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mercoledì 26 luglio 2017

“Eravamo in via Solferino” di Gallizzi


 






               IL LUNGO CAMMINO

 

                                 A MILANO

 

DI UN RAGAZZO DI CALABRIA 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

Nel suo libro, interessantissimo, il 

 

giornalista, che è stato cronista,

 

caporedattore, inviato, pilota delle

 

pagine lombarde, del “Corriere della

 

Sera”, narra le vicende di quel colosso

 

di carta e un po’ quelle del nostro Paese.










Franco Presicci


Rispondendo alla domanda di un giornalista, nei primi anni Sessanta, lo scrittore tarantino Domenico Porzio, capo ufficio stampa della Mondadori e assistente del presidente Arnoldo, a un giovane salito al Nord suggerì alcune regole: non credersi più bravo e più intelligenti dei meneghini; non fare il lavoro a mezza giornata o in qualche maniera; impegnarsi con serietà per dimostrare di essere all’altezza…. Milano è generosa, accogliente, ma esigente. Quelle parole emergono nel libro che Giuseppe Gallizzi ha scritto con Vincenzo Sardelli: “Eravamo in via Solferino”. Lui, nato nel ’39 a Nicotera Marina, allora provincia di Catanzaro e oggi di Vibo Valentia, assorbì subito il clima della città, che del resto gli era congeniale. Tenace, colto; gran voglia di fare e una passionaccia per la carta stampata.
Giuseppe Gallizzi e Indro Montanelli
Il suo obiettivo era il “Corriere”, un tempio, ricco di monsignori rispettati e stimati ovunque, da Orio Vergani a Indro Montanelli. Un primo passo lo fece avvicinando un suo quasi compaesano, Arturo Lanocita, brusco, dignitoso, vigile, indulgente, in via Solferino dal 1930, con incarichi prestigiosi: da capocronista a critico cinematografico… Lanocita gli suggerì di fare il diaconato in una parrocchia di periferia, e lui eseguì. Prese casa a Sesto San Giovanni, dove ancora abita, e si guardò intorno. Poi, per riempire il carniere, cominciò a fare il girotondo fra commissariato, caserma dei carabinieri, sede dei vigili urbani, non stancandosi di sgambare per ore prima di potersi sedere alla scrivania e far cantare la macchina per scrivere. Erano i tempi in cui i cronisti andavano a piedi o al massimo in sella a una due ruote; e durante un lungo appostamento o un salto da una portineria a un tabaccaio, a un fruttivendolo alla ricerca di un dettaglio, mangiavano un panino con salame e la polvere del marciapiede. Tempi eroici, entusiasmanti per i cani da tartufo. Tempi indimenticabili. Poi, nel ’60, Giuseppe, Peppino per gli amici, sbarcato a Milano due anni prima, finalmente varcò la soglia del sacrario, passando dal portale al presbiterio. L’ingresso, racconta, lo inebriò: l’atrio, solenne, pure, e lo scalone liberty che consentiva l’accesso al piano nobile. Per non dire dei corridoi immersi nel silenzio, con le luci che non si spegnevano mai… Pensò di essere prossimo alla celebrazione di un rito, soprattutto quando si trovò dinanzi al grande tavolo, stile “Times”, dal piano un tantino inclinato.
Giuseppe Gallizzi e Gaetano Afeltra
Quasi un reperto archeologico, un simbolo, decantato da Gaetano Afeltra in una delle sue pagine, tra cui “Corriere, primo amore” e “Milano, amore mio”. In via Solferino Gallizzi ha trascorso mezzo secolo, conquistando diversi traguardi, cronista, inviato, primo caporedattore, pilota delle pagine lombarde, caporedattore centrale…   Ha conosciuto tanti grandi nomi del giornalismo: oltre al Premio Nobel Eugenio Montale, Dino Buzzati, Pier Paolo Pasolini, Enzo Bettiza, alto, elegante, signorile, dai modi cortesi, grande inviato, cultura profonda, tra l’altro autore di un volume intitolato “Via Solferino” (“Sono nato sulla sponda illirica dell’Adtiatico”, vi scrive di sè), Indro Montanelli, un monumento; Alberto Cavallari, eletto direttore dopo Franco Di Bella; Piero Ostellino, Enzo Biagi, Piero Ottone, Giovanni Spadolini, che scriveva a mano con la velocità di un razzo, Ugo Stille, “Misha”, sulla plancia del “Corriere dal 1° marzo 1987 al ‘92; Paolo Mieli; Ferruccio De Bortoli, accolto in via Solferino quando aveva ancora i calzoncini corti e destinato al ‘Corriere dei Ragazzi’, divenendo per due volte il comandante della corazzata, con un intervallo al “Sole.24 Ore”; e grandi cronisti, come Fabio Mantica, Arnaldo Giuliani, Patrizio Fusar…
Spadolini con Plantone
Gallizzi sognava il “Corriere” come altri sognano una vincita da capogiro al Totocalcio. Franco Di Bella, che trascorreva le vacanze dalle parti di Vibo Valentia, sentendolo parlare, gli disse, “con una sicurezza che trasmetteva fiducia”: ‘Tu molto presto entrerai al Corriere…’. E fu proprio lui ad arruolarlo.   
In “Eravamo in via Solferino, prefazione di Vittorio Feltri, già cavallo di razza delle scuderie del “Corriere” prima di salire sulle plance de L’Europeo”, e poi su quelle de “L’Indipendente” e de “Il Giornale”, e premessa di Vincenzo Sardelli, Peppino fa anche un po’ la storia del giornalismo, partendo da Aristofane (445), poeta della Grecia antica, che debuttò con la commedia “I banchettanti” con il nome preso in prestito da Callistrato per evitare che l’arconte gli vietasse il coro per la sua giovanissima età: nel ritratto fatto da Pietro Citati, era uno sfrontato giornalista che non andava tanto per il sottile. Ma quella, osserva Gallizzi, era un’epoca diversa dalla nostra, che ha attraversato periodi brutti, dalla valanga di retorica alle reticenze, agli atti di devozione verso il potere, ai compromessi, alle imposizioni delle veline, alle teste dei renitenti mozzate… Non ha peli sulla lingua, Gallizzi. Non risparmia nessuno. Non nasconde, non omette.
Il prefetto Mario Jovine e Arnaldo Giuliani
Il libro fa anche la biografia del colosso di via Solferino, che si innesta nella storia del nostro Paese. Un capitolo è dedicato a Sesto San Giovanni, la città di adozione dell’autore. Lui la conosce benissimo, quella città, fatti, situazioni, personaggi, e li descrive con uno stile sobrio, garbato, senza enfasi; anzi con discrezione quando accenna alle proprie vicende. La sua fotografia di Sesto è appassionata e coinvolgente. Ricorda le fabbriche costruite da imprenditori come Giorgio Enrico Falk, “in quella che era la piccola Stalingrado d’Italia e che oggi è un susseguirsi chilometrico di impianti chiusi, abbandonati, o alla ricerca faticosa di una nuova identità”. E i nomi e le opere di Pirelli, Crespi, Bassetti…, che “per decenni hanno significato Milano, la sua borghesia illuminata, il suo ruolo di traino alla riconversione, non solo industriale, di un Paese tradizionalmente agricolo”. Quel Paese e quella Milano sono spariti da tanto tempo. E quei nomi si ritrovano nei libri e nella memoria di chi è stato attento agli accadimenti susseguitisi nello Stivale, compresi quelli che hanno avuto come protagonisti gli operai, infaticabili, con la voglia di crescere, di edificare, incoraggiati da imprenditori che non miravano al guadagno sfrenato. Falck, per esempio, per i dipendenti creava i villaggi, le colonie marine, le scuole, gli asili-nido… La Breda e la Ercole Marelli anche il dopolavoro.
Giuseppe Gallizzi al Circolo della Stampa
“Il racconto di Giuseppe Gallizzi non mira solo a ricostruire le vicende del colosso di carta o ad analizzare la funzione che esso ha avuto nell’informazione nazionale. Con Vincenzo Sardelli, l’autore narra la sua esperienza, assai particolare, di ragazzo calabrese, che, lasciata la sua terra, approdò a Milano con un bagaglio di speranze, soprattutto quella di trovare un lavoro…Il giovane Gallizzi costruì la fortuna con le proprie mani e la propria testa e, direi, perfino con i piedi”. Così scrive Feltri. Il libro è molto di più. Gallizzi, un gentiluomo della terra di Corrado Alvaro (“Gente di Aspromonte”, “La signora dell’isola”…), di Saverio Strati… non parla soltanto del cosiddetto treno dei sogni, al quale avevano tolto la terza classe degradando la seconda; dell’avventura infernale, che era il viaggio dal Sud al Nord, con la gente ammassata come sardine in una scatoletta o stesa sul pavimento nel tentativo di dormire servendosi della valigia come cuscino; i bagagli accatastati nel cesso, che così perdeva la destinazione d’uso per diventare deposito, quando non addirittura nicchia; dello smarrimento che coglieva il migrante nella pancia gigantesca della stazione Centrale, e subito dopo di fronte alla solennità dell’Hotel Gallia, al rumore dei tram e degli autobus, alla gente dal passo da maratoneta. Non parla soltanto delle sue notti in bianco per inseguire una notizia, un particolare o per controllarli; della paura di prendere un “buco” dalla concorrenza spietata… Queste pagine, ripetiamo, interessantissime, offrono una visione panoramica del mondo del giornalismo e del Paese. Segue un altro interessante libro di Gallizzi (“La scuola dei grandi maestri”), che per undici anni è stato presidente del Circolo della Stampa, presidente europeo del Press Club de France, segretario dell’Ordine della Lombardia e altro.

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