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mercoledì 3 febbraio 2016

IL MARESCIALLO OSCURI UN LUPO SOLITARIO


Lavorò in questura a Milano con il mitico Mario Nardone


Ferdinando Oscuri

Appena arrivava la notizia di un misfatto, partiva, sapendo dove andare a pescare. Conosceva molto bene il mondo della malavita meneghina e le tecniche delle singole pellacce.



Franco Presicci


“Questo Ercole della Mobile è un po’ Poirot”, titolò il quotidiano “Il Giorno” il 3 aprile dell’85. Infatti il maresciallo Ferdinando Oscuri, oltre a una figura possente, aveva un ottimo fiuto. In via Fatebenefratelli, già sede del Collegio Longone (eretto tra il 1838 e il 1842), dove la questura era stata trasferita dopo che l’edificio che la ospitava in piazza San Fedele era stato sbriciolato dal bombardamento del 16 agosto del ’43, approdò nel febbraio del ’46; e cominciò a lavorare con il mitico Mario Nardone, che un paio di anni fa è stato raccontato in uno sceneggiato televisivo. Vito Plantone e Mario Jovine, allora giovani commissari, dicevano che, come Nardone,Oscuri era un lupo solitario. Appena si aveva notizia di un misfatto, lui sfogliava il proprio archivio mentale, che conteneva i nomi dei caporioni e della manovalanza della malandra e i luoghi in cui andare a cercarli e si avviava. Se le porte a cui bussava non si aprivano, faceva un giro più lungo, e alla fine rientrava con il carniere pieno.
Ferdinando Oscuri e Mario Nardone
Non aveva paura di niente e di nessuno. Era severo, burbero, schietto, molto umano. Uno dei pilastri della polizia. Anche grazie a lui venne individuata la batteria che la mattina del 27 febbraio del ’58 aveva assaltato in via Osoppo un furgone della Banca Popolare, passando alla storia del crimine come quella che aveva realizzato la “rapina del secolo” per la perfezione del piano e per l’entità del bottino. Gli investigatori vennero illuminati dalla scoperta nel letto del canale Olona di due tute blu, indumento indossato dal commando nell’azione, e dopo intense ricerche accertarono pure che al colpo aveva partecipato un reduce della famigerata “banda Dovunque”, una delle prime del dopoguerra. Poi Oscuri, che era anche istruttore di lotta giapponese, e Nardone salirono a bordo del bastimento “Surriento” diretto in Venezuela, dove si era rifugiato il “droghiere”, appellativo di uno della “gang”. Ritrovammo l’Ercole della questura nel terribile pomeriggio del 25 settembre del ’67, quando Pietro Cavallero e i suoi tre complici, dopo una rapina all’agenzia di largo Zandonai del Banco di Napoli, per sfuggire alla cattura, spararono da una 1100 nera lanciata a 130 all’ora, provocando 4 morti e 20 feriti.
Oscuri parte con Nardone per il Venezuela
Una sera del settembre 1968 un apprendista tipografo di sedici anni con un fucile da caccia calibro 16, rubato poco prima nell’abitazione di un portinaio di Segrate, in una stradina campestre dalle parti del Parco Forlanini, fece fuoco contro una coppietta, uccidendo una persona e ferendone un’altra. Ispirato da una cartuccia di quell’arma,.di cui a Milano esistevano pochi esemplari, il poliziotto risalì all’autore del fattaccio, rinvenendo poi i pantaloni bagnati e le scarpe con fili d’erba sulla suola, nascosti nel bagno di casa pronti per essere lavati. Quel ricordo gli procurava ancora qualche emozione, e lo evitava. Ciononostante, una mattina nel cortile di via Fatebenefratelli, dove Ugo Tognazzi e Carlo Delle Piane stavano girando alcune scene del film tratto dal libro “Maledetto ferragosto” del giallista Renato Olivieri, per non farmi una scortesia, soddisfece la mia curiosità. “Ero a casa quando ricevetti la telefonata del dottor Enzo Caracciolo, allora capo della Mobile, che era già sul posto. Uscìi come un razzo, lo raggiunsi e mi accinsi a raccogliere le tessere per il mosaico”.
Oscuri, Plantone e Caracciolo
Poi, accompagnando il giovane in via Fatebenefratelli, fece di tutto per metterlo a suo agio, chiedendogli notizie del suo paese d’origine, della famiglia, degli amici, della sua storia di immigrato, del suo lavoro, “stando bene attento a non fargli capire di essere sospettato”. In ufficio continuò per un’oretta a fargli quel tipo di domande; e all’improvviso arrivò al dunque, ma sempre con tono amichevole. “Mo’ tu hai fatto questa sciocchezza, ma lo sai che hai lasciato sul posto il fucile carico in aperta campagna e qualcuno, anche un tuo familiare, potrebbe mettere un piede sopra, far partire un colpo e rimanere fulminato?”. L’aspirante artigiano sollevò la testa, lo guardò e chiese di essere portato dove aveva lasciato l’arma”. Erano passate soltanto 12 ore.
Sempre nel cortile della questura, a metà ottobre dell’84, Angelo Epaminonda, che dopo aver tenuto per anni le leve del comando del clan dei catanesi fra bische, coca e delitti, si era trasformato in collaboratore di giustizia, al termine di un “colloquio”, ammanettato, salutò con grande rispetto il sottufficiale, che poi mi disse: “Quando il ‘“tebano’ (nomignolo dovuto al cognome: n.d.a.), la notte del 29 settembre, cioè circa un mese fa, si è trovato sulla porta di casa il sostituto procuratore Francesco Di Maggio e il capo della Mobile Achille Serra,si è congratulato con loro per essere stati capaci di intrappolarlo usando la parola d’ordine”.
Amabilmente sollecitato, Oscuri, nato a San Ferdinando di Puglia il 24 gennaio del ’22 ed entrato in polizia il 27 maggio del ’41, se era in vena li lasciava fluire, i ricordi. Per esempio, brani dell’interrogatorio di Rina Fort, accusata di aver ucciso, il 30 novembre del ’46, in un piccolo appartamento di via San Gregorio 40, la moglie del proprio amante e i suoi tre figli (condannata all’ergastolo, negò fino alla morte di aver tolto la vita ai bambini).
Oscuri arresta un boss
Don Ferdinando (il titolo scaturiva dalla stima e dall’affetto) la prelevò sul posto di lavoro, un biscottificio in via Settembrini, e lei, anziché la sua pelliccia con la fodera sporca di sangue, tentò d’indossare il cappotto di una sua collega, che la bloccò. Lo si ascoltava volentieri. L’ultima volta mi sintetizzò le indagini svolte con un altro Maigret dell’epoca, Ludovico Reale, capo della Mobile, sulla “banda Dovunque”, il cui primo bersaglio fu un’oreficeria milanese di via Bigli, il 30 marzo del ’49. Ebbe vita breve. Venne sgominata nell’ottobre dopo molte rapine in diverse città, e con un intervallo così breve tra una “binta” e l’altra, da far pensare al dono dell’ubiquità.
A Oscuri e alle imprese di altri elementi di rilievo della “madama”, come il maresciallo Giannattasio, sono dedicate pagine in un libro ormai raro, “Italia nera” di Franco Di Bella, che, pubblicato nel 1960, parte dalle imprese di Salvatore Giuliano; di Bezzi e Barbieri e dell’Aprilia nera con cui nel ’45 terrorizzarono Milano; della rivolta di San Vittore iniziata il 21 aprile del ’46, giorno di Pasqua, e sedata qualche giorno dopo… Mi fu regalato da un grande cronista de “Il Corriere della Sera”: Arnaldo Giuliani, apprezzato anche per la sua scrittura elegante ed efficace, e per la sua disponibilità. Anche lui stimava molto Oscuri; e quando ci sentivamo o ci vedevamo davanti a un piatto di orecchiette con le cime di rapa, mi chiedeva spesso sue notizie. Poi Arnaldo, che al “Corriere” aveva fatto una carriera brillante (inviato, pilota della cronaca, commentatore), se n’è andato, dopo essere stato direttore de “Il Corriere Adriatico di Ancona, quindi capo redattore di “Chi”; e due anni fa il viaggio senza ritorno lo ha compiuto anche Ferdinando, a 92 anni. Durante la malattia gli ho fatto visita più volte, e senza che glielo chiedessi mi accennava alle sue giornate di caccia in Jugoslavia, in Kenya, in Spagna…; a sua moglie, che adorava: erta morta tanto tempo prima, creandogli un vuoto che lui non aveva mai voluto colmare.
Achille Serra e Francesco Colucci
Alla cerimonia funebre in chiesa c’erano centinaia di persone, tra poliziotti, giornalisti, amici ed estimatori. Il profilo di Nando tracciato dal presbiterio da Achille Serra, già prefetto di Roma (dopo essere stato prima direttore del Sco e poi al vertice della polizia milanese), commosse tutti: il questore Lucio Carluccio, venuto da Brescia; Filippi, da Pavia; Lucchese, questore del capoluogo lombardo prima di Serra; il prefetto Francesco Colucci, che da vicecapo della Mobile, aveva anche contribuito all’arresto, a Misiano di Rimini, nell’agosto dell’84, di due luogotenenti di Epaminonda; il vicequestore Fabiano, che un mese prima mi aveva pregato di seguirlo in via Stelvio, dove Oscuri abitava….Appena lo vide, il Poirot apulo-milanese sollevò il capo e sorridendo lo interpellò: “Allora? A quando la promozione?” Poi, rivolgendosi a me: “La madama ha perduto tanti pezzi importanti: Scrofani, Sciscio, Giannattasio, Plantone…A poco a poco finiamo tutti sulla stessa barca. Purtroppo la gente non ci pensa”. Salutandolo, gli promisi dei biscotti pugliesi fatti in casa, ma non feci in tempo.


1 commento:

  1. L'ho conosciuto personalmente, non era solo cacciatore di delinquenti, ma cacciatore di selvaggina, amava la caccia ed era un mio cliente, specialmente "caccia grossa" africana. L'ho incontrato per l'ultima volta in Cordusio, negli Uffici Amministrativi della Questura e mi disse che soffriva il mal di schienae non riusciva più a camminare bene, che aveva difficoltà con la sua grande passione, la caccia, era dolente per non riuscire a praticarla come gli sarebbe piaciuto. Sono trascorsi un "po" di anni ma mi par ieri.

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