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mercoledì 27 gennaio 2016

Franco Presicci a colloquio con Enzo CARACCIOLO capo della squadra Mobile di Milano


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Nei suoi ricordi: più che i trionfi, l'amarezza dei casi irrisolti.  

Il suo desiderio: tornare a Taranto per ammirare i tramonti sul Mar Piccolo, alle 5 della sera..


(fr. pr.) Nonostante fosse in pensione da diversi anni, gli capitava di pensare alle indagini rimaste inceppate. E ne soffriva. Il lavoro dell’investigatore è difficile e non è colpa sua se qualche volta un assassino riesce a sgattaiolare.
Enzo Caracciolo a sinistra intervistato da Arnaldo Giuliani, capocronista de "Il Corriere della Sera".       Al centro, in secondo piano, Matteo Rabiti, allora maggiore della Guardia di Finanza, esperto internazionale di droga
Ma lui, Enzo Caracciolo, capo della squadra Mobile di Milano dal ’68 al ’73, con se stesso era intransigente. “I nostri insuccessi – mi disse durante una conversazione nel salotto di casa sua affollata di libri, in via Piave 8, a Milano, non sono come quelli di un cantante al Festival di Sanremo”. Gli ricordai i suoi trionfi, ma, rivolgendomi un sorriso amaro, replicò: “Se tali sono stati, non mi consolano”. Aveva in mente Simonetta Ferrero, giovanissima studentessa trovata assassinata nel bagno delle donne all’Università Cattolica la mattina del 26 luglio ’71; al tredicenne di Albignano di Truccazzano scomparso il 7 gennaio ’67 e cercato in tutta Italia anche con l’impiego dei cani-poliziotto; alla ultrasettantenne trovata strangolata in casa, dove riceveva spesso più di un amico. I sospetti coinvolsero un giovane che collezionava scarpe: (ne aveva un centinaio e le lucidava ogni giorno); ma un alibi inoppugnabile lo salvò dal naufragio. A questi ricordi Caracciolo s’incupiva. Era uomo sensibile, umano, riservato, pacato, severo. Alto, snello, elegante , comportamento da “lord”, imponeva soggezione ai giovani commissari del turno di notte alle Volanti, da Achille Serra a D’Orta, Micalizio; per non parlare dei sottufficiali e degli agenti, che non di rado alle 11 di sera lo vedevano varcare la porta del suo ufficio in questura, mentre Milano dormiva e la malandra trafficava o se la spassava nei “nights” tra “vamp” e “champagne”.
A sx il mitico Mario Nardone con  Enzo Caracciolo
Caracciolo era siciliano, e agli inizi della carriera aveva lavorato a Taranto, città che con i suoi dintorni gli era rimasta cara, non soltanto per il suo ponte girevole, per i suoi due mari, per lo stesso Palazzo del Governo, di fattura mussoliniana, in cui aveva, e ha, la sede il cuore della polizia, per le masserie di Crispiano, ben cento, per le case incappucciate di Martina. Poi fu mandato a Milano e in via Fatebenefratelli si trovò al fianco del mitico Mario Nardone, detto il “Gatto”; e di altri due pilastri: Mario Jovine e Vito Plantone, diventati in seguito questori, come lui. Ripassava spesso quegli anni, legati a cani da tartufo che si chiamavano Franco Colucci, oggi prefetto a riposo, e allora alla guida della seconda divisione; Rodolfo Venezia, Ernesto Panvini; Enzo Sciscio, dirigente della Buoncostume; i marescialli Ferdinando Oscuri, Giannattasio, Petronella, al quale Caracciolo affidò la sezione furti e falsi…
Lo sollecitai a parlarmi dei duri che aveva preso o fatto prendere all’amo dai suoi uomini e dei loro comportamenti durante gli interrogatori (si facevano agnelli o continuavano a ruggire?); di rivelarmi qualche particolare in più sul sequestri di persona, come quello di Pietro Torelli, avvenuto il 18 dicembre ‘72. E dalle sue parole stentate, interrotte da frequenti silenzi, capii che avrebbe fatto volentieri a meno di queste domande. Ripiegò genericamente sul fenomeno delle sostanze stupefacenti, che diventava sempre più drammatico. Sul mercato – spiegava – quel veleno arrivava, e continua ad arrivare, attraverso i canali più diversi, con i sistemi più insospettabili. I pescicani erano, e sono, una flotta, e gli spacciatori, “pusher”, “cavalli”…, anche. L’”èquipe” di Caracciolo era infaticabile e molte volte conseguirono risultati clamorosi. Assieme a Mario Nardone, passato dalla Mobile alla Criminalpol, sequestrarono 100 chili di eroina pura (valore al minuto parecchi miliardi) in un colpo solo.
Da sx: Mario Jovine, Vito Plantone, Enzo Caracciolo, Antonio Pagnozzi e Renato Oivieri
Bisognava anche fronteggiare le bande di calabresi, siciliani, pugliesi, napoletani, a cui si aggiungevano i marsigliesi poi collegati alla mala romana e ai cileni, “sfrosador”, trafficanti di preziosi. E le bische clandestine, in gergo “belande”, spesso camuffate da circoli culturali, come quella di via Cellini, via Panizza (svaligiata da sei o sette “cammise sporche”, traditori, e fu la strage, del lorenteggio il 18 novembre ’81) e quella di corso Sempione, che il 15 febbraio del ’79 fu al centro di una violenta sparatoria tra pellacce che tempestavano dalla strada e altre dal balcone del tempio del gioco d’azzardo. Le “belande” erano anche all’aperto (in via Palmanova, all’Arena, in piazza Tirana…sui marciapiedi, nel mezzanino del metro Garibaldi), in centro e in periferia. Ne sbancarono una quasi sotto il Duomo con una irruzione condotta personalmente da Enzo Caracciolo e Vito Plantone, impegnati tra l’altro, nell’impresa di snidare gli autori delle estorsioni e delle rapine.
“I problemi erano numerosi – aggiunse Caracciolo il giorno della mia visita -. Tra questi i pezzi da novanta spediti al soggiorno obbligato in Lombardia. Eravamo circondati da mafiosi, sui quali era difficile avere notizie sottobanco”: i “vintidui sordi”, che nella parlata della mala sono i confidenti, dai capibanda venivano puniti inesorabilmente. Un esempio? In un paese nei pressi di Milano un palermitano venne “garrotato” ad un carretto solo perché sospettato di una soffiata. “Lo facemmo notare, al ministero dell’Interno, che quel provvedimemto trapiantava la mafia al Nord…”.. Nel ’70, Caracciolo fiutò la presenza di Tommaso Buscetta su una vettura con tre palermitani a bordo. Ovviamente, non sottovalutò la circostanza e fece sì che “don Masino” venisse catturato in Canada, dove era atterrato. A Milano viveva, fra gli altri, con nome e mestiere di fantasia, Luciano Liggio, la “primula rossa di Corleone”, “Lucianeddu” per gli amici. Venne acciuffato in via Ripamonti alle 6.30 del 16 maggio ’74 dalle “Fiamme Gialle” del colonnello Giovanni Visicchio, anticipando di pochi minuti la “madama” di Caracciolo.
Caracciolo e Plantone
Un giorno tre poliziotti condussero il “boss” Joe Adonis nell’ufficio di Enzo Caracciolo. Il dirigente della Mobile voleva avere da lui alcuni chiarimenti sulla sua vita milanese, sui suoi mezzi di sostentamento, sulle persone che frequentava…, ma il personaggio svicolava, ripeteva che negli Stati Uniti era stato arrestato per aver sbagliato di un solo giorno la data del suo ingresso nella Grande Mela. Come poteva essere preciso, visto che all’epoca era ancora in fasce?, domandò facendo il finto tondo. “Insomma, alla fine – commentò Enzo - ne sapevo meno di prima”. Con quante bocche cucite, oltre a quella di Joe, ebbe a che fare questo poliziotto che al primo fiuto entrava nella testa della gente?. E con quante scene da spettacolo improvvisate da elementi messi da lui alle strette?. Un marsigliese in cella protestò vivacemente per l’affronto subito, e poi da una borsa che portava con sé emerse un registro impreziosito da appunti sulle attività di certi locali notturni.
Caracciolo visse anche il tempo della trasformazione della malavita, che rinunziava al rispetto, al timore riverenziale per il poliziotto e non esitava più a premere il grilletto contro le divise. Era l’alba degli Anni 70.
Il 24 febbraio ‘73, dopo aver neutralizzato i gangster del Mec con Vito Plantone, al quale consegnò il testimone, lasciò la polizia. e via Fatebefratelli perdette uno dei suo uomini migliori salito alla carica di questore. Un poliziotto coraggioso, schivo che non amava i teatrini. “Potevo finalmente leggere con calma i miei libri e passare le serate in famiglia senza più improvvisi strilli del telefono, ordini da dare o corse da fare. Potevo seguire le opere dei miei pittori preferiti: Salvatore Fiume, Giuseppe Migneco…, e contemplare la Puglia nei quadri di Filippo Alto”. Caracciolo era colto, buon conversatore. Amico di Vito Plantone, che aveva condiviso con lui la fatica nella lotta alle coppole storte e alla criminalità comune. che non giurava fedeltà con il sangue da far colare sul santino, ma ugualmente spietata
Da sx:  il prefetto  Antonio Pagnozzi, il questore Enzo Caracciolo, il maresciallo Arnaldo Petronella, il prefetto Mario Jovine, il giornalista del "Corriere" Max Monti, il questore Vito Plantone, il giornalista Arnaldo Giuliani e il prefetto Francesco Colucci
Nelle serate in casa di amici, in cui fumavano le orecchiette con le cime di rapa spolverate con un pizzico di “diaulìcchie asquànde”, seguite da seppie ripiene o da cozze “arracanàte”, non gradiva le scivolate sulla sua brillante attività passata. Si divertiva al racconto delle barzellette (alcune recitate da Vito Plantone, oltre che dal sottoscritto) e a richiesta esprimeva i suoi giudizi su un libro soprattutto di storia. Senza mai assumere atteggiamenti cattedratici. Poi fondò un importante istituto di vigilanza. Nel tentativo di aprire un varco nella sua memoria, una sera gli mostrai le fotocopie di sei o sette pagine contenenti il cerimoniale dell’investitura del ‘camorrista di sgarro’; e le “formule d’investitura nella ‘onorata società di Calabria’”, regalatemi da un investigatore che le aveva pescate in una tasca di un seguace di Cutolo. Enzo le conosceva già. E divagò parlando del suo desiderio di tornare a Taranto anche per ammirare i tramonti sul Mar Piccolo, alle 5 della sera..

5 commenti:

  1. Bellissimo pezzo, Franco, bellissime foto. Grazie !
    Milena

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  2. Franco, amico di tanti anni, nonchè bravo e sensibile giornalista, ti ringrazio per il ricordo di Enzo che hai pubblicato. Ho rivissuto quei momenti.
    Leda Caracciolo

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  3. Grazie Franco del bel ricordo che hai pubblicato. Mi hai fatto rivivere i momenti belli e brutti di quel periodo.

    Leda e figli.

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  4. Ho conosciuto il dottor Caracciolo nel 1980, quando già era diventato il Titolare della Licenza di Polizia dell'Istituto di Vigilanza " Città di Milano " sempre diretto in modo impeccabile, con alto senso del dovere,rispetto, e grande rapporto umano; qualità che lo hanno sempre comntradistinto anche nelle circostanze più difficili e complicate che la vita gli ha riservato.
    Nonostante siano passati tanti anni, il mio risordo è semore vivo e conservo nei Suoi confreonti grande stima ed affetto, ricambiato fino al giorno della sua scomparsa.
    Grazie dottor Caracckiolo per tutto quello che mi ha insegnato e che non potrò mai dimenticare.

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