Lavorò
in questura a Milano con il mitico Mario Nardone
Ferdinando Oscuri |
Appena arrivava la notizia di un misfatto, partiva, sapendo dove andare a pescare. Conosceva molto bene il mondo della malavita meneghina e le tecniche delle singole pellacce.
Franco Presicci
“Questo Ercole della Mobile è un po’ Poirot”, titolò il
quotidiano “Il Giorno” il 3 aprile dell’85. Infatti il
maresciallo Ferdinando Oscuri, oltre a una figura possente, aveva un
ottimo fiuto. In via Fatebenefratelli, già sede del Collegio Longone
(eretto tra il 1838 e il 1842), dove la questura era stata trasferita
dopo che l’edificio che la ospitava in piazza San Fedele era stato
sbriciolato dal bombardamento del 16 agosto del ’43, approdò nel
febbraio del ’46; e cominciò a lavorare con il mitico Mario
Nardone, che un paio di anni fa è stato raccontato in uno
sceneggiato televisivo. Vito Plantone e Mario Jovine, allora giovani
commissari, dicevano che, come Nardone,Oscuri era un lupo solitario.
Appena si aveva notizia di un misfatto, lui sfogliava il proprio
archivio mentale, che conteneva i nomi dei caporioni e della
manovalanza della malandra e i luoghi in cui andare a cercarli e si
avviava. Se le porte a cui bussava non si aprivano, faceva un giro
più lungo, e alla fine rientrava con il carniere pieno.
Ferdinando Oscuri e Mario Nardone |
Non aveva
paura di niente e di nessuno. Era severo, burbero, schietto, molto
umano. Uno dei pilastri della polizia. Anche grazie a lui venne individuata la batteria che la mattina del
27 febbraio del ’58 aveva assaltato in via Osoppo un furgone della
Banca Popolare, passando alla storia del crimine come quella che
aveva realizzato la “rapina del secolo” per la perfezione del
piano e per l’entità del bottino. Gli investigatori vennero
illuminati dalla scoperta nel letto del canale Olona di due tute blu,
indumento indossato dal commando nell’azione, e dopo intense
ricerche accertarono pure che al colpo aveva partecipato un reduce
della famigerata “banda Dovunque”, una delle prime del
dopoguerra. Poi Oscuri, che era anche istruttore di lotta giapponese,
e Nardone salirono a bordo del bastimento “Surriento” diretto in
Venezuela, dove si era rifugiato il “droghiere”, appellativo di
uno della “gang”. Ritrovammo l’Ercole della questura nel
terribile pomeriggio del 25 settembre del ’67, quando Pietro
Cavallero e i suoi tre complici, dopo una rapina all’agenzia di
largo Zandonai del Banco di Napoli, per sfuggire alla cattura,
spararono da una 1100 nera lanciata a 130 all’ora, provocando 4
morti e 20 feriti.
Oscuri parte con Nardone per il Venezuela |
Una sera del settembre 1968 un apprendista tipografo di sedici anni
con un fucile da caccia calibro 16, rubato poco prima nell’abitazione
di un portinaio di Segrate, in una stradina campestre dalle parti del
Parco Forlanini, fece fuoco contro una coppietta, uccidendo una
persona e ferendone un’altra. Ispirato da una cartuccia di
quell’arma,.di cui a Milano esistevano pochi esemplari, il
poliziotto risalì all’autore del fattaccio, rinvenendo poi i
pantaloni bagnati e le scarpe con fili d’erba sulla suola, nascosti
nel bagno di casa pronti per essere lavati. Quel ricordo gli
procurava ancora qualche emozione, e lo evitava. Ciononostante, una
mattina nel cortile di via Fatebenefratelli, dove Ugo Tognazzi e
Carlo Delle Piane stavano girando alcune scene del film tratto dal
libro “Maledetto ferragosto” del giallista Renato Olivieri, per
non farmi una scortesia, soddisfece la mia curiosità. “Ero a casa
quando ricevetti la telefonata del dottor Enzo Caracciolo, allora
capo della Mobile, che era già sul posto. Uscìi come un razzo, lo
raggiunsi e mi accinsi a raccogliere le tessere per il mosaico”.
Poi, accompagnando il giovane in via Fatebenefratelli, fece di tutto
per metterlo a suo agio, chiedendogli notizie del suo paese
d’origine, della famiglia, degli amici, della sua storia di
immigrato, del suo lavoro, “stando bene attento a non fargli capire
di essere sospettato”. In ufficio continuò per un’oretta a
fargli quel tipo di domande; e all’improvviso arrivò al dunque, ma
sempre con tono amichevole. “Mo’ tu hai fatto questa sciocchezza,
ma lo sai che hai lasciato sul posto il fucile carico in aperta
campagna e qualcuno, anche un tuo familiare, potrebbe mettere un
piede sopra, far partire un colpo e rimanere fulminato?”.
L’aspirante artigiano sollevò la testa, lo guardò e chiese di
essere portato dove aveva lasciato l’arma”. Erano passate
soltanto 12 ore.
Oscuri, Plantone e Caracciolo |
Sempre nel cortile della questura, a metà ottobre dell’84, Angelo
Epaminonda, che dopo aver tenuto per anni le leve del comando del
clan dei catanesi fra bische, coca e delitti, si era trasformato in
collaboratore di giustizia, al termine di un “colloquio”,
ammanettato, salutò con grande rispetto il sottufficiale, che poi mi
disse: “Quando il ‘“tebano’ (nomignolo dovuto al cognome:
n.d.a.), la notte del 29 settembre, cioè circa un mese fa, si è
trovato sulla porta di casa il sostituto procuratore Francesco Di
Maggio e il capo della Mobile Achille Serra,si è congratulato con
loro per essere stati capaci di intrappolarlo usando la parola
d’ordine”.
Amabilmente sollecitato, Oscuri, nato a San Ferdinando di Puglia il
24 gennaio del ’22 ed entrato in polizia il 27 maggio del ’41, se
era in vena li lasciava fluire, i ricordi. Per esempio, brani
dell’interrogatorio di Rina Fort, accusata di aver ucciso, il 30
novembre del ’46, in un piccolo appartamento di via San Gregorio
40, la moglie del proprio amante e i suoi tre figli (condannata
all’ergastolo, negò fino alla morte di aver tolto la vita ai
bambini).
Don Ferdinando (il titolo scaturiva dalla stima e
dall’affetto) la prelevò sul posto di lavoro, un biscottificio in
via Settembrini, e lei, anziché la sua pelliccia con la fodera
sporca di sangue, tentò d’indossare il cappotto di una sua
collega, che la bloccò. Lo si ascoltava volentieri. L’ultima volta
mi sintetizzò le indagini svolte con un altro Maigret dell’epoca,
Ludovico Reale, capo della Mobile, sulla “banda Dovunque”, il cui
primo bersaglio fu un’oreficeria milanese di via Bigli, il 30 marzo
del ’49. Ebbe vita breve. Venne sgominata nell’ottobre dopo molte
rapine in diverse città, e con un intervallo così breve tra una
“binta” e l’altra, da far pensare al dono dell’ubiquità.
Oscuri arresta un boss |
A
Oscuri e alle imprese di altri elementi di rilievo della “madama”,
come il maresciallo Giannattasio, sono dedicate pagine in un libro
ormai raro, “Italia nera” di Franco Di Bella, che, pubblicato nel
1960, parte dalle imprese di Salvatore Giuliano; di Bezzi e Barbieri
e dell’Aprilia nera con cui nel ’45 terrorizzarono Milano; della
rivolta di San Vittore iniziata il 21 aprile del ’46, giorno di
Pasqua, e sedata qualche giorno dopo… Mi fu regalato da un grande
cronista de “Il Corriere della Sera”: Arnaldo Giuliani,
apprezzato anche per la sua scrittura elegante ed efficace, e per la
sua disponibilità. Anche lui stimava molto Oscuri; e quando ci
sentivamo o ci vedevamo davanti a un piatto di orecchiette con le
cime di rapa, mi chiedeva spesso sue notizie. Poi Arnaldo, che al
“Corriere” aveva fatto una carriera brillante (inviato, pilota
della cronaca, commentatore), se n’è andato, dopo essere stato
direttore de “Il Corriere Adriatico di Ancona, quindi capo
redattore di “Chi”; e due anni fa il viaggio senza ritorno lo ha
compiuto anche Ferdinando, a 92 anni. Durante la malattia gli ho
fatto visita più volte, e senza che glielo chiedessi mi accennava
alle sue giornate di caccia in Jugoslavia, in Kenya, in Spagna…; a
sua moglie, che adorava: erta morta tanto tempo prima, creandogli un
vuoto che lui non aveva mai voluto colmare.
Achille Serra e Francesco Colucci |
L'ho conosciuto personalmente, non era solo cacciatore di delinquenti, ma cacciatore di selvaggina, amava la caccia ed era un mio cliente, specialmente "caccia grossa" africana. L'ho incontrato per l'ultima volta in Cordusio, negli Uffici Amministrativi della Questura e mi disse che soffriva il mal di schienae non riusciva più a camminare bene, che aveva difficoltà con la sua grande passione, la caccia, era dolente per non riuscire a praticarla come gli sarebbe piaciuto. Sono trascorsi un "po" di anni ma mi par ieri.
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