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venerdì 18 agosto 2017

Dal New Jersey a Tursi, nel Materano



Gennaro e Davide Lonigro


SETACCIARONO IL PAESE

CERCANDO I PARENTI



Era il settembre del 2001. I ricordi

 

di chi fece da guida in quella giornata

 

emozionante. Il fascino del paesaggio

 

lucano, che ispirò Carlo Levi e il poeta

 

Albino Pierro. La festosa accoglienza e

 

la promessa, mantenuta, del ritorno nella

 

“terra della luce”.

 

(Foto di Davide Lonigro)

 

                                                                                      



Franco Presicci


“Lonigro, Lonigro, Lonigro…”. Pensò un attimo, stringendosi il mento fra il pollice e l’indice, fissando una siepe umana davanti al bar di fronte, e poi, con l’aria di chi ha un’illuminazione subitanea, esclamò: “Questo Lonigro non lo conosco”; e ci voltò le spalle con uno scatto quasi meccanico. “Certo che non conosce Gennaro”, intervenne un signore, sottile, pantaloni scuri, camicia bianca aperta sul collo e cravatta, vaga somiglianza con l’attore francese Pierre Leroy. “E’ forestiero, non so da dove viene; è la seconda volta che lo vedo qui. Gennaro lo trovate all’Istituto per ragionieri ‘Manlio Capitolo’. Se non è lì, provate a casa, in via Giacomo Matteotti. E’ una persona squisita”. “Scusi, visto che è così cortese, ci indica il 10 di via Pisacane?”. “E’ questa, la via Pisacane; il 10 ce l’avete davanti; ma non ci abita più nessuno chissà da quanto”. Una volta ci abitava la nonna di Maria. Lei si girò salì i pochi gradini della costruzione dalla facciata screpolata, guardò la porta usurata dal tempo e frugò nella memoria, mentre Thonas, capelli argentati, alto, aspetto da lord inglese, faceva grillare la macchina fotografica.

Borgo antico di Tursi
Quanta fatica, quanti giri e quanti quesiti sotto il sole fino a quel momento. Ci rimettemmo in cammino, imboccammo quel tratto d’intestino un po’ in salita che conduce alla scuola “Manlio Capitolo”, poeta e giurista nato a Tursi nel 1904 e deceduto a Roma nel ’54; ci fermammo all’ingresso, spostandoci appena in tempo per evitare che una valanga di giovani ci travolgesse, troncandoci sulle labbra la domanda: “Dove possiamo incontrare il ragionier Lonigro?”. Silenzio da un crocchio che faceva programmi per il pomeriggio e da chi lasciava il campo alla spicciolata. Troppa fretta, la testa altrove. Ci avrebbero illuminati due signore nell’atrio, professoresse o bidelle o chissà chi, prese da una conversazione un po’ animata, affogata nel cicaleccio di chi si attardava, scambiandosi scherzi e battute come sempre dopo il suono della campanella, se un uomo garbato, pacato, faccia da buon parroco di periferia, non si fosse affacciato alla ringhiera, al primo piano: “Chi vuole Lonigro? Lonigro sono io”. Un brivido di gioia mi percorse, e mi scoprii nei panni di Raffaella Carrà che in una trasmissione televisiva urlava “Sono quiii!”, e tirava fuori dalle quinte come conigli dal cilindro di un mago gli emigrati a lungo cercati, per lanciarli fra le braccia dei parenti trepidanti per l’evento. “Eccoli lì in fondo alla scala, i suoi cugini venuti da oltreoceano”. Un brillìo si accese negli occhi di Gennaro, che venne verso di me, divorò il resto della rampa e, dopo un attimo di esitazione, si allacciò forte alla coppia. “Andiamo a casa”, disse poi con l’ugola smorzata. 

Veduta di Tursi
Era il settembre del 2001 (il giorno sfugge alla memoria, che ha i suoi limiti), e quei momenti vissuti a Tursi - provincia di Matera, città non ancora designata capitale della cultura ma ampiamente visitata per i suoi Sassi, e non solo: una meraviglia – spesso sentita nominare ma mai vista e contemplata -, restano indimenticabili. L’idea di scrivere questa stupenda esperienza mi è venuta la vigilia di ferragosto, pochi giorni or sono, quando, avendo beccato un numero invece di un altro nella mia rubrica del telefono vecchia di vent’anni, quindi sbiadita, ho sentito dall’altro capo del filo una voce chiara e forte: “Non sono la persona che vuole!”. “Scusi, io sono Presicci, può dirmi chi è lei?”. “Gennaro Lonigro”. Gennaro! Ma è stato il caso a combinare il portento... I ricordi di quel giorno hanno immediatamente avuto uno sbocco e preso a fluire come l’acqua di un fiume: ogni particolare, ogni attimo, le parole, le sequenze, i gesti: un film: l’arrivo in via Matteotti; Gennaro che dice alla figlia Carmelina, tenace e appassionata studentessa di Lingue straniere: “Ti presento Maria Elena Smith e suo marito Thomas da Haddonfield, New Jersey; Carmelina che esulta, abbraccia gli ospiti; mentre Gennaro avverte che è quasi l’una e bisogna mettere in tavola quello che c’è; e Carmelina che lo rassicura: “Papà, la mamma stamattina presto, prima di andar via per la vendemmia, ha già preparato tutto.
Thomas, Cermelina, Maria, Maria Elena, Gennaro
Dobbiamo chiamarla”. La mamma, Maria, bella, simpatica, affabile, comunicativa, vulcanica, arrivò in un baleno, felice dell’improvvisata, con slancio baciò più volte Maria Elena e Thomas, senza trascurare me e mia moglie. Poi si mise ai fornelli, facendo la spola tra la cucina e la sala. Gennaro mi chiese di accompagnarlo a prendere le delizie del paese, dei dolci e una torta. Sulla via del ritorno mi precedette in un’edicola, acquistò per me cinque o sei cartoline illustrate di Tursi e la “Guida” di Salvatore Di Gregorio, ricca d’informazioni anche storiche e di immagini, soprattutto del borgo antico. A tavola alle 14.

Borgo antico rabatana
Prima di sedersi, l’altro gioiello di famiglia, Davide, impegnato anche lui negli studi con ottimi risultati, andò al computer e stampò la “List of manifest of alien passenger for the United States”, la carta d’imbarco dell’11 maggio 1910, con in testa il nome dello zio Vincenzo. Era la dimostrazione delle ricerche fatte negli anni per rintracciare gli amati familiari d’America. Al “dessert”, Maria Lonigro appoggiò sulla tavola una scatola di cartone piena di fotografie; le sparse; Maria Elena le passò con lei in rassegna, puntando il dito su zii, nipoti, nonni, scandendo i nomi, e rispolverando sprazzi di biografie. Maria accavallava le domande, curiosa, avida di notizie, affezionata com’era a questi discendenti dei congiunti che avevano rinunciato alla culla per andare a conquistare la fortuna così lontano.

Paesaggio di Tursi

Poi, volgendosi a me: “Come mai siete insieme?”. E io, con orgoglio da battistrada che ha realizzato l’obiettivo: “Sono miei ospiti a Martina Franca da quattro giorni, hanno voluto conoscere l’abitazione, in via Marangi, dello zio prete, che fu canonico penitenziere nella cattedrale e morì nel ’62, e li ho esauditi, mostrando loro anche la stupefacente Valle d’Itria e il centro storico, un teatro naturale con quinte e fondali. Ieri hanno espresso il desiderio di venire da voi a Tursi, ed eccoci qui. “Adesso andiamo in campagna a raggiungere gli altri parenti”. La richiesta di Gennaro fu subito condivisa, e il piccolo esercito volò verso le macchine. Giunti a destinazione, dalla vigna emersero uomini, donne, bambini, e corsero a salutare festosamente gli “americani”. Gennaro, Maria e i figli non potevano stare nei loro panni; la nuova comitiva neanche. Gennaro osservava compiaciuto la scena e mi consegnava brandelli di storia del paese – oltre 5 mila abitanti - che nel 2006 ricevette da Carlo Azeglio Ciampi il titolo onorifico di città. ”Tursi, che ispirò Carlo Levi pittore e il poeta Albino Pierro, deriva da un guerriero di origini bizantine, Turcico, padrone della zona. Il centro abitato è tagliato dal torrente Pescogrosso; sul punto più alto è collocato il Castello.

Tursi di notte
Questo fondo fu acquistato da mio padre dalla nonna di Maria in partenza per gli Stati Uniti”. Nelle ore libere dal lavoro ufficiale, quest’uomo basso di statura, ma elevato nell’animo e nell’intelligenza, oltre che ragioniere geometra, una famiglia tutta armonia, rispetto reciproco, amore, guidava il trattore, il dinosauro meccanico, che era proprio di fronte a noi. Io ascoltavo con interesse e guardavo i cesti ricolmi di grappoli. Arrivò il momento dell’arrivederci e Maria e Thomas promisero di tornare (manterranno la promessa). Nessuno si decideva a fare il primo passo. Era piacevole stare qui in questa campagna deliziosa, fra queste persone che amano ancora stare insieme. Tutti avevano ancora qualcosa da dire come pretesto inconscio per evitare il distacco. Temporeggiavo anch’io. Vedevo il gruppo che s’infoltiva, i piccoli che si rincorrevano tra i filari piluccando gli acini, e pensavo a Giustino Fortunato, eminente rappresentante del meridionalismo; all’esimio pittore Luigi Gurricchio (che frequentò le accademie di Napoli e Milano), amico di Rocco Scotellaro, “il genio improvviso e dimenticato”, che, nato a Tricarico, conosceva profondamente il dramma dei contadini… Dolce Lucania, “terra della luce”.









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