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mercoledì 28 giugno 2017

Il giornalista Gianni Spartà



IN SELLA ALLA SUA BICI

 

IL GIRO DI MEZZO MONDO

 


Racconta in uno splendido libro,

 

“Dimmi perché parti”, la sua 

 

avventura da Varese a Messina, a Parigi,

 

in altre città europee e oltre.

 

La “due ruote” è la sua

grande passione da sempre.

 

Anni fa scrisse bellissime pagine su

“mister Ignis”: Giovanni Borghi,

prefazione di Silvio Berlusconi.

 

 



                                                              Franco Presicci

Gianni Spartà
Il 10 maggio 1898 Bava Beccaris, regio commissario straordinario di Milano, vietò la circolazione in città e provincia a biciclette, tricicli, tandem, avvertendo i trasgressori che sarebbero stati arrestati e deferiti al tribunale di guerra. A provocare il provvedimento fu la paura che il generale aveva di questo mezzo di locomozione. Se i tempi non fossero cambiati, il cavallo metallico non avrebbe potuto scrivere le sue pagine di storia; e migliaia di pedalatori sarebbero finiti al fresco. Invece eccoli mentre arrancano sulle nostre strade in salita e vanno come un treno sui declivi. Il decano dei fotografi di Martina Franca, Benvenuto Messìa, portò all’altare sul telaio di una Bianchi la figlia in abito da sposa. Su una bici hanno viaggiato la moda e l’amore.
Spartà pronto per la partenza
Gianni Spartà, già pilastro dello storico quotidiano di Varese, “La Prealpina”, in sella ha scritto un libro: “Dimmi perchè parti”, prefazione di Vincenzo Nibali, edizioni d’Este, Perché parti? Ma per quella passione che quando è autentica fa fare cose pazze. Per la voglia e il piacere di volare, di respirare un’aria diversa, per provare l’ebbrezza della pedalata, osservando, nelle soste, panorami incantevoli; per conoscere persone, dialogare. Non per sentirsi Alfredo Binda, la cosiddetta locomotiva umana; o Costante Girardengo. Spartà corre da una vita; ha macinato chilometri da Varese a Messina, la sua culla, fermandosi dove c’erano preziosità da vedere. A Lourdes; sotto il cielo d’Irlanda; in Romagna, nelle Marche, in Umbria... E continua. Quando è stanco si riposa sull’erba guardando l’azzurro in alto. O scambia due parole con il primo che incontra. Mentre se ne sta pensieroso in un’arteria di Parigi un tizio gli domanda, secco: “Tu sei di Varese? ”Sì, sono di Varese. Nato in Sicilia”. “Sei di Varese e sei venuto in bicicletta?”. Da Varese a Parigi in bicicletta? Non sono niente le distanze, per Gianni. Lui in bici è capace di andare in capo al mondo. Non importa il tempo che fa. Ma l’interlocutore non può saperlo. Lui a Parigi è venuto in camper. “La scenetta è autentica. E’ riportata nel libro. “Accadeva un giovedì d’agosto…. Uno macina ottocentoquaranta chilometri, scavalca le Alpi, fiancheggia il Lemano, attraversa il Giura, vede cattedrali, campi di grano, praterie, compila una specie di diario come i viaggiatori del Gran Tour, e quando piomba sull’obiettivo, la sorpresa è bruciata. Qualcuno sa già tutto. Niente di eroico, per carità.
Spartà, a sinistra, in tour
Ma Parigi, solo andata, su una bicicletta è sicuramente un’emozione per tre peones del pedale: Fernando, Corrado e il sottoscritto…”. Già questa avventura, una delle tante, l’ha fatta in compagnia. Dev’essere una gioia costeggiare vigneti gravidi; inoltrarsi in città vestite a festa; contemplare “fuochi d’artificio che a mezzanotte illuminano a giorno un castello piantato su una roccia alle falde del Gran San Bernardo” e accendono stelle multicolori. Gianni pedala ritmicamente, e lo stomaco manda segnali: il suo orologio non ammette grandi ritardi. E si avverte il bisogno di una tregua, Sono a Vitteaux, dove l’unico albergo ha le luci spente, l’unico campeggio non ha più tende disponibili. Rimettersi in sella? Il paese più vicino è a cinquanta chilometri. Tranquilli, si delinea un’anima buona pronta ad offrire un paio di coperte. Al letto deve però provvedere uno spazio all’aperto. Ce n’è tanto. Non è un problema dormire all’addiaccio per questi tre patiti del pedale. Che un pizzico di fortuna devono averla, se il padrone dell’hotel alla fine si lascia convincere a concedere un giaciglio.
Spartà e il paesaggio
Nei suoi viaggi Gianni Spartà ne ha viste, di cose. Una città che a dar credito alla leggenda un tempo aveva una cinta di catene d’oro; il castello in cui D’Annunzio ambientò “La fiaccola sotto il moggio”… Vai, ragazzo, vai. E Gianni, che non è più un ragazzo da un pezzo, riprende la corsa. La bici s’impenna, rallenta, il manubrio va senza la stretta delle mani, mentre si profila un paesaggio da sogno. Le emozioni si susseguono. Ecco L’Aquila devastata dai terremoti. “Un duomo barocco rimasto senza testa…con quella cupola dimezzata…”. Toh, lì un giovane pasteggia solitario in mezzo alla strada, seduto a una tavola imbandita. Chi è? Una scolaresca li saluta; altra gente si ferma per incoraggiarli. Una meraviglia, l’Abruzzo, “fatto per l’immortalità”. Dalla terra di Benedetto Croce e del vate alla Puglia, che dette i natali a Tommaso Fiore, il grande meridionalista (“Un popolo di formiche”, vincitore del Viareggio nel ‘55; “Il cafone all’inferno”…). A Trani, città che s’affaccia sul mare, a suo tempo sede di una corte severissima, l’ingresso nella cattedrale è impedito da un “don” intransigente. Non si può entrare nel tempio in pantaloncini. “E poi con quei tacchetti spigolosi mi rovinate il pavimento. Ha resistito nove secoli e io lo devo tramandare senza graffi”. Ma poi il nome di Sant’Ambrogio impresso sulle maglie di quegli scatenati compie il miracolo: il prete allenta la fermezza.
Spartà osserva il panorama
L’hanno fatta, a Bari, una visita a San Nicola, il protettore contestato perché ritenuto sordo alle invocazioni dei cittadini? Chi pensa che non l’abbiano fatta si sbaglia. A Martina, come Cesare Brandi, Gianni si era fatto viandante tra i vicoli, le stradine a serpentina e le “nchiòstre” del centro storico, ammirando con il naso all’insù i balconi spanciati, come il regista Pierluigi Pizzi, frequentatore del Festival della Valle d’Itria amato da Paolo Grassi. Gianni Spartà è un cronista di stoffa pregiata e sa raccontare anche nei dettagli con uno stile alto, godibile, veloce come le ruote della sua bici. “Dimmi perchè parti” ti prende lasciandoti all’ultima pagina. Pagine piene anche di curiosità. E di personaggi. Sportivi, intellettuali, gente comune, giornalisti. Riemerge Gianni Brera, il grande, che ribattezzò Gigi Riva “Rombo di tuono”. Ma quelli sono Montalbano e Luisa Ranieri! Ed echeggia la voce eccitata di Catarella: “Dottore, dottore” mentre l’imbranato piantone si scontra con la porta del commissario più famoso d’Italia?. “A Nova Casa di Vilaseiro Negreira, più che un paese un presepio di case coloratissime”, s’imbatte in un ragazzo pieno di tic nervosi, desideroso di confessarsi.
Gianni Spartà durante una sosta
E’ un lombardo di 36 anni, cognome meridionale. Un poveraccio diventato ricco arruolandosi nella Legione Straniera. Pagato bene per eliminare terroristi. Spartà descrive i luoghi con maestria: la basilica mariana sulla collina…affollata di ex voto per marinai usciti indenni da un affondamento, o per pescatori salvi dopo una tempesta. “Dall’alto di questa chiesa come altre a Marsiglia in stile romanico e bizantino insieme si scorge a un miglio dalla costa un’isoletta che sarebbe rimasta un’isoletta se ad essa Dumas non si fosse ispirato per narrare la prigionia e la fuga del Conte di Montecristo”. Scrive anche stando sulla groppa di un’elefantessa d’acciaio – parole sue – “Per proboscide ha un largo cuneo che domina le onde. Per zampe turbine nascoste che la fanno muovere in agilità. Sì, siamo in crociera. Al sole sul ponte della Pacifica…”.
Un’ammiraglia della Costa. Dipinge, con le parole, Gianni Spartà. Le parole possono essere pietre e dolcezze; e musica, come quella che può regalare il mare. Ed ecco che il suo pensiero corre al grande Tiziano Terzani, che iniziò il suo lavoro di giornalista al “Giorno”. Scrisse: “Evviva le navi. Teniamole in vita come una prova d’amore. Usiamole per far felici gli ultimi romantici e per salvare i depressi”. Quanta esperienza ha accumulato percorrendo la via francigena fino a Roma o pregando il Padreterno di farlo approdare indenne a Cefalonia dopo una traversata su una barca a vela partita da Siracusa. Le ha provate tutte, Spartà. Inesauribile il suo spirito di avventura. Aveva 19 anni quando lo conobbi ad Arco di Trento a un convegno sull’Europa. Era con il suo direttore di allora, Lodi. Chissà se già inforcava la bicicletta, simbolo di coraggio, libertà, voglia di scoprire cose e persone, storie e leggende, di entrare in contatto con il resto del mondo. La bici ha fatto da modella ad artisti consacrati: Umberto Boccioni, Aligi Sassu, Mario Sironi, Mario Schifano… E gli eventi musicali? “Ma dove vai bellezza in biciletta? Ah, la Silvana Pampanini! La rivoluzione cinese – scrisse Ugo Ronfani una trentina di anni fa in un pezzo per un concorso indetto dai produttori del settore (arrivò secondo) – l’hanno fatta in sella alle due ruote. In bici i contadini raggiungevano il podere, ingoiando venti chilometri al giorno. “Come si chiamerà il poeta italiano che fra non molto scriverà l’ode della bicicletta?”, chiedeva Alfredo Oriani nel 1925. Pascoli, Stecchetti…





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