Pagine

Print Friendly and PDF

mercoledì 21 maggio 2025

Il giornalista Piero Colaprico

DA ABILISSIMO CANE DA TARTUFI A DIRETTORE ARTISTICO DEL GEROLAMO

 

 

Piero Colaprico

Prima di lui sulla plancia di quel teatro erano stati seduti Carletto Colombo e Umberto Simonetti, due nomi famosi. Sul palco si esibirono Eduardo, Milly Mazzarella e altri. Prima di quella poltrona, Piero era stato valoroso cronista, quindi direttore della redazione milanese di “Repubblica”.

 

 

 

 

FRANCO PRESICCI
 
 


Nustalgia de Milan
Ancora un pugliese in cima all’albero maestro. E’ Piero Colaprico, di Putignano, che dopo aver fatto una brillante carriera al quotidiano “La Repubblica”, andato in pensione, ha cambiato campo. Da qualche tempo è il nuovo direttore del Teatro Gerolamo, che ha avuto in plancia personaggi come Carletto Colombo, che fra i tanti meriti poteva vantare quello di aver rilanciato il teatro dialettale milanese; e dopo di lui Umberto Simonetta, che su quel palco portò in scena uno dei suoi testi: “Mi voleva Strehler”. Coltissimo, preparato e volenteroso, Colaprico è l’uomo più adatto a quell’incarico, anche perché tanti anni fa, pur facendo il cronista di nera, cioè il cane da tartufi, e poi uno dei migliori segugi di Palazzo di Giustizia, dove tra l’altro seguì tutta la vicenda di Tangentopoli, portò in scena storie e personaggi della mala in un teatro nei pressi di piazzale Abbiategrasso, tra cui un bandito a cui la fantasia d’un cronista aveva assegnato il nome di uno strumento musicale solo perché la sua custodia era stata rinvenuta nell’androne di uno stabile da cui era stato visto uscire quello che era il fantasma di Milano.
le canzoni milanesi

Poi Colaprico cominciò a scrivere romanzi di successo, prima con Piero Valpreda, poi, alla morte dell’anarchico, da solo, pubblicando con grosse case editrici e da ultimo con Feltrinelli. Io lo conobbi quando iniziò a muovere i primi passi nell’agone del giornalismo e ad entrare nelle simpatie di mastini come Ferdinando Oscuri, detto Poirot, che aveva già capito che quel ragazzo era fatto di ottima stoffa. Anche a me apparve subito metà castoro e metà lepre. E lui ha dato ragione a chi lo stima e continua a farlo, quando lasciato il servizio a “Repubblica come direttore della redazione milanese, che fu dell’indimenticabile Guido Vergani, si è insediato sulla poltrona di direttore artistico del “teatro-bomboniera” Gerolamo, dove si esibirono i più grandi dello spettacolo da Eduardo a Milly a Mazzarella.
Adesso lo vedo quasi ogni giorno in televisione, a commentare i fattacci che accadono in quasi tutto il Paese, facendo soffrire qualche collega che, acculato su una seggiola sgangherata spacciata per trono, si limita a sognare. Colaprico va avanti con l’età senza glorificarsi di ciò che ha fatto e continua a fare ed è sempre quel ragazzo tranquillo, grande lavoratore, capace di sottrarre ore al sonno per coniugare la scrittura con il sipario. Opera sempre in silenzio, in modo pacato, prudente, lontano dalle polemiche, incurante delle invidie, magari rivivendo qualche volta i giorni in cui, se alle 4 del mattino un “trombettiere” gli soffiava una notizia, di quelle che fanno gola, ancora fresca. non mancava di saltare dal letto, vestirsi e correre sul luogo indicato.
Colaprico con gli attori
L’ho visto dunque all’opera, qualche volta abbiamo ficcato insieme il naso nel cuore di una chicca, l’abbiamo rivoltata scoprendo verità nascoste. Piero andava avanti per la sua strada, badava al sodo, spesso assestava colpi alla concorrenza e non se ne vantava. Stimato da tutti per la sua cultura, per il suo modo di raccontare, per la ricchezza dei dettagli, per i “biscottini” che seminava nella teglia. Scriveva in modo che chi lo leggeva riuscisse ad entrare negli ambienti da lui descritti e ad immaginarsi le pellacce finite al gabbio. Conosceva, oltre a moltissimi esponenti della “madama” e dei “caramba” e in tribunale giudici, pubblici ministeri, cancellieri. E aveva bene in mente qualche filo di malerba.
Insomma poteva serenamente essere considerato l’ultimo della vecchia guardia, il cui albo annoverava giornalisti come Arnaldo Giuliani, Fabio Mantica, Patrizio Fusar e altri. Le sue mietiture non avevano stagioni. Un giorno un collega si mise a fare domande ad Alberto Sala, un ispettore che lavorava in mezzo mondo con polizie straniere, anche con l’Fbi e con la Dea, e improvvisamente, fu interrotto: “Stai per caso cercando di dare un ‘buco’ a Piero Colaprico?”. E l’altro, come la volpe colta in procinto di saccheggiare un pollaio: “Per carità, è solo questione di curiosità”. E rimase come una statua di sale. Anche quel giorno il carniere di Piero era già pieno.
Piero Colaprico in questura
Un’attività intensa la sua. Fece inchieste con Oreste Del Buono; sviscerò la vita e le imprese dei membri di una famiglia malavitosa che aveva il suo quartiere generale all’estrema periferia di Milano; si occupò delle bande di borseggiatori o “mani di velluto” appostati nelle stazioni del metro e sui tram e bus più affollati; fece un resoconto preciso e dettagliato di una colossale operazione di polizia e carabinieri, alle 5 del mattino, in una roccaforte della droga…
Quando in un prestigioso locale di piazza Piemonte venne presentato uno dei suoi libri, presente anche il questore Paolo Scarpis e Paolo Colonnello, cronista di giudiziaria del “Giorno”, che aprì la serata con i virtuosismi del suo sassofono, Dario Cresto Dina, capo redattore di “Repubblica”, chiese come mai un giornalista, che deve tastare il polso della città e saltare quando il battito è irregolare, possa trovare il tempo di scrivere libri. Avrei voluto rispondere che ci sono giornalisti che sacrificano il sonno per restare incollati alla scrivania.
Questa in estrema sintesi la storia di Piero Colaprico come cronista di nera, che tra l’altro ha in memoria nomi, cognomi, specialità, imprese, cioè la storia dei pescicani e il mondo del malaffare, compreso quello di una volta, che non aveva come oggi il grilletto o la lama facili; e rispettava chi stava sull’altra sponda, armato d’intelligenza e gradi capacità investigative. Colaprico ha divorato polvere e consumato scarpe per esplorare, scoprire, come quella volta che da una macchia di sangue intuì, osservando il silenzio, l’autore di un delitto.
uno spettacolo
Adesso la sua storia è scritta negli “annales” della cronaca nera e lui respira l’aria del prestigioso Teatro Gerolamo, dove una volta affluivano i bambini per assistere agli spettacoli di marionette della Compagnia Carlo Colla & Figli. Poi, nel ‘57, il teatro entrò in crisi, al punto di rischiare la demolizione. Ma vegliava un santo protettore: Paolo Grassi, che allora dirigeva con Strehler il Piccolo Teatro. Il Gerolamo resuscitò e la sera del 9 aprile dell’anno successivo andò in scena “L’opera del pupo” di Eduardo De De Filippo, a seguire Pulcinella, prezzi dei biglietti da mille a dieci mila lire. Per quella serata il grande Eduardo interruppe le rappresentazioni al Teatro Odeon, facendo la gioa di Paolo Grassi, che aveva molta fiducia nella rinascita del teatro di piazza Beccaria, dove poi arrivò Piero Mazzarella.
Giorni fa l’ho chiamato, Piero, per essere informato sulla sua esperienza al Gerolamo. Non mi ha fatto aspettare né ha deluso le mie domande. “Quando mi sono dimesso da “Repubblica”, alla fine del 2011, sono rimasto disoccupato per un po’, poi sono stato assunto come direttore artistico al teatro Gerolamo, vero gioiello di architettura e di storia. E’ di proprietà privata e sta a 200 metri dal Duomo, nel cuore di Milano. Io avevo detto a chi mi ha assunto, una signora giapponese, architetto, Chitose Asano, che prima di allora avevo scritto per il teatro, che sicuramente andavo a vedere qualche spettacolo, ma non era il mio lavoro. Non importa, era stata la risposta, noi abbiamo fiducia che puoi farlo. E così mi sono buttato e dal 2022/23 curo il cartellone di quanto mettiamo in scena. Mi sono basato su due principi semplici.
Alberto Sala, Piero Colaprico. Franco Presicci
Uno, giornalistico: chiedo a chi sa più di me di teatro. L’altro personale: cerchiamo di non prendere niente che non convinca”. E rispunta il Piero saggio, prudente, attento. “Il nostro palco non ha grandi dimensioni, ma ha una grande forza, gli spettatori stanno tutti intorno, quindi se chi va in scena è bravo, arriva diritto al pubblico. Me n’ero accorto quando, prima di essere assunto, al Gerolamo era andato in scena un mio testo, “Qui città M.”, interpretato da Arianna Scommegna e con la regia di Serena Sinigaglia. E quando, dopo aver recitato anche con Luciano Lutring, un ex bandito, detto il solista del mitra, avevo portato al Gerolamo ”Milanoir Milanuit”, piccola storia di osteria che si avvaleva delle canzoni della mala interpretate da uno che al 2 di piazza Filangieri era stato davvero, come Giancarlo Peroncini, detto El Pelè, perché correva veloce, più della polizia”. E così, accanto ai grandi del teatro, da Paolo Rossi e Maddalena Crippa, da Sonia Bergamasco e Beppe Servillo e tanti altri - inutile citare tutti – abbiamo allineato anche attori più giovani, o più di nicchia, avendo tante belle sorprese e una grande risposta dal pubblico”.
Lo ascolto con interesse, entusiasmo e con un pizzico di emozione per il continuo successo di un amico caro e leale. Piero si sta quindi avviando ad altri successi “e ancora una volta metterò sul palco un pianoforte che ci hanno regalato: quello che usava Giovanni D’Anzi, quando suonava la sua canzone più celebre, ‘Madonnina’, l’inno di Milano”.
Vi ho snocciolato la storia di un virgulto di Puglia, culla a Putignano, la città degli abiti da sposa e del carnevale dalle maschere gigantesche.
 

Nessun commento:

Posta un commento