che Antonio ha scattato “indr’a vieremìenze”, al Castello, ai delfini che fanno gli acrobati nel nostro mare, “a renghière”, o “Castìedde”, al ponte che si slaccia per rendere omaggio alle navi con gli alberi più alti... Antonio per me è geniale, ha una cultura vasta e un cuore grande, una pazienza infinita.
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