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mercoledì 21 settembre 2016

Serata indimenticabile, quella del 25 maggio ‘87


GRANDE FESTA PER RENATO OLIVIERI

PADRE DEL COMMISSARIO AMBROSIO





Il grande giallista, che Raffaele Crovi paragonò a Giorgio Scerbanenco,      



fotografava gli ambienti
prima di scrivere i suoi romanzi.



Prestava al Commissario di carta,
intelligente e amante dell'arte,
le proprie notevoli doti di
cultura.








Franco Presicci


Quella con il commissario Ambrosio nella cascina trasformata in lussuoso ristorante fu una grande serata. Il sagace poliziotto di carta, nato dalla fantasia del giallista Renato Olivieri, era una calamita; e per unirsi alla compagnia che lo festeggiava, il 25 maggio ’87,
Serra,Catalano,Jovine,Plantone,Caracciolo,Olivieri,Pagnozzi
arrivarono tanti investigatori veri: i questori Vito Plantone da La Spezia; Mario Jovine da Roma; Vincenzo Putomatti da Sondrio, Antonio Pagnozzi da Voghera. Enzo Caracciolo, ormai in pensione, ma con il cuore sempre in via Fatebenefratelli, sede della questura. Tutti al fianco di Umberto Catalano, al vertice della polizia milanese. Rizzoli aveva appena pubblicato le ultime imprese di Ambrosio raccolte nel libro “Largo Richini”, e pregai Guido Gerosa, scrittore e grande giornalista che aveva iniziato la brillante carriera al quotidiano del pomeriggio “La Notte”, passando poi a L’Europeo”, ad Annabella, al “Giorno” come vicedirettore, rimanendo appassionato di “nera”, di parlare dell’autore e della sua creatura.
Direttore del Giorno Rizzi,Gerosa,Olivieri,Giuliani
Dopo Gerosa, prese il microfono Arnaldo Giuliani, che della “nera” era un principe, e aveva una memoria di ferro (da poco aveva ceduto l’incarico di capocronista del “Corriere della Sera”). Intervistò tutti i Maigret presenti, ricucendo brandelli di storia della criminalità milanese. “Un ‘bouquet’ di questori come questo non si era mai visto”, disse subito Arnaldino, come gli amici chiamavano il vecchio cane da tartufi che si apprestava a lasciare Milano per andare a dirigere “Il Corriere Adriatico” di Ancona.
Plantone, Pagnozzi, Caracciolo avevano diretto la Squadra mobile, in quegli anni gestita da Achille Serra; e di episodi ne rispolverarono. Qualcuno mai imenticato.
Beria di Argentine, il giudiice Papi, la moglie di Jovine
Uno dei più memorabili accadde il 10 ottobre del ’56, alle 11.30, quando due fratelli un po’ fuori di testa arrivarono in motorino a Terrazzano, entrarono con uno stratagemma nella scuola elementare, estrassero le pistole e riunirono in un’aula due maestre e 96 bambini. Poi lanciarono dalla finestra un messaggio con la richiesta di 200 milioni in cambio della vita degli ostaggi. Cominciò l’incubo. Dopo sei ore una insegnante, spinta dalla paura, si buttò contro uno dei due, lottò con disperazione, riuscendo a disarmarlo; non mollò la presa, mentre il noto investigatore privato Tom Ponzi e un operaio tentavano di conquistare una finestra. Ci riuscirono, Ponzi, ex paracadutista, 120 chili di peso, mise a tappeto uno dei fratelli, l’operaio rimase ucciso nella confusione del momento. Alle 16.46 i bambini potettero essere riabbracciati.
Olivieri,2°a dx,ascolta Catalano
I cronisti dei giornali e della televisione, ospiti della manifestazione del maggio ’87, avidi di notizie, improvvisarono nel vestibolo del locale una sala stampa, e martellarono di domande dirigenti e sottufficiali di via Fatebenefratelli. Che tipo di gente bazzicava le bische? Chi le gestiva? Qual era il volume degli affari illeciti? Come si era trasformata la malavita?... Arnaldo, che conosceva bene la città, la malandra che vi allignava e il suo gergo, per il quale le forze dell’ordine erano “la madama” e “i caramba”, aveva già detto abbastanza; ma i cronisti volevano sapere di più. E appresero tra l’altro che molti di quei personaggi erano venerati dai furfanti per la loro umanità.
Non di rado, per esempio, raccomandavano ai loro uomini che andavano a perquisire le abitazioni di stare attenti a non svegliare i bambini, e se ne prendevano cura quando i genitori venivano impacchettati.
Catalano premia Olivieri
Vito Plantone, sempre molto misurato, disse che a volte le indagini prendono la strada giusta per merito della fortuna; Mario Jovine, raccontò la rapina di via Osoppo, 27 febbraio del ’58, l’arresto delle sette tutte blu che l’avevano realizzata e la decisione del capo della Mobile Zamparelli di portare tutti i “segugi” nella Chiesa di Santa Rita, di cui era devoto. Qualcuno ricordò i principi della cronaca di una volta, tra i quali Ferruccio Lanfranchi, e maestri come Tommaso Besozzi.
Serata in onore di Olivieri







Fu una serata interessantissima, alla quale parteciparono anche il procuratore generale della Repubblica Beria di Argentine, i pubblici ministeri Piercamillo Davigo e Francesco Di Maggio, generali della Finanza,colonnelli dei carabinieri…Piero Giorgianni, direttore de “La Notte”, si avvicinò a uno dei fotografi, Dante Federici, e lo pregò di portargli al giornale non oltre le 2, “cioè fra tre ore”, tutte le foto da lui scattate; e all’evento dedicò una pagina, con un titolo a sette colonne: “I ricordi della madama – Venticinque anni di cronaca nera raccontati da grandi poliziotti”. Gioiva, Renato Olivieri, uomo colto - per anni direttore della rivista mondadoriana “Arte” - che aveva prestato ad Ambrosio le proprie doti, compreso l’amore per la letteratura.
Giuliani, la moglie, Gerosa, Olivieri, Oriani
Raffaele Crovi il 28 aprile dell’83 aveva scritto: “Ho riletto il quarto poliziesco di Renato Olivieri, ‘L’indagine interrotta’ (Rusconi, pagg.158, lire 14.000). L’avevo già letto in versione dattiloscritta: l’ho riletto con il sottile piacere con cui si beve, stagionato di un anno in bottiglia, il vino già riconosciuto buono alla spina della botte”. Aveva scoperto Olivieri giallista nel ’77 e aveva tenuto a battesimo il suo primo thriller, “Il caso Kodra”. Lo considerava, accanto ad Augusto De Angelis e Giorgio Scerbanenco, il terzo talento della narrativa poliziesca italiana. E il 15 maggio ’87 Oreste Del Buono, elogiando su “Repubblica” “Largo Richini” e tutto il lavoro di questo egregio scrittore, titolo “Tour guidato con omicidio”, attraversò con Giulio Ambrosio le vie e le piazze teatro degli omicidi di cui si era occupato: Porta Lodovica, via Donizetti, viale Romagna, piazza Napoli, largo Gemelli…: luoghi che Olivieri, come sempre, aveva esplorato prima di mettersi a scrivere, fotografandoli con la sua “Leica”.
Il giornalista Abbiati con il libro di Olivieri
Ero amico di Olivieri. La serata del 25 maggio ’87 l’avevo organizzata io, mettendoci tutto l’impegno possibile. Un paio di anni prima avevo pregato lo scrittore di presentare il libro “Belmonte” del tarantino Franco Zoppo all’Associazione regionale pugliesi, in piazza Duomo, dove il responsabile delle attività culturali era Filippo Alto, ma all’ultimo momento aveva avuto un problema. Gli chiesi di venire con me in auto a Brescia, dove le “donne elettrici” mi avevano invitato a una cena con Vito Plantone, questore in quella città, annunciandomi che dopo avrei dovuto intervistarlo sul palco di un prestigioso teatro. Ne approfittai per parlare anche della produzione di Olivieri, che a sua volta sottolineò le virtù umane e professionali di Plantone, di cui conosceva l’opera svolta in via Fatebenefratelli e altrove.
 La serata continuò con pochi amici in casa di Vito. Io sapevo che con lui si faceva sempre tardi e non mi accorgevo del tempo che passava. Ma Olivieri, con il suo solito garbo, mi sollecitava a salutare. Era un gentiluomo. Uomo discreto, cordiale, generoso, di poche parole, pittore, oltre che scrittore. Amava profondamente Milano. Nei suoi romanzi l’ha descritta nei minimi particolari, facendola assurgere a personaggio delle sue storie.
Nato nel ’25 a Sanguineto, in provincia di Verona (il paese di un altro grande, Giulio Nascimbeni, giornalista e biografo di Montale), era milanese con convinzione. Un giorno, dovendo io scrivere un pezzo per la prima pagina del “Giorno” sullo sconosciuto che in zona San Siro tormentava il fondoschiena dei passanti sparando frecce con mira infallibile, gli chiesi un parere da giallista. E anche se dal “Giorno” era passato al “Corriere” non si schermì, per cortesia e amicizia.





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