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mercoledì 4 gennaio 2017

In via Tobagi 8, dove c’erano soltanto boschi



LA FORNACE CURTI, ALLA BARONA

CUSTODISCE UN PEZZO DI MILANO




Alberto Curti
 

Sorta nel 1428, eseguì i cotti per la costruzione della      Ca’ Granda, l’ospedale Maggiore, voluto da Bianca Maria Visconti, moglie del duca della città, Francesco Sforza.

 

 

 

Il progetto dell’opera fu del Filarete (Antonio Averulino).

 

 

 

Alberto Curti, che vive da ragazzo in questa “bottega” storica, continua la prestigiosa attività con vero amore.

 

 

                                                                                                 



Franco Presicci

L'ingresso della Fornace Curti
La rivoluzione urbanistica a Milano ha risparmiato qualche scampolo di borgo antico. Piazza Belloveso, per esempio, dove sfocia la via Passerini con la sua bella cascina reintegrata che ospita il comando dei vigili urbani e una sede decentrata del Comune. Se, fiancheggiando il Naviglio Grande, si supera, sul lato destro, la chiesa di San Cristoforo, dirimpetto al ponte di ferro che scavalca il canale, si raggiunge la Barona e s’incontrano case annose, piccole chiese, sopravvivenze rurali… ancora intatte. A poca distanza dal tempio dedicato a Santa Rita, che accolse il capo della squadra Mobile Zamparelli, devoto della protettrice delle donne desiderose di maternità, dei salumieri…, e gli investigatori della sezione antirapine dopo l’arresto della banda autrice dell’assalto a un furgone portavalori in via Osoppo (il 27 febbraio del ’58).
Alberto Curti
Ed ecco via San Giuseppe Cottolengo 40, già vicolo alla Fornace, che dal 1428 ha sfornato i cocci più belli del capoluogo lombardo. Oggi alla Fornace Curti si entra da viale Walter Tobagi 8, arteria molto frequentata un tempo zona boschiva; e subito, sollevando lo sguardo verso un’altana di fronte, troneggiano i busti, enormi, di Benedetto Croce e di Leonardo da Vinci
(giunto a Milano nel 1482), che sembrano vigilare come gendarmi. La Fornace Curti, sempre in attività, è lì da oltre 100 anni, ma sorse nei pressi delle Colonne di San Lorenzo, “el Canton di Verz”, sul Naviglio oggi coperto da via De Amicis. Alberto, che ha ereditato il complesso e lo ha migliorato, ridando forza e bellezza alle parti che più delle altre sentivano il peso degli anni, si dà un gran da fare per rinnovare la produzione. Tempo addietro ha fatto costruire un capannone per accogliere eventi di alto livello, soprattutto per far conoscere l’arte della ceramica e le svariate forme che la fantasia, l’abilità, l’esperienza riescono a creare.
In alto, Benedetto Croce
Gigi Pedroli alla Fornace Curti
A questo scopo guida i visitatori, descrivendo anche le funzioni delle macchine in voga nel passato e ora parcheggiate in vari locali, fra stemmi, medaglioni, mensole, putti, fregi, vasi per fiori e alberi, comignoli, mattoni in cotto che servirono per la costruzione di opere grandissime: la Ca’ Granda, la Certosa di Pavia, l’Arcivescovado, l’Abazia di Morimondo, Santa Maria delle Grazie, il Castello Sforzesco, il Duomo di Monza, la cattedrale di Zeme Lomellina…, e “poi per le ristrutturazioni degli stessi avviate negli anni 70”. Inoltre illustra gli stampi degli elementi originali gelosamente conservati; il luogo di estrazione dell’argilla padana (una volta nella zona dell’attuale quartiere Sant’Ambrogio e oggi nell’Oltrepò Pavese). Uomo di poche parole, discreto, colto, intelligente, prova piacere a parlare del rapporto dell’uomo con l’argilla, ovunque presente nella nostra vita quotidiana; e degli architetti, degli scultori che negli anni hanno frequentato la Fornace: Manzù, Messina, Minguzzi, Pomodoro, Lucio Fontana…E indica gli artisti di oggi, tra cui Burnett, Gigi Pedroli, acquafortista di grande talento e titolare di un altro studio, confortevole e ricco d’atmosfera, in un ambiente storico sull’alzaia Naviglio Grande. 
Alberto mette a disposizione degli ospiti tutta la sua competenza. Affascina anche quando spiega gli aspetti tecnici mostrando il lavoro in corso; la qualità della creta lombarda, la storia della Fornace, partendo da quando, su progetto del Filarete (Antonio Averulino) si iniziò a edificare l’Ospedale Maggiore, la Ca’ Granda, per decisione di Bianca Maria Visconti, consorte di Francesco Sforza, duca di Milano.
Una storia gloriosa, quella della Fornace, che proprio in occasione della realizzazione dell’opera appena citata e di altre, ricevette l’incarico di eseguire buona parte delle formelle e dei mattoni sagomati dal Solari e dal Guiniforte. Allora lo scettro della Fornace era nelle mani di Giosuè Curti, nobile al seguito della famiglia Sforza. Nello stesso tempo, lo scultore delle formelle della Certosa di Pavia fece cuocere alla Fornace i suoi fregi architettonici.
Angolo della Fornace Curti
Cortile della Fornace Curti
Nel 1700 la fabbrica si trasferì sulla Ripa di Porta Ticinese e nel secolo successivo alla Conchetta sul Naviglio Pavese, dove insisteva la Cascina Pragarella. Questa sarebbe stata probabilmente la sede definitiva, se non vi si fosse scatenato un incendio, che distrusse medaglioni, rosoni, festoni…, divorando anche importanti documenti riguardanti la stirpe dei Curti. “Siamo in questa struttura dal 1921 – chiosa Alberto, che continua la tradizione con passione e orgoglio – quando portava ancora il nome di Cascina Varesinetta alle Rottole di San Cristoforo e confinava con un’altra cascina, la Varesinetta, demolita qualche anno fa. La Fornace non ha mai abbandonato la zona Ticinese, così ricca di fascino”. E quel Benedetto Croce, che non appare spaesato anche se così lontano dalla sua terra, ma ha anzi un’espressione da nume tutelare di questo regno della terracotta? “E’ un’opera di Stoppani. Risale circa al ’57. Era destinato alla Biblioteca o all’Università di Napoli. Sorsero delle incomprensioni fra quelle istituzioni e il filosofo è rimasto lì, assieme a Leonardo da Vinci”. Completa, approfondisce le informazioni la moglie di Alberto, Daria, che delle vicende dell’antichissima Fornace conosce ogni particolare.
La Fornace Curti
Sono più di trent’anni che bazzico la Fornace Curti. Ho visitato i laboratori dei 30 artisti che dipingevano quadri e modellavano la creta: Gigi Pedroli, tra l’altro squisito cantautore, che si ispira a luoghi e personaggi milanesi (“El pitur”, “El barun”, “La gent la diceva”, “La mundina”, “Vegia osteria”…); Giuliana Consilvio (trasferitasi in uno studio di sua proprietà), Burnett, Carlarotta, il cinese Ka Zu-maza ed altri, che possono mostrare le loro tele e le loro ceramiche non soltanto tutti i giorni, ma anche il sabato e la domenica, a maggio, mese in cui la Fornace è aperta tutto il giorno ed è affollata di persone interessate ad apprendere anche il lunghissimo racconto di Milano, a contemplare vasi da giardino piccoli e grandi, tutti finemente lavorati, anfore e stampi antichi appesi alle pareti. Sono giorni di festa anche per i ragazzi che non hanno mai visto un ceramista dare forma all’argilla, lisciandola, accarezzandola.Una sorta di magia, un incanto, uno spettacolo, che si ripetono da secoli. “Negli ultimi anni abbiamo rispolverato i modelli antichi (acroteri, fregi…) e abbiamo cercato di ripristinare il gusto del cotto, che era andato scemando”. Parola di Curti Alberto, basso, calvo, spiritoso, ospitale. In quella specie di piazza d’armi, che è il cortile della Fornace, un giorno ci fermammo a conversare con il compianto Luciano Visintin, già direttore de “Il Corriere dei Piccoli”, giornalista de “Il Corriere della Sera”, autore di libri su Milano. Anche Luciano (scomparso da tempo, come Sarik, Riccardo Saladin, uno degli artisti della Fornace) era un ammiratore di questo luogo. Gli piaceva osservare dalla terrazza la fuga di tetti tirati a lucido, i portici, i meandri e la scala a chiocciola che porta agli studi, di gusto parigino, di pittori, fotografi, architetti, artigiani intagliatori del legno… Per accedervi bisogna fare lo “slalom” tra migliaia di pezzi, compresi vasellame d’arte, statue, fontane destinate ad adornare le tavolozze botaniche degli inaccessibili cortili milanesi. C’è pace, silenzio, in questa fucina, dove continua a dare i suoi frutti l’amore per un’arte antichissima: la ceramica, le cui prime testimonianze risalgono al 6.500 circa a. Cristo.












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