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Nei suoi ricordi: più che i trionfi, l'amarezza dei casi irrisolti.
Il suo desiderio: tornare a Taranto per ammirare i tramonti sul Mar Piccolo, alle 5 della sera..
(fr.
pr.) Nonostante fosse in pensione da diversi anni, gli capitava
di pensare alle indagini rimaste inceppate. E ne soffriva. Il lavoro
dell’investigatore è difficile e non è colpa sua se qualche volta
un assassino riesce a sgattaiolare.
Ma lui, Enzo Caracciolo, capo
della squadra Mobile di Milano dal ’68 al ’73, con se stesso era
intransigente. “I nostri insuccessi – mi disse durante una
conversazione nel salotto di casa sua affollata di libri, in via
Piave 8, a Milano, non sono come quelli di un cantante al Festival di
Sanremo”. Gli ricordai i suoi trionfi, ma, rivolgendomi un sorriso
amaro, replicò: “Se tali sono stati, non mi consolano”. Aveva in
mente Simonetta Ferrero, giovanissima studentessa trovata assassinata
nel bagno delle donne all’Università Cattolica la mattina del 26
luglio ’71; al tredicenne di Albignano di Truccazzano scomparso il
7 gennaio ’67 e cercato in tutta Italia anche con l’impiego dei
cani-poliziotto; alla ultrasettantenne trovata strangolata in casa,
dove riceveva spesso più di un amico. I sospetti coinvolsero un
giovane che collezionava scarpe: (ne aveva un centinaio e le lucidava
ogni giorno); ma un alibi inoppugnabile lo salvò dal naufragio. A
questi ricordi Caracciolo s’incupiva. Era uomo sensibile, umano,
riservato, pacato, severo. Alto, snello, elegante , comportamento da
“lord”, imponeva soggezione ai giovani commissari del turno di
notte alle Volanti, da Achille Serra a D’Orta, Micalizio; per non
parlare dei sottufficiali e degli agenti, che non di rado alle 11 di
sera lo vedevano varcare la porta del suo ufficio in questura, mentre
Milano dormiva e la malandra trafficava o se la spassava nei “nights”
tra “vamp” e “champagne”.
A sx il mitico Mario Nardone con Enzo Caracciolo |
Caracciolo era siciliano, e agli inizi della carriera aveva lavorato
a Taranto, città che con i suoi dintorni gli era rimasta cara, non
soltanto per il suo ponte girevole, per i suoi due mari, per lo
stesso Palazzo del Governo, di fattura mussoliniana, in cui aveva, e
ha, la sede il cuore della polizia, per le masserie di Crispiano, ben
cento, per le case incappucciate di Martina. Poi fu mandato a Milano
e in via Fatebenefratelli si trovò al fianco del mitico Mario
Nardone, detto il “Gatto”; e di altri due pilastri: Mario Jovine
e Vito Plantone, diventati in seguito questori, come lui. Ripassava
spesso quegli anni, legati a cani da tartufo che si chiamavano Franco
Colucci, oggi prefetto a riposo, e allora alla guida della seconda
divisione; Rodolfo Venezia, Ernesto Panvini; Enzo Sciscio, dirigente
della Buoncostume; i marescialli Ferdinando Oscuri, Giannattasio,
Petronella, al quale Caracciolo affidò la sezione furti e falsi…
Lo sollecitai a parlarmi dei duri che aveva preso o fatto prendere
all’amo dai suoi uomini e dei loro comportamenti durante gli
interrogatori (si facevano agnelli o continuavano a ruggire?); di
rivelarmi qualche particolare in più sul sequestri di persona, come
quello di Pietro Torelli, avvenuto il 18 dicembre ‘72. E dalle sue
parole stentate, interrotte da frequenti silenzi, capii che avrebbe
fatto volentieri a meno di queste domande. Ripiegò genericamente sul
fenomeno delle sostanze stupefacenti, che diventava sempre più
drammatico. Sul mercato – spiegava – quel veleno arrivava, e
continua ad arrivare, attraverso i canali più diversi, con i sistemi
più insospettabili. I pescicani erano, e sono, una flotta, e gli
spacciatori, “pusher”, “cavalli”…, anche. L’”èquipe”
di Caracciolo era infaticabile e molte volte conseguirono risultati
clamorosi. Assieme a Mario Nardone, passato dalla Mobile alla
Criminalpol, sequestrarono 100 chili di eroina pura (valore al minuto
parecchi miliardi) in un colpo solo.
Da sx: Mario Jovine, Vito Plantone, Enzo Caracciolo, Antonio Pagnozzi e Renato Oivieri |
Bisognava anche fronteggiare le bande di calabresi, siciliani,
pugliesi, napoletani, a cui si aggiungevano i marsigliesi poi
collegati alla mala romana e ai cileni, “sfrosador”, trafficanti
di preziosi. E le bische clandestine, in gergo “belande”, spesso
camuffate da circoli culturali, come quella di via Cellini, via
Panizza (svaligiata da sei o sette “cammise sporche”, traditori,
e fu la strage, del lorenteggio il 18 novembre ’81) e quella di
corso Sempione, che il 15 febbraio del ’79 fu al centro di una
violenta sparatoria tra pellacce che tempestavano dalla strada e
altre dal balcone del tempio del gioco d’azzardo. Le “belande”
erano anche all’aperto (in via Palmanova, all’Arena, in piazza
Tirana…sui marciapiedi, nel mezzanino del metro Garibaldi), in
centro e in periferia. Ne sbancarono una quasi sotto il Duomo con una
irruzione condotta personalmente da Enzo Caracciolo e Vito Plantone,
impegnati tra l’altro, nell’impresa di snidare gli autori delle
estorsioni e delle rapine.
“I problemi erano numerosi – aggiunse Caracciolo il giorno della
mia visita -. Tra questi i pezzi da novanta spediti al soggiorno
obbligato in Lombardia. Eravamo circondati da mafiosi, sui quali era
difficile avere notizie sottobanco”: i “vintidui sordi”, che
nella parlata della mala sono i confidenti, dai capibanda venivano
puniti inesorabilmente. Un esempio? In un paese nei pressi di Milano
un palermitano venne “garrotato” ad un carretto solo perché
sospettato di una soffiata. “Lo facemmo notare, al ministero
dell’Interno, che quel provvedimemto trapiantava la mafia al
Nord…”.. Nel ’70, Caracciolo fiutò la presenza di Tommaso
Buscetta su una vettura con tre palermitani a bordo. Ovviamente, non
sottovalutò la circostanza e fece sì che “don Masino” venisse
catturato in Canada, dove era atterrato. A Milano viveva, fra gli
altri, con nome e mestiere di fantasia, Luciano Liggio, la “primula
rossa di Corleone”, “Lucianeddu” per gli amici. Venne
acciuffato in via Ripamonti alle 6.30 del 16 maggio ’74 dalle
“Fiamme Gialle” del colonnello Giovanni Visicchio, anticipando di
pochi minuti la “madama” di Caracciolo.
Caracciolo e Plantone |
Un giorno tre poliziotti condussero il “boss” Joe Adonis
nell’ufficio di Enzo Caracciolo. Il dirigente della Mobile voleva
avere da lui alcuni chiarimenti sulla sua vita milanese, sui suoi
mezzi di sostentamento, sulle persone che frequentava…, ma il
personaggio svicolava, ripeteva che negli Stati Uniti era stato
arrestato per aver sbagliato di un solo giorno la data del suo
ingresso nella Grande Mela. Come poteva essere preciso, visto che
all’epoca era ancora in fasce?, domandò facendo il finto tondo.
“Insomma, alla fine – commentò Enzo - ne sapevo meno di prima”.
Con quante bocche cucite, oltre a quella di Joe, ebbe a che fare
questo poliziotto che al primo fiuto entrava nella testa della
gente?. E con quante scene da spettacolo improvvisate da elementi
messi da lui alle strette?. Un marsigliese in cella protestò
vivacemente per l’affronto subito, e poi da una borsa che portava
con sé emerse un registro impreziosito da appunti sulle attività di
certi locali notturni.
Caracciolo visse anche il tempo della trasformazione della malavita,
che rinunziava al rispetto, al timore riverenziale per il poliziotto
e non esitava più a premere il grilletto contro le divise. Era
l’alba degli Anni 70.
Il 24 febbraio ‘73, dopo aver neutralizzato i gangster del Mec con
Vito Plantone, al quale consegnò il testimone, lasciò la polizia. e
via Fatebefratelli perdette uno dei suo uomini migliori salito alla
carica di questore. Un poliziotto coraggioso, schivo che non amava i
teatrini. “Potevo finalmente leggere con calma i miei libri e
passare le serate in famiglia senza più improvvisi strilli del
telefono, ordini da dare o corse da fare. Potevo seguire le opere dei
miei pittori preferiti: Salvatore Fiume, Giuseppe Migneco…, e
contemplare la Puglia nei quadri di Filippo Alto”. Caracciolo era
colto, buon conversatore. Amico di Vito Plantone, che aveva condiviso
con lui la fatica nella lotta alle coppole storte e alla criminalità
comune. che non giurava fedeltà con il sangue da far colare sul
santino, ma ugualmente spietata
Nelle serate in casa di amici, in cui fumavano le orecchiette con le
cime di rapa spolverate con un pizzico di “diaulìcchie asquànde”,
seguite da seppie ripiene o da cozze “arracanàte”, non gradiva
le scivolate sulla sua brillante attività passata. Si divertiva al
racconto delle barzellette (alcune recitate da Vito Plantone, oltre
che dal sottoscritto) e a richiesta esprimeva i suoi giudizi su un
libro soprattutto di storia. Senza mai assumere atteggiamenti
cattedratici. Poi fondò un importante istituto di vigilanza. Nel
tentativo di aprire un varco nella sua memoria, una sera gli mostrai
le fotocopie di sei o sette pagine contenenti il cerimoniale
dell’investitura del ‘camorrista di sgarro’; e le “formule
d’investitura nella ‘onorata società di Calabria’”,
regalatemi da un investigatore che le aveva pescate in una tasca di
un seguace di Cutolo. Enzo le conosceva già. E divagò parlando del
suo desiderio di tornare a Taranto anche per ammirare i tramonti sul
Mar Piccolo, alle 5 della sera..
Bellissimo pezzo, Franco, bellissime foto. Grazie !
RispondiEliminaMilena
Franco, amico di tanti anni, nonchè bravo e sensibile giornalista, ti ringrazio per il ricordo di Enzo che hai pubblicato. Ho rivissuto quei momenti.
RispondiEliminaLeda Caracciolo
grazie, Milena
RispondiEliminaGrazie Franco del bel ricordo che hai pubblicato. Mi hai fatto rivivere i momenti belli e brutti di quel periodo.
RispondiEliminaLeda e figli.
Ho conosciuto il dottor Caracciolo nel 1980, quando già era diventato il Titolare della Licenza di Polizia dell'Istituto di Vigilanza " Città di Milano " sempre diretto in modo impeccabile, con alto senso del dovere,rispetto, e grande rapporto umano; qualità che lo hanno sempre comntradistinto anche nelle circostanze più difficili e complicate che la vita gli ha riservato.
RispondiEliminaNonostante siano passati tanti anni, il mio risordo è semore vivo e conservo nei Suoi confreonti grande stima ed affetto, ricambiato fino al giorno della sua scomparsa.
Grazie dottor Caracckiolo per tutto quello che mi ha insegnato e che non potrò mai dimenticare.